Rubrica curata da Gloria Massucci.
‘Spazi critici’ nasce come idea di un luogo virtuale dal quale osservare e capire una pluralità di ‘oggetti’ (libri, saggi, opinioni…) senza alcun desiderio di classificazione e/o sistematizzazione. Una piazza virtuale che sia osservatorio e crocevia di strade che da essa partono e che in essa
convergono. Ho sempre amato immaginare la piazza come luogo creato dagli uomini e per gli uomini.
Una piazza contiene non solo i simboli del passato, della bellezza, del sacro, del potere, una piazza ha un cuore che la rende viva, una sorta di baricentro, un ombelico dal quale è più facile e piacevole guardare il mondo: una fontana, un muretto addossato sulla facciata di una Cattedrale, la gradinata di un Palazzo, sedie e tavolini a far da salotto davanti ad un antico caffè. Può accadere allora che, in un sonnolento pomeriggio, da una delle viuzze laterali si noti arrivare qualcuno che susciti l’interesse di quanti si erano abbandonati alla contemplazione distratta della scena o alle tranquille avventure del dialogo.
Ecco, succede allora che quel qualcuno sia un elemento di rottura, di novità, sia in qualche misura un portatore di differenza. E allora può accadere che il vuoto dell’otium prenda tutto ad un tratto la forma di un’idea, le movenze di un discorso . “Così – dice qualcuno – si conferma l’ipotesi che ogni uomo porta nella mente una città fatta solo di differenze, una città senza figure e senza forma, e le città particolari
la riempiono” (Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori 1983, p. 33).