Congruenze e differenze archetipiche

Gli archetipi mostrano le tappe del processo di maturazione della personalità, modellando il comportamento personale della psiche. Essi producono situazioni tipiche di vita nella loro forma più pura, come “costanti naturali”, non condizionate dalla storia personale o dalla psicologia. Il fatto che i racconti siano tramandati di generazione in generazione dimostra l’universalità del significato nei loro temi archetipici. Gli stessi personaggi non vengono intesi in termini di Ego individuale, bensì come costruzioni archetipiche. La coerenza cinematografica (o cinematica) archetipica è la capacità di cogliere in maniera accurata e creativa la struttura archetipica inerente ad una storia (per quanto ne so il termine è stato coniato da Michael Conforti nel 2005 in un numero di Spring). Essa si sostanzia nella congruenza della forma, al di là delle sfumature di contenuti.

Il cinema è un racconto di antiche verità, che consente di accedere al mondo degli archetipi ed alla realtà da essi generati. Ogni dramma archetipico è vissuto secondo le dinamiche e le dominanti di quel campo e i racconti corrispondono in maniera sorprendente ai temi collettivi eterni (universali; si parla di fedeltà alle dominanti archetipiche, ibidem). Questi motivi soddisfano un’esigenza psicologica e spirituale primitiva. È la consapevolezza che consente ad un individuo sia di stabilire una relazione (contatto) con una dimensione “ancestrale”, sia di produrre una reazione maggiormente personale in relazione a quell’evento, in un dato momento. Questo vale sia per il regista che per lo spettatore e verosimilmente il tipo di reazione ad una data “costante naturale” nella sua dimensione collettiva evolve e muta (nei contenuti ma non nella forma) col passare del tempo.

È passato oltre mezzo secolo da quando C. G. Jung ha scritto “Risposta a Giobbe” (Jung, 1952), uno studio psicologico della storia di Dio negli ultimi 2500 anni. Vedendolo in modo “meno spettacolare”, Jung ha cercato di comprendere tramite questo scritto in che modo il Sè (che equipara all’immagine di Dio) nella psiche collettiva occidentale abbia subìto evoluzioni e cambiamenti. Non deve sorprendere se per molti questo volume risulti difficile da comprendere o in qualche modo “secondario”: ad esempio in un volume del 1993 del Journal of analytical psichology, due analisti hanno ritenuto di interpretare il testo (in maniera riduttiva) come un riflettersi dei problemi d’infanzia di Jung.

Ad ogni modo, la risposta di Jung al Libro di Giobbe, dovrebbe essere vista anche come un tentativo autentico di affrontare la questione della sofferenza umana. Edward Edinger (1986) e David Hiles (2001) hanno sostenuto che Giobbe possa essere considerato come l’archetipo della risposta umana alla sofferenza (più propriamente, l’archetipo che caratterizza la risposta umana al dolore causato da una perdita). Sebbene Jung non proponga direttamente tale suggerimento, questo è implicito nel suo scritto; disse invece che il Libro di Giobbe può servire come paradigma di un’esperienza di Dio, e che possa avere un significato peculiare per la nostra situazione nel mondo collettivo contemporaneo (Jung, C.W.9, par. 562).

Congruenze e differenze archetipiche - The Life of David GaleIn questo scritto propongo di esaminare: 1) in che modo le previsioni di Jung abbiano resistito, 2) di analizzare gli sviluppi dell’archetipo della risposta umana alla sofferenza all’interno di diversi approcci psicologici e 3) di utilizzare come esempio per descrivere gli sviluppi e la coerenza dello stesso archetipo un film diretto da Alan Parker: The Life of David Gale (2003).

Elisabeth Kübler Ross, Bowlby ed altri

Ne La morte e il morire Elisabeth Kübler Ross ha diffuso la tanatologia come argomento di critica sociale generale. Scritto con un linguaggio semplice, questo libro importante può aiutare le famiglie a comprendere il momento in cui si avvicina la morte di una persona cara. Il libro ha introdotto le fondamentali “Fasi del morire” o “Fasi del Lutto” dell’autore, un modello ancora largamente citato. Secondo il modello Kübler Ross sono cinque le fasi che una persona in fin di vita deve attraversare, quando le viene detto di essere affetta da una malattia incurabile. Le cinque fasi si sviluppano tra negazione, rabbia, contrattazione, depressione ed accettazione. Questo modello è stato largamente usato da altri autori ed applicato ad altre situazioni in cui qualcuno subisce una perdita o un cambiamento nell’identità sociale. Questo modello è usato spesso nell’elaborazione del lutto. Non tutti gli addetti del settore concordano con il modello Kübler Ross, ed alcuni critici percepiscono le fasi come troppo rigide.

Altri autori come John Bowlby, hanno sviluppato dei modelli con un numero differente di fasi. Bowlby, uno psichiatra, è stato uno dei massimi ricercatori ed insegnanti nel campo dello sviluppo della personalità. Egli era già stato presidente della International Association for Child Psychiatry. Sono tre i volumi che costituiscono la trilogia pionieristica di Bowlby riguardante l’attaccamento e la perdita.

Il Volume Primo, Attaccamento alla madre, avvia la fase mostrando come si creano i legami dell’attaccamento. Il Volume Secondo, La separazione dalla madre, costituisce l’argomento mostrando le reazioni fondamentali ad un momentanea interruzione dell’attaccamento. Il Volume Terzo, La perdita della madre, conclude la serie mostrando come i sentimenti di lutto e cordoglio (o dolore) siano correlati a degli schemi che sono alla base dell’attaccamento. Bowlby si concentra sulle conseguenze emotive principali della perdita, includendo sentimenti di tristezza, depressione, lutto e cordoglio (dolore). Si tratta di una delle analisi riguardanti la perdita forse più accurate che esistano in letteratura. Ognuno dei tre volumi che compongono questa trilogia dovrebbe costituire una lettura obbligatoria per chiunque manifesti un serio interesse verso questo argomento. Il lavoro, nel suo insieme è stato uno dei contributi fondamentali per gli studi accademici riguardo lo sviluppo dell’attaccamento e dei legami affettivi, e per le conseguenze delle loro interruzioni. Bowlby ha dimostrato come l’attaccamento del bambino nei confronti della madre sia di fondamentale importanza nel determinare la sicurezza e ed il successo futuri nel formare relazioni con gli altri e come la separazione o la perdita della madre possa avere degli effetti devastanti.

Il modello delle “Quattro fasi del Lutto” di John Bowlby è di particolare interesse storico, in contrasto con il meglio conosciuto modello delle “cinque fasi” reso popolare da Kübler Ross. Le quattro fasi di Bowlby sono:

  1. Stordimento che generalmente può durare da alcune ore fino ad una settimana e che potrebbe essere interrotto da un accesso d’ira e/o angoscia estremamente intensi;
  2. Desiderio e ricerca nei confronti della persona scomparsa che può durare per mesi o, talvolta, per anni;
  3. Disorganizzazione e disperazione;
  4. Maggior o minor livello di ri-organizzazione, nel quale si re-investe nella vita e ci si riadatta alla “nuova” esistenza; Questo modello in quattro fasi è una revisione di un modello precedente di Bowlby, costituito da tre fasi, omettendo la fase iniziale di stordimento. Il modello originale di tre fasi è stato pubblicato in “Processes of Mourning” (Int. J. Psycho-Anal. 42:317-40).

Mary Ainsworth, una collaboratrice di Bowlby, elaborò una ulteriore situazione sperimentale per determinare il tipo di attaccamento tra madre e figlio. La situazione, nota come “strange situation”, su cui non ci soffermeremo, è suddivisa in otto episodi, ciascuno della durata di tre minuti, dove il bambino è sottoposto a situazioni potenzialmente generatrici di “stress relazionale” (Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità, Raffaello Cortina, Milano 2006).

Giobbe e Gale

Ecco un riassunto della trama del film (possibili spoilers): David Gale conduce una vita familiare felice, con una moglie e un figlio. Tuttavia, in un’occasione, mentre sua moglie si trovava via di casa, partecipa a un party, esagerando con l’alcool e si convince a lasciarsi andare con una studentessa che era stata appena sospesa. La studentessa lo spinge ad avere un rapporto intimo con lei, per poi accusarlo di stupro il giorno successivo. Le accuse vengono fatte cadere, ma nel frattempo Gale perde la moglie, il lavoro, la casa, la fiducia in se stesso, inizia a bere in modo preoccupante e non gli viene permesso di vedere il figlio. La sua unica amica è Constance, collega affetta da una leucemia allo stadio terminale.

Il libro di Giobbe narra la storia di Giobbe, le prove che Satana (che ha distrutto, quindi gli fa perdere i suoi averi e la sua famiglia) gli ha imposto, le sue discussioni teologiche con gli amici sulla natura e le origini della sua sofferenza e la sua sfida con Dio.

Sia da Giobbe che Gale emergono simili reazioni emotive come reazione agli eventi di perdita:

Rabbia e negazione

Discorso di Gale mentre urla ubriaco alla folla: “Socrate è stato condannato a morte. Ma la legge degli Ateniesi concedeva al condannato di formulare una propria pena alternativa Non è un’idea grandiosa? Dove sono gli ateniesi quando se ne ha veramente bisogno? (perché proprio a me? Perché nessuno mi aiuta?). Dunque Socrate…ed era brutto…l’avevo detto questo? Socrate era brutto, Platone era grasso e Aristotele era un presuntuoso”.

Depressione, disorganizzazione e disperazione

Quando i problemi di alcolismo di Gale peggiorano, egli cade nella solitudine e nella depressione (le stesse fasi di abbandono/rinuncia) ed emergenza spirituale in cui l’esperienza di Giobbe volge al tormento. L’unico supporto per David Gale proviene da Constance, una collega e leader di un’associazione no profit che si dedica all’abolizione della pena di morte. Constance e David sono autentiche anime gemelle ed il suo ruolo di compagna e di confidente risulta paragonabile a quello della moglie di Giobbe.

Tentativo di reinvestire nella vita

Gale cerca di non abbandonare i suoi impegni politici e sociali, affronta le divinità tiranniche e completamente illogiche, sotto forma di alcuni aspetti del potere politico ed accademico. Ad esempio una reporter TV chiede al Governatore a proposito della pena capitale: “Non crede che tre esecuzioni in una settimana siano un po’ eccessive?” ed egli replica “Portateli dentro, immobilizzateli e si proceda con il Rock and Roll.”

Gale continua a proclamare la sua innocenza ma ben presto realizza che non c’è praticamente alcuna possibilità per poter ricominciare una vita di interessi, piacere e gioia.

« Ero sereno e Dio mi ha stritolato, mi ha afferrato la nuca e mi ha sfondato il cranio, ha fatto di me il suo bersaglio. I suoi arcieri prendono la mira su di me, senza pietà egli mi trafigge i reni, per terra versa il mio fiele, apre su di me breccia su breccia, infierisce su di me come un generale trionfatore »
(Giobbe 16,12-14)
Anche Giobbe quindi viene colpito senza sapere il perché delle sue sofferenze. Gli amici (Elifaz, Bildad, e Zofar) che lo vanno a trovare lo rimproverano perché ha accusato Dio e cercano di spiegare il suo dolore affermando che la colpa è stata commessa dai suoi genitori, ed egli quindi sconta la pena per loro (Giobbe 2,11-13): questo però significa ammettere che Dio è ingiusto, in quanto sta punendo un innocente. Ma né gli amici né Giobbe riescono a risolvere il problema del giusto che soffre.

Accettazione, non-accettazione e redenzione paradossale

Sia Gale che Giobbe vengono privati della loro posizione, famiglia, averi e serenità. La differenza, e probabilmente il punto di partenza per la strutturazione della peculiare storia di Gale è la perdita della figura femminile, ovvero quando scopre che Constance soffre di una forma di leucemia e che ha una breve aspettativa di vita.

(SPOILER)

Un abolizionista della pena di morte “decide” di “diventare un assassino”. Poiché Constance era comunque destinata a morire, essa ha deciso di farlo sembrare come se fosse stato David, per provare che il sistema presenta delle falle e che degli innocenti vengono condannati a morte. Questo è stato il piano per tutto il tempo, rendere Gale un martire per dimostrare “che essi condannano persone innocenti”.

Ricerca di senso

Quello di Gale è un mondo di disperazione interiore e probabilmente di una delle più profonde tristezze che qualcuno possa immaginare. Infine egli compie una scelta, ora sappiamo quello che deve accadere in definitiva: il finale sebbene triste e sorprendente è anticipato durante la storia. Nel seguente dialogo Parker cattura quello che ritengo forse essere lo stato più intimo del cuore e dell’anima di Gale:

 

“Noi passiamo le nostre intere vite a cercare di fermare la morte…mangiando, inventando, amando, pregando, combattendo…uccidendo…ma cosa sappiamo realmente riguardo la morte? Solamente che nessuno fa ritorno. Poi arriva un punto nella vita, un momento in cui la mente va oltre ai suoi desideri…le tue ossessioni sopravvivono ai tuoi sogni… e quando le tue perdite (silenzio)… forse la morte è un dono…”.

Né gli amici né Giobbe riescono a risolvere il problema del giusto che soffre fino a quando, alla fine del libro, non appare Dio che mette sotto processo lo stesso Giobbe: “Quando io ponevo le fondamenta del mondo, tu dov’eri?” (Giobbe 38,4). Dio rivendica la sua onnipotenza rispetto alla miseria dell’umanità: l’uomo può trovare una risposta al dolore e al male solo decidendo di affidarsi a Lui.

Epilogo

La coerenza cinematica archetipica appare pienamente rispettata (forma) eppure foriera a mio modesto avviso di un inedito epilogo nel film (contenuto). Nel libro di Giobbe, il ritratto di Yahweh è allo stesso modo sia quello di persecutore che di soccorritore: non è scisso ma è l’insieme di due opposti interiori, ciò che Jung identifica come una coincidentia oppositorum (Jung, C.W. 9, par. 664). L’importanza di questa congiunzione non deve essere sottovalutata: Jung propone che questa immagine terribile e tormentatrice di Yahweh costituisca la sua sconfitta morale per mano di Giobbe, e di conseguenza Giobbe dovrebbe essere considerato di una taratura morale superiore rispetto a Yahweh ed un precursore del Cristo (Jung, C.W. 9, par. 640). In “Risposta a Giobbe”, insistendo sulla nozione della “sconfitta” nei confronti di Dio da parte di Giobbe, tuttavia Jung pare quasi a tratti confondere l’elemento simbolico con quello reale. Questa congiunzione in Yahweh costituisce l’archetipo di Dio, che Jung in altri scritti equipara invece simbolicamente all’archetipo del Sè.

Il dissidio intrinseco alla figura di Dio rivela simbolicamente la tragica contraddittorietà del Sé, potremmo dire il gradino successivo all’atman. Raggiungere ed integrare questo conflitto ultimo, questa terminale coincidentia oppositorium è la sfida fondativa del collettivo umano; si tratta della disgiunzione fondamentale, quella che costituisce l’attrito inconscio primario, che forse sta alla base dell’esistenza pulsante della mente umana. Una sfida, immaginiamo slittando dal piano simbolico a quello fisico, vinta elegantemente dal vinto Gale, che per percorrere l’iter che lo porta da perseguitato a persecutore, da mortale a immortale, da vittima a salvatore (anche di suo figlio) sacrifica la propria vita. Avrebbe potuto seguire la “via archetipica” di Giobbe? Forse si, ma in quel caso avrebbe “salvato” solo se stesso. I numi del potere mortifero, cieco ed oppressivo trovano invece sconfitta morale (e materiale) per mano sua.

One comment to “Congruenze e differenze archetipiche”
  1. Non ho visto il film ma la sua connessione con gli autori citati e il lavoro del lutto , la sopportazione e la ricerca di un rapporto con un ordine superiore in cui inserire gli eventi del pesante destino sono sviluppati magnificamente. Aggiungerei un romanzo, Il libro di Giobbe di Joseph Roth, una versione di svolta, e di speranza inaspettata, che si conclude con Giobbe che “si riposo’ dalla grandezza dei miracoli”. Qui ricomincerebbe un nuovo percorso,quale che sia stato per ciascun* il passaggio nel tunnel del dolore…

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