Forse per il finale orfico della seconda stagione, forse perché avevo finito da poco il saggio a fumetti Land of the Dead di Brian McDonald e Toby Cypress, terminata la seconda stagione di Severance non ho potuto fare a meno di leggere l’ultima puntata (se non l’intera stagione) come una catabasi mancata. Mark, il protagonista, scende negli inferi del lavoro, rappresentati esplicitamente come un mondo dei morti, per resuscitare sua moglie (proprio come Orfeo); alla fine, però, quando si guarderà indietro, sarà lui a rimanere e lei a scappare (si presume) dal mondo dei morti. A meno che. Dipende da quale punto di vista stiamo adottando.

Un passo indietro: di cosa parla Severance?

Il concetto alla base di tutta la serie è anche quello che le dà il nome: il processo di severance (“scissione” in italiano) con il quale si riesce a scindere la coscienza delle persone. Si creano quindi dei nuovi sé (innies, interni) e dei vecchi sé (outies, esterni), ciascuno privo delle memorie delle esperienze dell’altro. Una tecnologia che può venire declinata in vari modi, e lo è anche all’interno della serie1, ma che fondamentalmente Severance usa per concretizzare l’alienazione grottesca del mondo del lavoro corporate.

Gli innies diventano quindi i dipendenti che vivono solo dentro al proprio mondo-ufficio, mentre gli outies timbrano ogni giorno il cartellino e un secondo dopo (nella loro percezione) sono fuori dall’ufficio, giornata lavorativa finita e possono continuare la propria quotidianità. Per iniziare a mettere insieme gli elementi della catabasi va fatto notare che il piano dove lavorano gli innies è sotterraneo, vi si accede solo con un ascensore che fa transitare i dipendenti da uno stato di coscienza all’altro (outies->innies scendendo, innies->outies salendo), inoltre uno dei personaggi principali, non il protagonista ma quello che metterà in moto l’azione, viene chiamato Helly, nome che richiama l’inferno in cui è ambientata la vicenda.

È importante notare anche come il passaggio di informazioni tra i due mondi sia vietato e rigorosamente controllato: a gestire il processo e il suo svolgimento c’è la Lumon, zaibatsu low-tech al centro del mondo di Severance, che, tra le altre cose, domina anche la suddetta tecnologia e buona parte della società. Si tratta di una versione assurda, quasi fantozziana, più uncanny che inquietante, della nostra realtà e della stessa Apple (Severance è prodotta e distribuita da Apple TV), con tanto di culto del fondatore e design retrofuturistico.

Venendo alla narrazione, la prima stagione potrebbe sembrare l’opposto di una catabasi: per quanto sia presente un inferno grottesco e burocratico alla Dylan Dog,2 il protagonista Mark non impara niente, anzi non visita proprio l’inferno, perché ne è sempre fuori, non ne fa esperienza. Il punto è che il protagonista vero di questa serie non è (tanto, o solo) oMark (outie Mark), ma (soprattutto) iMark (innie Mark).

È chiaro fin dalle prime scene che lo spettatore è messo nella condizione di iMark (anche se non in maniera così radicale) e all’inizio non sa o non capisce cosa stia succedendo, né perché oMark abbia preso la decisione di farsi scindere, né comprende quasi nulla del mondo esterno. Gli innies, infatti, mantengono una memoria semantica (una conoscenza di tipo oggettivo), ma non sanno nulla della propria vita là fuori, o meglio quella dei propri outies. Uno dei “misteri” della prima stagione è proprio perché i quattro protagonisti – Mark e i suoi tre colleghi di stanza – abbiano scelto di sottoporsi a una procedura così invasiva, che va a intaccare il cervello con conseguenze non chiare né facilmente reversibili.

La linea narrativa principale segue Mark, è la più tragica e mostra come l’uomo abbia scelto di farsi scindere in seguito all’incidente mortale di sua moglie Gemma, per essere libero dal dolore almeno durante le ore di lavoro. L’iMark creato di conseguenza non sa niente del mondo esterno, di aver (avuto) una moglie, di avere una sorella, un cognato, una vicina di casa.

La prima stagione è quindi più simile a una fuga da Matrix che a una catabasi, un processo gnostico di scoperta di una realtà ulteriore (nonostante sia palese e dichiarata da subito la presenza di un mondo là fuori, anche se non se ne capisce del tutto la sostanza e soprattutto le implicazioni). Il vero colpo di scena infatti arriva all’ultima puntata, quando iMark (e i suoi colleghi, in contemporanea) riescono a risvegliare la propria coscienza di innies nei propri corpi all’esterno dell’ufficio, nel mondo a loro precluso:3 è solo allora che iMark si rende conto che la moglie morta di oMark è in realtà una sua collega (Ms. Casey, wellness counselor 4 del severed floor, il piano infernale nel quale sono rinchiusi gli innies), quindi viva e vegeta, da qualche parte dentro la Lumon. «She’s alive!» è l’ultima cosa che iMark riesce a dire là fuori, davanti a sua sorella, che intanto ha intuito di non trovarsi davanti al solito oMark.

Anche oMark nella prima stagione indaga, seppur controvoglia, sulla Lumon e inizia a essere curioso di sapere cosa facciano là sotto, e cosa facciano fare al suo innie, ma parte da un punto di vista epistemologico privilegiato rispetto a iMark e sicuramente da una posizione di potere superiore: oMark può spegnere iMark, ma non viceversa, salvo gesti estremi che però “spegnerebbero” entrambe le identità, come tenta di fare proprio iHelly, la collega innie di iMark che non accetta la propria condizione – e che diventa gradualmente l’interesse amoroso, corrisposto, di iMark – con un tentativo di suicidio sventato dalla sicurezza.

Dopo aver scoperto che forse Gemma non è morta, per la prima volta oMark ha più stimoli di iMark all’azione. È quindi il suo punto di vista quello più attivo nella seconda stagione, mentre iMark si trova in una situazione difficile poiché, per quanto non gli piaccia la propria condizione di recluso, non ha modo di svincolarsi: se oMark decidesse di licenziarsi, semplicemente smetterebbe di vivere. Nella seconda stagione questo aspetto è ribadito più volte: l’esistenza degli innies è legata al loro lavoro e al severed floor: non c’è via d’uscita. Se vengono licenziati o il proprio outie decide di lasciare il lavoro, la loro esperienza (e quindi esistenza) termina, in altre parole muoiono.

Severance S2

Nella seconda stagione viene anche sottolineato come l’amore dia spessore anche alle esistenze altrimenti assurde 5 e monotone degli innies, così come viene evidenziato il loro attaccamento alla propria vita, misera, kafkiana, ma pur sempre vita. Anche iHelly, che nella prima stagione era disposta a tutto pur di scappare da quel piano dei lavoratori/morti, ora è decisa a rimanere viva, cioè cosciente, grazie all’amore di iMark. iDylan (un altro collega) si innamora della moglie del suo outie (che lo viene a trovare come concessione della Lumon),6 anche lui ricambiato dalla moglie che ritrova l’innocenza di un marito non ancora sopraffatto dalla vita. L’unico che non riesce a trovare il proprio amore è il quarto collega: iIrving, il quale si era innamorato nella prima stagione di un altro innie, che però ora è in pensione, ovvero morto. Anche iIrving finirà quindi la propria esistenza, rassegnato, senza nulla da perdere. Sarà oIrving a cercare un affetto fuori da lì, per confrontarsi e tentare di portare il proprio sentimento al di là della scissione. La possibilità di trascendenza dei piani dei sentimenti è uno dei temi della serie, soprattutto nella seconda stagione, ma ancora non si è data una risposta: questo mi sembra uno dei punti centrali e allo stesso tempo uno dei suoi buchi neri. Se la serie dovesse proseguire, dovrà sciogliere questo nodo e, anzi, farne proprio il centro di una possibile risoluzione narrativa.

Un altro importante approfondimento della seconda stagione riguarda il lavoro degli innies protagonisti, quelli del MacroData Refinement (MDR):7 mentre durante la prima stagione sembravano semplicemente trascorrere otto ore al giorno (o, nella loro percezione, l’intera esistenza) a selezionare numeri su una schermata e raggrupparli in cartelle, senza neanche capire bene il criterio o il perché, in una parodia ancora una volta esplicita della vacuità del lavoro corporate, spesso guidato da numeri incomprensibili per gli stessi lavoratori che li manipolano quanto li subiscono, ora si viene a scoprire una verità più profonda su quei numeri. A quanto pare, iMark tramite quei numeri analizza e cataloga la mente di Gemma, la moglie del suo outie, il soggetto al centro dell’esperimento della Lumon. In questo senso, con la seconda stagione viene rivelata la centralità non solo narratologica del reparto e del personaggio stesso di Mark: la Lumon ha bisogno di lui molto più di qualunque altro dipendente e per farlo lavorare è disposta a compiacerlo, o meglio a compiacere il suo innie, che rivuole il proprio mondo, i propri colleghi, le relazioni – compresa quella amorosa – che l’hanno costruito lì dentro. Su questa china continuerà anche la parodia del compiacimento corporate, più costrittivo e verbalmente violento nella prima stagione, più sottile e pervasivo nella seconda, con tanto di surreale uscita di team building (pur sempre in ambiente controllato per soli innies) per rinforzare il credo nel culto aziendale, o commemorazioni a metà tra il funerale e festa delle medie per il congedo di iIrving (di nuovo passaggi letterali di qualcosa che si può rivedere molto facilmente in maniera meno esplicita ma altrettanto concreta nella propria esperienza lavorativa). Ma ciò che è più importante è proprio quella ricerca, il lavoro di Mark, quei numeri “inquietanti”, come definiti nella serie: nel progetto della Lumon quei numeri rappresentano la mente di Gemma, una coscienza estrapolata e sezionata, che però (a quanto pare) soltanto il suo innamorato, la persona a lei più vicina, può leggere e interpretare, anche se inconsciamente. Torniamo alla trascendenza dei sentimenti: come mai è iMark a lavorare su quei numeri, un iMark che non ha mai conosciuto Gemma, se non nella versione di Ms. Casey, usata proprio come verifica della scissione per entrambi, incapaci di riconoscersi attraverso dei corpi svuotati della loro memoria? Come fa iMark quindi a riconoscere quei numeri, a catalogarli? Persino la Lumon, pur nel suo approccio proto-scientista e sistematico, un approccio che divide intrinsecamente non solo la mente, ma anche la mente dal corpo, secondo un classico dualismo metafisico, per ottenere la completa catalogazione 8 di una mente cede implicitamente alla necessità dell’esperienza incarnata nel corpo, quello di Mark (nel ruolo di iMark). Per questo lo asseconda e gli restituisce anche il proprio amore innie e gli permette più libertà di movimento, così come concede anche a oMark dei giorni di ferie – attraverso un colloquio surreale, ma allo stesso tempo molto realistico, tra il datore di lavoro e il dipendente – quelli che gli serviranno per organizzare la propria discesa negli inferi.

L’abbiamo già detto, nella seconda stagione la situazione si è ribaltata: iMark ha meno stimoli a esplorare l’esterno e i misteri della Lumon, mentre oMark ne ha uno enorme (Gemma, la moglie creduta morta, rinchiusa emblematicamente in un livello ancora inferiore a quello del severed floor) per agire. Come nelle parole di McDonald, quello che sembrava il paese della cuccagna, la festa eterna, l’assenza di dolore, il lavoro senza noia e stress, si rivela ancora una volta il paese dei morti. Laggiù nel severed floor le regole della vita normale non funzionano e oMark proverà in vari modi ad aggirarlo per raggiungere Gemma, oltre il mondo dei morti, ma alla fine avrà bisogno di iMark per attraversarlo. Qui troviamo il primo fallimento di Mark: la rinuncia alla reintegration, un processo, né indolore né privo di pericoli, che dovrebbe riunire le esperienze di iMark e oMark, andare oltre la scissione quindi e permettere a Mark stesso di diventare una persona diversa, sulla scorta delle esperienze di entrambe le sue “personalità”. Nell’ultima, splendida puntata, oMark si prepara ad attraversare l’inferno con un approccio strumentale degno della Lumon; infatti, usa i mezzi stessi della evil corporation, anche se per il proprio tornaconto. Grazie a una stanza per partorienti dentro la quale risvegliare il proprio innie, cerca di convincere iMark ad aiutarlo, in un dialogo con sé stesso per mezzo di videocamera: la possibilità di parlare con sé stessi solo tramite una riproduzione esterna, macchinica, l’oggettivazione di sé per mezzo tecnologico, ma soprattutto le diverse posizioni di potere che sottendono lo scambio e la sua psicologia, meriterebbero un approfondimento a parte. Basti dire che l’approccio strumentale di oMark emerge sia nell’atteggiamento sia nelle parole che usa, e causerà l’inevitabile risentimento di iMark, il quale tuttavia non ha davvero scelta, se non autodistruttiva. Quindi i due dovranno semplicemente fidarsi l’uno dell’altro, in una missione a staffetta che potrebbe sembrare una catabasi. Ma ecco perché non funziona. McDonald ci insegna che la catabasi è un viaggio nel regno dei morti dal quale si torna trasformati, grazie al confronto con entità demoniache tentatrici o angeli che indicano una via diversa. Il problema qui (come nel resto della serie) è che Mark non va nel mondo dei morti, o meglio non ci va oMark, ma ci manda iMark: i due agiscono come personalità (se non entità) separate, scisse. Ed è per questo che oMark non fa una esperienza completa del mondo dei morti, e quindi la sua catabasi è imperfetta.

Attraverso varie peripezie e passaggi di consegne, oMark riesce a recuperare Gemma, riesce a farle risalire vari piani (i suoi gironi personali) fino a lasciarla nelle mani di iMark nel severed floor. iMark accetta di aiutare il proprio outie, pur con una certa riluttanza, e conduce Gemma all’uscita dal severed floor, dall’inferno, ma quando lei è già uscita, ed è apparentemente in salvo, lui, come Orfeo, si volta. E voltandosi vede iHelly, il suo amore, l’amore di iMark, entrambi rinchiusi nel severed floor e consapevoli di poter vivere il proprio amore e la propria vita esclusivamente su quel piano di esistenza. Il problema, per lo spettatore, per Gemma, per Mark stesso, è che di Mark ce n’è solo uno: iMark e oMark sono mutuamente esclusivi, non può esserci il lieto fine per entrambi. Dal punto di vista narratologico invece, il problema è proprio questa incapacità di Mark di fare esperienza del mondo dei morti. Non può apprendere niente su di esso (come oMark non apprende quasi nulla sul mondo interno della Lumon) e quindi neanche uscirne cambiato: oMark vuole soltanto Gemma indietro, viva, e basta. Non vuole cambiare sé stesso.

Dal punto di vista di oMark (e dello spettatore?), iMark si volta, ma al contrario di Orfeo a rimanere nel mondo degli inferi non è Euridice (Gemma) ma lui stesso. Euridice è in salvo, forse, là fuori. Il problema è di nuovo cosa c’è là fuori, qual è il piano dei morti. Perché per iMark il piano dei morti è l’esterno, non il severed floor: lui quindi si volta e lascia effettivamente Euridice all’esterno, salva, morta, non importa il termine qui: altra, estranea alla sua condizione di esistenza, e corre via con il suo amore innie. Ancora una volta il mito di Orfeo non si compie davvero, perché sì iMark si volta e in qualche modo perde (per sempre?) Euridice, ma quella non è la sua Euridice, è quella della sua coscienza esterna. Non c’è comunicazione tra i due mondi. Leggendola al contrario, è anche iMark a non fare esperienza dell’altro mondo dei morti, quello a lui precluso, quello che per noi è il mondo dei vivi.

Per questo, ancora una volta, il nostro Mark complessivo non riesce a risolvere le proprie tensioni interne, psicologiche e narratologiche, per l’incapacità di fare esperienza di entrambi i mondi, due mondi che anzi finiscono per contrapporsi proprio in quella conversazione tramite videocamera, diventando antagonisti, fino alla capitolazione dell’iMark, significativamente quello con il coltello dalla parte della lama,9 che ottiene soltanto la fiducia disperata (anche perché in assenza di alternative) del proprio outie.

La rivolta di iMark diventa quindi ancora più significativa, metafisica: la sua fuga con iHelly per il severed floor tinto per la prima volta di rosso, come l’inferno, è una fuga esistenziale, impossibile, e per questo bellissima. Salva Gemma, Euridice, ma non la accompagna fuori dal mondo dei morti: ci rimane a vivere la propria vita da dannato perché è l’unica possibilità per lui. La fuga continua senza direzione, perché non c’è una trascendenza possibile per iMark e iHelly, si fermerà solo con il fermo immagine virato sul rosso e sgranato, per la prima volta imperfetto, scabro, all’interno di un mondo infernale che non è più bianco come il ghiaccio secco, privo di attrito, e per questo, per la prima volta, vivo.

Ribaltando la catabasi, che è alla base di tante narrazioni, inceppandola, facendola esplodere, Severance ritorna sul tema centrale della coscienza e trae le conseguenze sul piano narrativo di un’impostazione esplicita e coerente con quella diegetica: la coscienza viene apparentemente analizzata e scissa dalla Lumon, tramite i suoi esperimenti proto-tecnologici, e proprio in questo modo però congelata, priva di risoluzione possibile, perché incapace di cambiamento. Severance sembra dire allo stesso tempo all’interno della narrazione e con la narrazione stessa che si può cambiare e prendere coscienza di sé solo con l’esperienza e in particolare con l’esperienza di un mondo altro (il mondo dei morti, un piano di esistenza diverso dal nostro, dal quale guardarsi indietro è apparentemente impossibile). La crudeltà analitica della Lumon, apparentemente efficace, mira invece proprio al congelamento delle esistenze, tanto degli innies quanto degli outies, permettendo, suggerendo, obbligando le persone a scindersi e vivere giorni sempre più controllati e asettici, privi di confronti tra realtà rigidamente selezionate e confezionate, tra schermi luminosi e gamification aziendali, supermercati e parcheggi deserti, cartelle in cui catalogare le nostre emozioni sotto forma di un numero. È la crudeltà di un illuminismo positivista che proclama (con Adorno e Horkheimer) «il dominio come scissione»,10 per questo la Lumon è pienamente in linea con lo spirito modernista di dominazione anche, o soprattutto, per le sue ricerche sulla coscienza.

Severance non è quindi soltanto una parodia aziendale o un’esplicita critica sociale alle big tech corporation, fin troppo potenti e pervasive, ma diventa una questione esistenziale: la nostra coscienza, così come le nostre narrazioni, hanno bisogno di confrontarsi con mondi altri per evolversi e non rimanere intrappolate in schemi prefissati, come cavie da laboratorio che si muovono alla cieca in un labirinto di pareti bianche e stanze assurde, dove vengono allevati capri espiatori e si selezionano numeri inquietanti su degli schermi retrofuturistici.

Note:
1) Ad esempio, viene usata anche per le partorienti, per non provare, o meglio: non ricordare (o ancora meglio: far provare alla propria innie), il dolore del parto.
2) La serie punta esplicitamente sulla critica sociale del mondo del lavoro attraverso un tono straniante e surreale, proprio come la burocrazia e il lavoro da ufficio, mentre non vira (quasi) mai sull’inquietante/orrorifico, come si potrebbe immaginare viste le premesse.
3) È importante ricordare che il corpo è sempre e solo uno, le due coscienze si accendono alternativamente con degli interruttori, dando vita a due personaggi diversi, con le loro peculiarità, ma che condividono lo stesso corpo (anche se questo forse è un modo scorretto, o quantomeno problematico, di vederla, ma è così che li propone la serie), in altre parole sono mutuamente esclusivi (e questo è particolarmente importante nella seconda stagione).
4) Un approfondimento andrebbe dedicato alle figure che popolano il severed floor della Lumon, o alla denominazione e alla stessa attività dei reparti – ad esempio, quello dove si allevano capri espiatori letterali: caprette cresciute in un’enorme stanza bianca, illuminata a giorno come tutti gli altri uffici sotterranei; oppure quello dedicato esclusivamente all’intrattenimento; o quello che si occupa delle palette di colori e degli oggetti da usare all’interno della Lumon –; anche l’estetica da backroom asettica, infinita, la gamification e infantilizzazione del processo lavorativo, reso possibile proprio dall’assenza di memoria e quindi di esperienza degli innies andrebbero esplorati.
5) Ma assurde per chi? Per noi che le guardiamo con occhi da outies, ma non per loro che conoscono esclusivamente quell’esperienza. E non sono poi così diverse da ciò che viviamo nei nostri uffici: la caricatura, come quella fantozziana, letteralizza soltanto certi passaggi impliciti della vita corporate (come, ad esempio, il già citato allevamento di capri espiatori o gli obiettivi da raggiungere e festeggiare con festicciole surreali ma importanti per gli innies, costantemente infantilizzati dai loro superiori/responsabili).
6) Una concessione che sfiora sempre la tortura per quello spiraglio di vita là fuori lasciato intravedere, ma al quale non si potrà mai accedere (“com’è umano lei”).
7) A proposito dei nomi e degli acronimi dei reparti, per dare l’idea del loro lavoro c’è anche un sito che riproduce l’esperienza: https://macrodata-refinement.arjit.me/.
8) Ogni catalogazione è una scissione, un modo di dividere qualcosa, un oggetto, un’esperienza, una specie, su certe linee e non su altre, linee che diventano poi tanto più rigide quanto più la catalogazione diventa metafisica e reale allo stesso tempo, una discretizzazione della continuità dell’esperienza in cartelle informatiche ancora prima che in codice binario.
9) Come già detto, una lama che può significativamente stringere in un harakiri, usare per ferirsi e quindi ferire anche il proprio outie, ma che non può rivolgere unidirezionalmente verso il proprio omologo, come può invece fare oMark, il quale potrebbe spegnere iMark in qualunque momento, o anche solo sospenderlo (come fa nella seconda stagione), semplicemente non presentandosi al lavoro.
10) Si veda M. Horkheimer – T. W. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, p. 47.
 


Immagine di copertina:
Scissione, stagione 2, episodio 9 “Fuori orario”, Apple Inc. 2025

 
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