[Pubblichiamo la versione italiana della “Prefazione” di Luca Negrogno e Delia Da Mosto al libro Reabilitar. Uma perspectiva basagliana, a cura di Maria Stella Brandão Goulart, Editora Rede Unida, 2024].

La riflessione Basagliana calata nelle tensioni e nelle domande brasiliane riacquista una vitalità e un vigore che in Italia sono da lungo tempo scomparsi: la chiusura dell’elaborazione e del dibattito interno alla psichiatria riformata,1 contestualmente con il dilagare dell’egemonia aziendalista e con l’inaridimento dello spazio politico intervenuti a partire dagli anni ’90 (F. Scotti, 2021), hanno indebolito la struttura materiale e la densità culturale delle istituzioni pubbliche, la loro complessiva disponibilità a rispondere ai bisogni della popolazione, il rapporto tra la salute mentale critica e la società.

In Italia il significante “Basaglia” si è trovato svuotato di reali riferimenti riconducibili a pratiche sociali all’altezza di quanto elaborato nelle sperimentazioni locali e nazionali che si sono richiamate fino agli anni ’80 al movimento anti-istituzionale. Privati della maggior parte dei loro addentellati reali i contenuti basagliani hanno svolto funzioni meramente compensatorie, ideologiche o consolatorie. Per ritrovare usi vitali di queste materie il Brasile offre un campo importante di osservazione: nell’asprezza delle contraddizioni locali i temi basagliani funzionano come strumenti delle lotte e delle elaborazioni sperimentali, in composizioni politiche, sociali e tecniche del tutto ignote in Italia. In Brasile gli stimoli di Franco Basaglia e del movimento anti-istituzionale fungono da dispositivi in grado di autolimitare la loro invadenza coloniale e aprire a riflessioni impreviste che contribuiscono ad attivare il protagonismo di popolazioni marginalizzate. Infatti, mentre in occidente si sono voluti comprimere i contenuti della deistituzionalizzazione nel framework della Salute Mentale Globale, di cui però si è riconosciuta criticamente la tendenza ad esportare un modello occidentale di malattia e trattamento (D. Summerfield, 2012), nel contesto brasiliano il movimento anti-manicomiale si inserisce all’interno di una cornice di attivismo più ampio, composto da persone razzializzate, sex workers, LGBTQIA+, psicanalistə lacanianə atipicə, e popoli originari variamente congiunte in cui si rende evidente che nelle pratiche di riabilitazione sono in questione diritti civili, culturali e, soprattutto, sociali. Di conseguenza il concetto di “riabilitazione”, in Italia schiacciato su articolazioni oggettivistiche e tendenzialmente sanitarizzanti – sia che si focalizzi sugli aspetti organici dei deficit dell’utenza sia che indichi come elemento essenziale l’organizzazione territoriale dei servizi – riacquistano in Brasile la poliedricità e la complessità che derivano dall’assumere come contraddizione aperta il rapporto irrisolto tra tecnica e politica.

Reabilitar - copertina

Questo libro mescola punti di vista italiani e brasiliani proprio a partire dalle ampie controversie che si aprono attorno a un concetto di riabilitazione così inteso. In primo luogo, si tratta di una riflessione sulle pratiche – variegate e con diverse fonti di ispirazione, dalla psicanalisi al cognitivismo. Si considera inoltre la continuità del concetto di riabilitazione – e le possibili derive implicate dalle sue varie formulazioni – con i “modelli” di recovery e partecipazione (si vedano le riflessioni di Venturini nel capitolo Reabilitação Psicossocial: uma Revisão na Perspectiva Basagliana), fino ai rischi contenuti nei concetti affini di “inclusione” e “integrazione”. Come riporta Goulart nella Presentaçao, l’ampiezza di questo campo semantico si accompagna con fenomeni locali di «perdite di significato» (Pitta, A., a cura di, Reabilitação psicossocial no Brasil, p. 9), mentre nel tentativo di volgerlo in senso emancipatorio si incontra la difficoltà di collocarsi tra due polarità contrapposte: da una parte il «pregiudizio adattivo» delle «visioni fisico-ortopediche», dall’altra le «prospettive critico-politiche che ispirano la lotta per la cittadinanza». Naturalmente queste ultime, che sulla scorta della lezione Rotelliana vedono la riabilitazione come vettore di una fuoriuscita dal campo tecnico specifico della salute mentale e del sociosanitario, a vantaggio di uno sfondamento nel campo delle pratiche sociali e delle rivendicazioni politiche sui diritti (B. Saraceno & G. Gallio, 2023), è quella in cui la maggioranza delle autrici, italiane e brasiliane, si collocano. Tuttavia, l’assunzione della riabilitazione come concetto dalle molte interfacce, da abbracciare criticamente, consente alla riflessione che qui si presenta, di esplorare questioni epistemologiche, politiche, cliniche, sociali, che in Italia restano per vari motivi oscurate. Nonostante l’esistenza di un arcipelago di “buone pratiche”, infatti, in Italia esiste il forte rischio che queste restino sempre subalterne rispetto all’orientamento neutralistico generale basato sull’ipertecnicismo prestazionale (R. Ierna, 2014) – e che, almeno in parte, contribuiscano oscuramente a riprodurne l’egemonia.

In Brasile quando si pronuncia lo slogan secondo cui «deistituzionalizzare è riabilitare il contesto» – come dice Rotelli nella sintesi di Saraceno e Gallio (2023) – risuona con evidenza il legame tra il contrasto alle istituzioni psichiatriche segreganti e la lotta politica per la realizzazione di una società democratica. I recenti progetti di legge sulla «internação humanizada»2 (versione edulcorata ma confluente con gli altri più espliciti progetti, sulla «internação involuntária», entrambi riconducibili all’unica tendenza che «normatiza e facilita o processo de certificação das Comunidades Terapêuticas»),3 nonostante il freno imposto elettoralmente al potere bolsonariano, mostrano che la resistenza progressista non ha ancora avuto la capacità di innervare fino in fondo le pratiche sociali. Venti reazionari continuano ad attraversare la vita politica brasiliana: la perdurante povertà dei servizi, l’esorbitante potere dell’apparato pratico-ideologico delle cliniche private, il predominio economico delle comunità terapeutiche sui servizi territoriali,4 continuano ad orientare le politiche pubbliche e a sovradeterminare in senso reazionario l’espressione dei bisogni della popolazione.

In Italia l’istituzionalizzazione delle lotte degli anni ’60 e ’70 ha portato a situazioni in cui le logiche di funzionamento dei servizi sono state oggettivate entro dispositivi di asettica efficienza, con principi di economicità manageriali; in taluni casi si sono aperti degli spazi di pensiero sulla complessità al fine di adattare l’approccio basagliano al contesto attuale e «allineare il sistema [dei servizi] ai bisogni reali» (Fioritti A., Chi non innova perde il proprio passato. I quarant’anni della legge 180 in Italia ed in Emilia-Romagna, in Costi D., Ugolini P., Vignoli T. (a cura di), Sestante. 40 anni di Apertura mentale. Anniversario della legge Basaglia, pp. 3-9, 2018), introducendo ibridazioni con i modelli cognitivisti anglosassoni e individuando nell’impostazione rivolta a territorio e partecipazione una «sfida al tecnicismo», come riportato nel capitolo Percursos Sócio Reabilitativos em Bolonha. Tuttavia, questi approcci mantengono la centralità del paradigma medico e, a causa del crescente impatto delle politiche neoliberali, non sempre riescono a tenere legata l’altezza di tale apertura con le reali pratiche di incontro e con le forme locali di presa in carico. D’altra parte, la crisi della psichiatria anti-istituzionale in questo momento è data dal fatto che si riproducono pratiche di controllo e svuotamento della soggettività anche in servizi rinnovati e territoriali, non essendo né oggettivabili né trasmissibili i contenuti relazionali, esistenziali – forse definibili “terapeutici” – della pratica, del dialogo, dell’incontro con l’alterità sofferente (B. Saraceno & L. Negrogno, 2023). Che questo stia accadendo in Italia ha precise evidenze: anche nei territori più progressisti, accanto alle positive “buone pratiche”, resistono e anzi diventano “la norma” per alcune fasce e tipologie di popolazione la sommersione farmacologica, la contenzione e il ricorso all’immissione involontaria/coercitiva. Queste politiche di assistenza, caratterizzate dalla cronicizzazione e dalla presa in carico vincolata all’accettazione di ruoli sociali e aspettative di vita al ribasso per larga parte della popolazione, riducono il ruolo medico a funzioni ambulatoriali ed escludono totalmente dal suo paradigma la possibilità che, a partire dal lavoro dei servizi sulle singole storie di sofferenza, si sviluppi un empowerment di comunità allargato all’azione politica sulla società. La coesistenza di queste criticità con le “buone pratiche” – spesso coestensive per territorio, solo rivolte ad altre tipologie e altre fasce di popolazioni, quando non ad altri momenti della carriera morale di utente – finisce per oscurare e rendere opaca la comprensibilità totale del sistema invece di essere un pungolo alla sua critica.

In Italia vediamo in definitiva la «rischiosa dispersione» di una teoria anti-istituzionale che, invece di discutere i propri limiti epistemici e le sue articolazioni interne, si è andata appalesando in un orizzonte teorico ecumenico e pacificatorio: quel biopsicosociale che – come l’insieme delle teorizzazioni sulla salute mentale globale – sembra essere un vestito buono per tutte le occasioni, innervato del discorso astratto dei diritti ma incapace di fungere come strumento dirompente nelle contraddizioni del reale. Non è un caso che oggi le prospettive in grado di legare funzionamento dei servizi e dinamiche politiche e sociali più complessive debbano nutrirsi di elaborazioni “estere”, nate in momenti di effervescenza politica e sociale. Si vedano l’esempio del Portogallo nella storia della proposta di riforma delle Cure Primarie (in cui ha avuto un ruolo fondamentale la generazione uscita dalla dittatura salazarista, modello per la campagna PHC) e l’esempio del Brasile, appunto, che ha trovato nella valorizzazione dei saperi dei popoli originari un importante vettore di strutturazione dei Centri di Attenzione Psico-Sociale e che oggi si propone come campo fondamentale per la riflessione italiana sulla salute di prossimità.

Riccardo Ierna, provando a fornire una descrizione dei servizi di salute mentale italiani (in cui psichiatria e salute mentale sono ambiti semantici la cui ambigua sovrapposizione contribuisce alla complessiva opacità del sistema) denuncia, inoltre, le condizioni strutturali del rapporto pubblico-privato:

«Dai dati raccolti nell’annuario statistico del servizio sanitario nazionale relativo al 2020, emerge infatti che il 48,8% delle strutture ospedaliere del nostro paese sono gestite dalla sanità privata, così come il 60% dei servizi ambulatoriali, il 78% dei servizi riabilitativi e addirittura l’82% delle strutture residenziali, dando l’idea del peso che la sanità privata accreditata esercita oggi sul nostro sistema sanitario nazionale. Da questi numeri appare evidente che a farne le spese sono state soprattutto la qualità e l’efficacia del servizio pubblico, ulteriormente gravato dai tagli di spesa e dalla carenza di personale e in particolare quello della salute mentale territoriale» (Ierna R., Attualità e contraddizioni della via italiana al dopo riforma, in Bertani M., Colucci M., Di Vittorio M. (a cura di), Aut Aut. La psichiatria e il futuro della salute mentale. n. 399. Milano, Il Saggiatore, 2023, pp. 38-49).

Nonostante la fatica tragica dei vari tentativi progressisti di governare il rapporto pubblico-privato (è questa ormai l’unica posizione possibile per i tecnici italiani più avanzati), la rilevanza di questa contraddizione strutturale non è ancora accompagnata da una sufficiente riflessione. Senza un’adeguata riformulazione del senso del welfare pubblico i dispositivi di integrazione sociosanitaria, partecipazione e territorializzazione dei sistemi sanitari (per esempio quelli previsti dal Decreto Ministeriale 77/2022 e dalla normativa sul Budget di Salute) rischiano di risolversi in meri aggiustamenti quantitativi rivolti alla razionalizzazione dell’esistente e non alla costruzione di reale prossimità. Quest’ultima emerge in Brasile dalla riappropriazione di saperi e poteri da parte delle popolazioni subalterne, come elaborazione delle resistenze decoloniali, che si esplicitano nella generazione di spazi di cura indisciplinati, come il Centro Bahserikowi di Medicina Indígena da Amazônia (J.P.L. Barreto, 2018), nello sviluppo di progetti che si basano sul sapere situato (D. Haraway, 1991) o profano (M. Correa-Urquiza, 2023)5 e di micropolitiche di lavoro vivo (S. A. de Almeida & E. E. Merhy, 2020). D’altra parte, in Italia come in altri paesi europei, nelle amministrazioni locali più progressiste, c’è il rischio che i saperi emergenti dalla prossimità vengano meramente importati, con un approccio governamentale e orientato all’appropriazione coloniale dei saperi subalterni, in cui mediante la generazione di un «comunitarismo acconflittuale» si esplicitino ulteriori processi di controllo sociale (L. Negrogno, 2022).6 Ci troveremmo così di fronte a un paradosso: mentre il Brasile riarticola il sapere proveniente dal nord globale per sostenere pratiche decoloniali, l’Italia importa pratiche decoloniali tramutandole in strumenti governamentali, relegando il sapere situato ai margini 7 e generando ulteriori strumenti di cooptazione di soggettività, riconfermando così il movimento che Basaglia riconosce nell’ideologia, che «è libertà mentre si fa e oppressione quando si è costituita» (Rotelli F., Per Franco Basaglia: “L’uomo e la cosa”).

Questo libro intende invece proporre una visione non appropriativa dei rapporti tra sud e nord globale in continuità con la tradizione sviluppata dal Laboratorio italo-brasiliano, un dispositivo di cooperazione tra la Regione Emilia-Romagna, le università e i servizi sanitari dei due paesi esistente dal 2014, che, nonostante la cornice formale della cooperazione internazionale «solitamente prevede che le iniziative vengano realizzate a supporto del paese beneficiario […], si è contraddistinto per un forte spirito di reciprocità»,8 in continuità con il fermento intellettuale e politico che ha sostanziato le esperienze di riforma sanitaria nei due contesti (A. Martino et al. 2016).

Il Brasile è attraversato ancora oggi da movimenti politici partecipati da operatrici e popolazione, profondamente imbricati nelle mobilitazioni di base e nella riflessione clinica psicanalitica, dall’elaborazione dei quali emerge una precisa impostazione antistituzionale della riabilitazione, volta alla costruzione di contrattualità sociale e diritti, irriducibile allo spazio tecnico e vettore di riapertura e riconfigurazione dello spazio politico. In questo libro si parla infatti, in una cocente consapevolezza delle contraddizioni che implica, di «forzare aperture nelle strategie di controllo», scavando negli spazi che si aprono laddove si riesca ad allentare il nodo in cui si stringono i tre vettori di tutela, professionalismo e patologizzazione. Il rapporto tra inclusione sociale, salute mentale e diritti umani assume una traiettoria specifica che ha a che vedere con la realtà storico sociale di un paese caratterizzato dalla violenza strutturale ai danni dei popoli originari e delle persone razializzate – di fronte alle quali la mera cittadinanza è un dispositivo insufficiente perché riproduce in sé l’oppressione. Proprio il contesto disuguale in cui sono inserite le persone (che in Italia sarebbero definite “fragili”) permette un’attivazione dal basso che si rispecchia anche nello sviluppo di servizi legati con l’attivismo e con una lettura decoloniale dei problemi. Quando le soggettività impegnate nella riforma psichiatrica brasiliana denunciano le barriere all’accesso dello spazio politico ci parlano della irrisolvibilità dei problemi di salute mentale in una mera dimensione tecnica di riabilitazione; è infatti socio-politico lo spazio in cui la contrattualità sociale (casa, relazioni e lavoro) si realizza e di conseguenza diviene possibile la riacquisizione della soggettività e anche del rapporto clinico con essa. Si tratta di un campo irriducibile tanto a una pratica tecnica socio-sanitaria quanto ad un privatismo psicoterapeutico in quanto investe direttamente la questione del potere e dei diritti sociali e civili connessi alla soggettivazione stessa. Dal punto di vista del Brasile appare più chiaro anche il rischio implicito nel pervasivo discorso patologizzante della prevenzione, vale a dire il suo legame con le forme più violente di controllo sociale, quando la pratica preventiva non è un’azione collettiva e politica di intervento «antispecialistico e antipsichiatrico».9 Per certi versi in Brasile è più evidente che le uniche istituzioni progressiste sono istituzioni della contraddizione, capaci di tornare a Basaglia in modo non celebrativo ma sistematico. Questa capacità di vedere fino in fondo e fin da subito la contraddizione deriva forse dal fatto che, quando Franco Basaglia incontra il Brasile,

«parla da un passato presente nel quale i segni del cambiamento oggi compiuto erano già visibili, da una fase già “post-manicomiale” potremo dire, di cui Basaglia rintraccia le radici nei riformismi del secondo dopoguerra, guardando all’Europa e all’Italia ma anche agli Stati Uniti. Questo gli consente, per esempio, di evidenziare le due opposte anime politiche che anche in Italia vedremo all’opera nella chiusura dei grandi istituti pubblici di internamento: l’anima “reaganiana” dei tagli alla spesa pubblica e dell’abbandono dei malati, e quella dei diritti di cittadinanza e dell’offerta di una “alternativa di cura”, che qualifica la nuova legge italiana e che per Basaglia è la sola che potrebbe portare davvero “al superamento dei manicomi come distruzione dei meccanismi dell’istituzione”».10

Il libro non solo (ri)dà valenza e vita alla pratica Basagliana ma ne approfondisce il significato politico e culturale tramite il dialogo con nuovi linguaggi: in primo luogo quello dei progetti artistici come costruzione di possibilità di espressione e di ri-significazione della vita, in una visione della politica culturale volta a contribuire al consolidamento della Cittadinanza Culturale come elemento di ricostruzione della vita,

«attraverso esperienze di cultura e di arte […]. Attraverso tutte queste esperienze di arte-cultura che si stanno sviluppando, la dimensione socioculturale della Riforma Psichiatrica mostra la sua importanza come dimensione di trasformazione del rapporto sociale con la follia e la sua importanza per il campo della Salute Mentale in Brasile oggi».11

Questi progetti, elaborati al crocevia tra riflessioni politiche e psicoanalitiche, non sono risolvibili né in forme di arteterapia né in percorsi di formazione professionale: si basano sulla “valorizzazione” delle capacità intrinseche delle persone, determinando non solo il riconoscimento del sapere situato (D. Haraway, 1991) ma anche l’utilizzo di quest’ultimo per favorire un cambio culturale che sommando l’esperienza vissuta «alla forza della tessitura delle singolarità nel collettivo, permette l’emergere di azioni trasformative»12 che decostruiscono il paradigma psichiatrico.

Questo confronto tra Italia e Brasile può riattivare la consapevolezza che l’istituzione psichiatrica (qualunque istituzione psichiatrica, non solo il manicomio) tende inevitabilmente a sovradeterminare la lettura dei bisogni sociali, a restituire come “dati” gli equilibri di un conflitto politico in corso, a plasmare il modo in cui le popolazioni leggono i loro bisogni: restituendo in forme “tecniche”, “specifiche” e adattive quelli compatibili e negando e disumanizzando quelli incompatibili all’ordine politico e alle gerarchie sociali dominanti. Accogliendo invece la critica alla individualizzazione psicologistica dell’empowerment e la necessità di una visione complessa del concetto di salute mentale – per evitare che esso si declini in mera ingiunzione performativa e produttivistica – si apre un’altra possibilità. Se, come scrive nel terzo capitolo Bruna Zani, il costrutto dell’empowerment acquista senso quando riportato a una dimensione collettiva di capacità globale di determinare le politiche pubbliche e di fare valere in esse il significante della salute mentale come strumento di rivendicazione di diritti, pace e uguaglianza (e non come dispositivo tecnico di controllo individualizzante delle popolazioni), possiamo dire che questo libro esprime la capacità del movimento anti-istituzionale brasiliano di assumere un ruolo guida nella lotta anti-istituzionale. La capacità di dialogo con le pratiche sociali diffuse attraverso gli strumenti artistici, il dialogo profondo tra organizzazione dei servizi e riflessione clinica, una declinazione della prossimità legata più alle lotte sociali che alle tecniche governamentali, questa capacità – inedita in Italia – di usare insieme Gramsci e Deleuze sono aspetti che collocano la pratica e la riflessione brasiliana del movimento anti-istituzionale più avanti di quella italiana. Con questa consapevolezza contribuiamo a questo testo, nella speranza che le sue elaborazioni arrivino fino in Italia, dove abbiamo da (r)imparare.

Bibliografia

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Saraceno B., Gallio G., Il futuro delle politiche di salute mentale nell’ultimo dialogo con Franco Rotelli, in Filoni M. e Palma M. (a cura di), Aut Aut, 399/2023, Il doppio gioco di Kojève
Saraceno B., Negrogno L., Ma come si curano le malattie mentali? (prima parte), in Machina, 2023
Scotti F., 1.2 Nascita ed evoluzione di una psichiatria di comunità in Umbria. 1. Per una storia della riforma psichiatrica in Umbria. SMAS Studi e Materiali di Antropologia della Salute, Perugia, Morlacchi Editore, 2021
Summerfield D., Afterword: Against “global mental health”, in Transcultural Psychiatry, Vol. 49, n. 3-4, 2012, pp. 519–530

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Note:

1) Gian Franco Minguzzi si dimette da presidente di psichiatria democratica (da lui e Basaglia fondata) nel convegno di Arezzo 1976. Le sue tesi vertevano sulla necessità di fare entrare la psicologia nelle università e nelle asfittiche specialità di psichiatria e nelle scuole infermieristiche e pedagogiche, sociali ed educative. Ravvisava la necessità della formazione e della ricerca a supporto delle politiche di chiusura dei manicomi come atto fondativo del processo di riforma del SSN che sarà la legge 833/1978. Lo scontro ad Arezzo fu duro e si decise di affrontare la contraddizione primaria (il manicomio) rimandando quella secondaria della formazione/ricerca/università al dopo. Varie esperienze di demanicomializzazione esistevano in Europa e USA, nessuna di esse tuttavia realizzava radicalmente l’espunzione di luoghi segreganti dal complessivo processo di cura delle persone. Una linea diffusa in quegli anni propugnava di costruire servizi territoriali che circondassero il manicomio rendendolo superfluo; in particolare in Emilia Romagna sono fondamentali le esperienze di Jervis, Mistura, Polletta, Ascoli, De Plato, solo per citarne alcuni: si tratta di servizi estrattori e preventivi del manicomio. Il rapporto con Minguzzi fu decisivo anche negli anni seguenti alla rottura in Psichiatria Democratica per formulare la linea che rispondesse alla “contraddizione primaria”; nel frattempo Minguzzi e Galli continuarono nel territorio bolognese a perseguire la loro linea formativa orientata al contatto con la psicologia e le scienze umane, con effetti che perdurano ancora oggi. Ringraziamo Angelo Righetti per questa nota.
2) Con la presente si fa riferimento al Projeto de Lei N° 00009-2024 recentemente approvata a Niteroi, e il Projeto de lei n.19.044/2024 di Florianopolis, che prevedono il ricovero coatto di persone senza fissa dimora.
3) A titolo esemplificativo si cita la recente creazione del Departamento de Entidades de Apoio e Acolhimento Atuantes em Álcool e Drogas che attraverso al portaria 962/24 stabilisce in modo contradditorio i criteri per la certificazione delle entità che attuano nel campo dell’alcol e delle droghe, escludendo le realtà basate sulla “riduzione del danno” ad appannaggio delle Comunità Terapeutiche.
4) Attualmente ci sono 587 Comunità Terapeutiche finanziate per il Ministero dello Sviluppo Sociale, Famiglia e Contrasto alla fame, che supera il numero di CAPS (443) e di Unità di Accoglienza (70).
5) A titolo esemplificativo si riporta il progetto Bikes da Prevenção: nos entremeios da Inclusão, Equidade e Cuidado, che completato nel 2019 a Rio de Janeiro, aveva l’obiettivo di «consentire l’accesso alle azioni di riduzione del danno e alle terapie della rete sanitaria del comune alla popolazione in situazione di vulnerabilità» tramite la costruzione di un gruppo operativo composto da persone che condividevano parte della biografia delle persone beneficiarie del progetto, generando da quel momento in poi, altre possibilità di lavoro e di cura orientate dal sapere esperienziale.
6) Si ritiene utile riportare alcune riflessioni sviluppate nell’ambito dei Mad Studies secondo cui “i concetti attivisti come recovery, inclusione, accessibilità e speranza sono stati cooptati, appropriati e politicamente neutralizzati da decisori politici, fornitori di servizi e governo” (B. McWade, D. Milton, R. Beresford, 2015), rendendo le posizioni di peer support worker accessibili solo a coloro che si identificano nella narrativa della recovery, omettendo il disagio, l’abuso e la violenza subita (A. Dhar, 2022; N. Rose & D. Rose, 2023).
7) Con il rischio che le figure di prossimità si istituzionalizzano come “nuovi funzionari del consenso” (F. Basaglia & F. Ongaro Basaglia, 1975).
8) Belluto M., Consoloni M., L’Antropologia nella Primary Health Care, in Antropologia Pubblica, Vol. 8, n. 2, 2022, pp. 37-54.
9) Basaglia F., L’Istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, Torino, Einaudi, 1968, pp. 7-9. Sull’uso del concetto di antipsichiatria relativo all’opera e al pensiero di Franco Basaglia si veda John Foot, La repubblica dei matti. Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia, 1961-1978, Feltrinelli, 2017. Scrive Franco Basaglia nella Prefazione a L’Istituzione negata: «Il rovesciamento di una realtà drammatica ed oppressiva (il manicomio), non può dunque attuarsi senza una violenza polemica nei confronti di ciò che si vuole negare, coinvolgendo nella critica i valori che consentono e perpetuano l’esistenza di una tale realtà. Per questo il nostro discorso antiistituzionale, antipsichiatrico (cioè antispecialistico) non può mantenersi ristretto al terreno specifico del nostro campo di azione. La polemica al sistema istituzionale esce dalla sfera psichiatrica, per trasferirsi alle strutture sociali che lo sostengono, costringendoci ad una critica della neutralità scientifica, che agisce a sostegno dei valori dominanti, per diventare critica ed azione politica» (1° ed. 1968, p. 7).
10) Giannichedda M. G., Introduzione, in Basaglia F., Ongaro Basaglia F., Giannichedda M. G., Conferenze Brasiliane, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2018, pp. 8-23.
11) Goulart S., Centros de convivência: arte, artífices e artefatos, in Reabilitar, pp. 201-253.
12) Correa-Urquiza M., Movimiento loco: saberes colectivos, saberes compartidos. Itinerarios y contrahegemonía para una reforma continua en el ámbito de la salud mental, in Ferla A.A., Cabral K.V., Belloc M.M., Nicoli A. (a cura di), Saúde Mental Coletiva: transoceanizando políticas e práticas locais-globais, Porto Alegre, Editora Rede Unida, 2023, pp. 215-230.