“Ride del ragazzino con l’estintore”

Ride. Ragazzino. Estintore.

Tre parole che singolarmente hanno segnato la storia letteraria italiana degli ultimi quindici anni. Che messe insieme rilevano il fascismo endemico perenne, immutabile e indebellabile di questo Paese. Non ha molta rilevanza chi le abbia pronunciate, né quale sia l’orientamento politico di chi vi si riconosce.

Dalla vicenda della morte di Carlo Giuliani, di cui oggi cade il quindicennale del vergognoso linciaggio, sia fisico sia morale, che qui non occorre rinnovellare (quindici anni sono tanti, il tempo per informarsi non è mancato. Qui la migliore sintesi in rete), sono emersi negli anni i lati più inquietanti del pensiero unico italiano, un pensiero – se così si può definire il mettere in fila parole a caso – che fa emettere fonemi appunto casuali ai suoi articolatori, e che si manifesta in maniera altrettanto casuale, spesso con la noncuranza di frasi come “sì ma Aldrovandi era un tossico”, “sì ma Giuliani era un violento”. Così, a caso. Si ride infatti molto in questo Paese, si scherza, si tende ad alleggerire, non è apprezzata la pesantezza. Ma confrontiamo il peso specifico della lotta con quello di una frase come “Sì, ma l’estitore”. Sì ma.

Forse con i se non si farà la storia (cosa discutibile, visto che la storia in Italia si fabbrica), tuttavia è molto evidente che con i ma si fa il giudizio, la morale e l’etica, tre al prezzo di uno.

Il ragazzino con l’estintore di ieri, oltre a essere uno dei numerosi e ormai incontrollabili falsi storici di cui si nutre il qualunquismo di questo Paese, è un’immagine forte: è l’icona su cui si poggia l’autogiustificazione di chi non ha partecipato, né capito, né trovato il tempo di informarsi, e tuttavia ha qualcosa da dire, e infatti la dice. Il dramma vero consiste in questo: che, nonostante tutto, questa cosa la si dica. Il dramma è che il vuoto pneumatico creato da chi si sente in dovere di dire qualcosa, sempre, aspira tutto, lascia un nulla inaffrontabile, lascia il cuore vuoto, lascia il cervello senza risorse, lascia le persone annichilite. Si mangia tutto. È il nulla che divora. Come i cessi dell’aeroplano che tornano pulitissimi dopo che ci hai pisciato dentro. La sensazione è di essere puliti, perché le parole che giungono a igienizzare ogni tentativo di rendere le difformità disinfettano tutto, riportano la brillantezza laddove c’era il germe della tremenda, ingestibile, sicuramente malata complessità.

La vera lotta in quest’epoca così blanda e post-ideologica non si fa più con il corpo, ma con la parola, la buona pratica che può esercitarsi anche in assenza. È necessario riprendersi le parole, ridare un senso a ogni singolo lessema. Ragazzino è termine che ha una connotazione svalutante. All’età che aveva Giuliani quando stava in piazza, un essere umano maschio è un uomo, e così va chiamato. Uomo. Lavoro e figli, aggiunge l’autrice del testo, come se diventare padre e assumersi delle responsabilità socialmente riconoscibili nei confronti di altri esseri umani potesse in qualche modo annullare un passato militante, appiattendo il vissuto in un’etica democristiana che tutti conosciamo benissimo. Ridere è un verbo che andrebbe centellinato e spogliato di ogni valenza metaforica. Soprattutto perché quando l’umorismo agisce in vece della tragedia i danni sono inestimabili e durevoli. L’umorismo non può mai sostituire la tragedia. Le due forme sono distinte e possono coesistere, ma una non sostituisce mai l’altra. Un estintore è un oggetto, ma può diventare un simbolo; un alibi; un’accusa; una prova; una sentenza.

La riduzione all’interno borghese, la storia alternativa edulcorata di un Carlo che non ha subito alcun linciaggio ed è tornato a casa a fare la vita di sempre – come se dopo Genova si potesse fare la vita di sempre – è un sintomo molto forte della malattia grave che sta davastando il corpo di questo Paese, incapace di darsi una diagnosi, e quindi di stabilire una prognosi, e quindi di seguire una terapia e quindi in ultima analisi di guarire da questa malattia che si chiama qualunquismo e che già in passato è degenerato in fascismo.

P.S. Non ho volutamente riportato il testo a cui questo commento si riferisce, in quanto l’irrilevanza culturale di certi ex protagonisti del cinema italiano è tale che parla da sé. Ad ogni modo, è sufficiente un modesto giro su un qualsiasi motore di ricerca per rintracciarlo.