[Seguo il lavoro di ricerca, elaborazione teorica e promozione editoriale del collettivo milanese Ippolita ormai da molti anni. Mi ha quindi fatto molto piacere che mi abbiano chiesto di intervenire con un piccolo contributo all’edizione italiana di The empire of normality di Robert Chapman, apparso da pochi giorni in libreria, nell’eccellente traduzione italiana di Gilda Dina, con il titolo L’impero della normalità. Neurodiversità e capitalismo. A Ippolita oltre la curatela si deve inoltre l’ottima introduzione. (Enrico Valtellina)]

Cosa accomuna persone che non hanno nulla in comune? Ian Hacking, epistemologo delle scienze umane che si è occupato di autismo nelle lezioni al Collège de France del 2004-2005 1 e in molti articoli, in ogni occasione ribadiva quella che è una banalità di base del discorso, “quando conosci un autistico, conosci un autistico”, non l’autismo. Del resto ciò è conseguenza della matrice diagnostica, la “triad of impairments” di Lorna Wing, qualcosa di assolutamente generico, un orizzonte surdeterminato di non conformità sui piani relazionale, sensoriale, cognitivo, esistentivo. Una diagnosi senza eziologia definita, con manifestazioni disparate, senza prognosi e senza cura, ancora nei termini di Hacking, una “diagnosi amministrativa”, concessa per dare un supporto a chi ne manifesta il bisogno. Qual è dunque l’attrattore che costituisce la soggettività collettiva che negli ultimi decenni si è costituita come “movimento della neurodiversità”? Cosa interpella a individuarsi in un orizzonte di discorso che progressivamente si è sviluppato emancipandosi dalla matrice medico-psichiatrica che l’aveva generato, fino a darsi come piattaforma affermativa condivisa da un soggetto collettivo che si sta agglutinando a livello planetario?

Lascio in sospeso le questioni per ripercorrere alcune tappe dello sviluppo dello sfondo teorico di tale discorso, e del movimento che se ne è sviluppato. Evito la digressione consueta sulla genesi del termine “autismo” (Eugen Bleuler [Freud/Havelock-Ellis], Leo Kanner, Hans Asperger, Lorna Wing e le metamorfosi intercorse nella sequenza dei DSM), sono cose stranote, quello che qui mi preme sviluppare è l’analisi di alcune risonanze tra una diagnosi clinica e il tempo in cui si è data, e del costituirsi di un lessico e di un orizzonte affermativo condivisi.

Robert Chapman, L'impero della normalità

L’autoracconto è stata la prima forma dell’affermatività autistica, l’esposizione delle proprie specifiche non conformità, delle modalità singolari per venire a patti col mondo. Spesso gli autori hanno raggiunto qualche notorietà, come la macellaia Temple Grandin, Donna Williams, Daniel Tammet, John Elder Robison, a volte l’esito dell’autobiografia sub specie autismo si è rivelato particolarmente felice, come nel caso di Canti della nazione gorilla della primatologa e antropologa autistica Dawn Prince, recentemente tradotto.2 Come ancora aveva rilevato Hacking, queste forme di auto narrazione hanno creato uno spazio discorsivo, la dimensione esperienziale condivisa ha generato un lessico, un modo per parlare di autismo distinto da quello medico e delle discipline della “cura”.

Negli stessi anni si sono venuti individuando i Critical Autism Studies come disciplina specifica di studio dell’autismo dalle prospettive delle scienze umane. Alcuni autori hanno cercato di comprendere quali contingenze culturali specifiche abbiano portato all’emergenza del discorso sull’autismo nella prima metà del Novecento, come Majia Holmer Nadesan in Constructing autism,3 altri di indagare le ragioni dell’esplosione di interesse per quella che pochi anni prima era una diagnosi rara, come il gruppo di Gil Eyal in The autism matrix,4 o Roy Grinker nella prima parte di Unstrange minds,5 libro che ha inaugurato lo studio dell’autismo da una prospettiva antropologica. Nel tempo i contributi allo sviluppo dei Critical Autism Studies sono proliferati, in tempi recenti autori come Anne McGuire, Melanie Yergeau, Julia Miele Rodas e Nick Walker hanno rilanciato i discorsi e aperto nuove prospettive di ricerca.

Un altro fenomeno si affianca e corrobora i discorsi. L’attivismo social è un inedito complesso e problematico, può creare reti virtuose o risolversi in palestra di narcisismo, ma certamente è un potentissimo amplificatore, nel bene o nel male. Innegabilmente l’emergenza del non conforme relazionale, sensoriale, cognitivo deve moltissimo agli strumenti per la comunicazione mediata dalle tecnologie. Tra le prime cose che avevo letto a tema è stata nel 2001 The geek syndrome 6 articolo di Steve Silberman apparso su Wired, ora sembra antico, l’autismo non è più quello che era allora, ma coglieva qualcosa di essenziale, il rapporto ambivalente tra problematiche relazionali e tecnologie della comunicazione. A distanza di un quarto di secolo tutto è cambiato, ma la risonanza tra questione relazionale e modi della comunicazione è rimasta, si è articolata, insiste nelle reti sociali, punta a qualcosa di essenziale nell’ontologia del tempo presente.

In questo proliferare di ricerca e attivismo, il libro di Robert Chapman è un contributo originale, che in qualche modo segna una svolta nei discorsi. Per un verso si ricollega direttamente agli autori che hanno creato il Modello Sociale inglese della disabilità, per il comune sfondo teorico marxista e la conseguente sintonia nell’analisi dell’evoluzione storica della relazione al non conforme, nella prima parte del volume sono del resto ricorrenti i riferimenti a Vic Finkelstein e Roddy Slorach.7

Su altro fronte L’impero della normalità si innesta in un’analisi collettiva in corso sui rapporti tra neoliberismo e autismo. Uno dei fronti della ricerca è come l’autismo abbia generato un florido mercato, un libro recente decisamente interessante, The Autism Industrial Complex di Alicia A. Broderick,8 analizza l’industria-autismo, tra cui spicca quella delle terapie di conversione, Majia Holmer Nadesan si è occupata invece del mercato della ricerca genetica.9

Lo specifico interesse dell’analisi di Chapman è il riflesso sulla psiche delle dinamiche totalitarie del capitalismo nella sua fase attuale, rottura dei legami sociali, progressiva elisione delle forme di supporto economico pubblico, precarizzazione della vita. L’irrigidirsi progressivo dell’impero della normalità, di cui il libro si propone genealogia, esacerbato dalla ratio neoliberista, disabilita chi non tiene i ritmi, spinge ai margini del sociale chi manifesta forme di non conformità non cooptabili alle necessità del mercato.

Ho individuato in precedenza alcuni passaggi nell’evoluzione del discorso pubblico sull’autismo, mi sembra che il libro di Chapman indichi e sia in sintonia con una svolta ulteriore, la costituzione di una soggettività collettiva consapevole, parafrasando l’undicesima tesi, gli autistici fino a oggi si sono limitati a interpretare il mondo, ora si tratta di cambiarlo: questa mi sembra la proposta del neurodivergent marxism. La collettività autistica si sta muovendo verso una condivisione del discorso pubblico, rimarcandone la dimensione essenzialmente politica. Non è pubblicità impropria, ma viene a corroborare quanto detto, ricordare la pubblicazione recente di un libro collettivo a cui ho partecipato e che di ciò fa tema, Politiche dell’autismo. Etica, epistemologia, attivismo, a cura di Alberto Bartoccini, Giulia Russo e Lorenzo Petrachi.10 Seguendo da decenni il discorso, ho la percezione che si stia riproponendo in modo consapevole a livello planetario lo spirito di co-elaborazione di pensiero che negli anni Novanta, nella mailing list InLv, aveva generato il concetto di neurodiversità.

Tornando alle domande con cui ho aperto questo breve annesso, a unire in un progetto emancipativo comune persone con esperienze di vita assolutamente disparate è la comune insistenza in un margine. Assistiamo alla presa di parola di quelli che Dario Paccino, in deliziosi libretti di trent’anni fa, chiamava gli invendibili e i malvenduti. I non conformi alle logiche del mercato.

Note:
1) Ian Hacking (2008), Plasmare le persone, Macerata, Quattroventi, a cura di M. Casonato e A. Bella.
2) Dawn Prince (2025), Canti della nazione gorilla, Milano, Edizioni degli animali, a cura di feminoska e Marco Reggio.
3) Majia Holmer Nadesan (2008), Constructing Autism: Unravelling the ‘Truth’ and Understanding the Social, London, Routledge.
4) Gil Eyal (2011), The Autism Matrix: The Social Origins of the Autism Epidemic, Cambridge, Polity.
5) Roy Grinker (2008), Unstrange Minds: Remapping the World of Autism, New York, Basic Books.
6) Ora in Enrico Valtellina (ed.) (2020), L’autismo oltre lo sguardo medico. Introduzione ai Critical Autism Studies, Trento, Erickson.
7) Roddy Slorach (2016), A Very Capitalist Condition: A History and Politics of Disability, London, Bookmarks Publications.
8) Alicia A. Broderick (2022), The Autism Industrial Complex: How Branding, Marketing, and Capital Investment Turned Autism into Big Business, Gorham, Myers Educational Press. Per un’analisi critica del libro si veda la recensione di Ian Parker: https://anticapitalistresistance.org/the-autism-industrial-complex/
9) Majia Holmer Nadesan (2011), Autism and Genetics: Profit, Risk, and Bare Life: Across the Spectrum of Neurological Difference, Minneapolis, University of Minnesota Press.
10) Alberto Bartoccini, Giulia Russo e Lorenzo Petrachi (a cura di) (2025), Politiche dell’autismo. Etica, epistemologia, attivismo, Roma, Derive/Approdi. Libro nato da una call a cui hanno corrisposto in tanti, per cui ha generato un gemello diverso, Anonima Autistic3 Associat3 (a cura di) (2024), La triade dell’autismo. Etica, epistemologia, attivismo, Sesto San Giovanni, LEM Libraria.


Immagine di copertina:
illustrazione di Mina Mimosa per il progetto Neurodivergent Crip del collettivo “just wondering…

 
Crowdfunding Associazione Ibridamenti APS