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Rubrica: Extimità – Le forme dell’inconscio

Rubrica curata da Michele Cavallo.
Una esteriorità intima. Se proviamo a pensare l’inconscio non come il luogo più interno della psiche, la nicchia inviolabile dell’interiorità, il fondo della cantina dove teniamo tutti i nostri contenuti privati, rimossi, inconfessabili, ma al contrario come il luogo più esterno, esposto lì in superficie quando un soggetto parla, inciampa, esita, dimentica, ebbene vedremo cose sorprendenti. Dentro e fuori, intimo ed estraneo, vicino e lontano, l’inconscio si presenterà come il luogo in cui il soggetto non coincide con se stesso: quello che pensa, che sente, che immagina, che sogna, che desidera, che dice è sempre spostato, obliquo, altro. Lacan crea un neologismo per indicare quel qualcosa di estraneo a me pur stando al centro di me, quell’estremo dell’intimo che è al tempo stesso internità esclusa, questo luogo centrale, questa esteriorità intima, questa estimità.

Solo l’arte e il linguaggio poetico riescono a far risuonare questa lontananza abissale del più vicino, questa estraneità che ci abita, questa discordanza che ci perturba.

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