L’idea del frammento, e – per estensione – dell’incompiuto, attraversa l’intera storia della produzione umana, in ogni campo: letteratura, filosofia, pittura, scultura, architettura e, da qualche decennio a questa parte, anche cinema.

A questo genere molto particolare, Davide Mazzocco ha dedicato una sua recente pubblicazione dal titolo Il cinema che non c’è, uscito per Bietti nel 2023.

Sono diverse, come vedremo, le cause di questa incompiutezza, ma certamente non si tratta di un fenomeno occasionale. Anzi, si potrebbe quasi sostenere che la vulcanica attività creativa di taluni registi ha disseminato il loro percorso artistico di frammenti. Frequentemente questi si sono mescolati, con il risultato che si è giunti a realizzare certe opere utilizzando i frammenti delle mille idee rimaste irrealizzate. Non è certo un caso se il materiale, le invenzioni e i progetti destinati a una certa opera siano stati in seguito frequentemente riadattati. Emblematico è il caso del Dune di Jodorowsky, dalle cui ceneri sono sorti (o comunque hanno recuperato ampie suggestioni) cicli come Alien, Guerre Stellari e quello a fumetti dell’Incal, che lo stesso Jodorowsky ha scritto con Moebius.

Mazzocco, Il cinema che non c'è

Mazzocco ci ricorda innanzitutto una lunga serie di incompiuti presenti nelle varie arti, dalle sculture michelangiolesche (le Prigioni e la Pietà Rondanini), alla Sagrada Familia di Gaudì, ancora oggi in ininterrotta costruzione. Proprio in considerazione di quel valore particolare che oggi noi diamo al frammento, ce ne presenta una sorta di tassonomia per quanto riguarda il mondo del cinema. Si comincia dalle opere che, nonostante gli sforzi, non sono andate oltre lo stato di ipotesi, per arrivare a quelle che pur compiute non sono mai state distribuite, oppure montate con criteri voluti dalla produzione e non approvati dal regista. Tra questi estremi si incontrano tutti i differenti livelli di realizzazione: copioni scritti e riscritti diverse volte da sceneggiatori differenti, croniche difficoltà economiche per opere spesso afflitte da eccessivo gigantismo, attori (e registi) che lavorano contemporaneamente su diversi set, fino a giungere alla morte del regista stesso, e con lui del suo sogno irrealizzato. Delle difficoltà incontrate quest’ultima parrebbe la più insuperabile, ma in realtà non è stato sempre così: si pensi, ad esempio, all’idea che Stanley Kubrick ha coltivato a lungo di un film sulle AI, e che stava giungendo a compimento grazie al racconto di fantascienza Supertoys Last All Summer Long, dello scrittore Brian W. Aldiss, su cui il regista stava lavorando al momento della morte. Il suo progetto, com’è noto, fu poi sviluppato e completato da Steven Spielberg nel film AI.

Nella carrellata che Mazzocco ci propone, Kubrick è uno dei registi più citati, e il suo Napoleon è certamente uno dei momenti centrali. Il film, a cui il regista dedicò anni di lavoro, aveva una sceneggiatura completa e fu solo all’ultimo che la produzione si tirò indietro, forse per il timore di un fallimento. A quanto pare, Spielberg sarebbe già al lavoro per trarre una serie dalla sceneggiatura originale di Kubrick. Mazzocco cita lo stesso Spielberg, il quale – come nel caso di AI è il vero erede di Kubrick.

Anche Ėjzenštejn lasciò diversi progetti incompiuti, alcuni molto noti, come Que Viva Mexico! e Ivan il Terribile. Nel caso di Sergio Leone si ricorda il suo film sull’assedio di Leningrado; Luchino Visconti invece ha lavorato a lungo sulla trasposizione filmica della Recherce di Proust, mentre Dreyer ha meditato tutta la vita un film sulla vita di Gesù.

Ma il vero protagonista di questa particolarissima classifica degli incompiuti è senza dubbio Orson Welles. Non si contano i film progettati, pensati, ideati o addirittura girati ma infine mai completati nella carriera del Maestro, a partire dal suo complesso rapporto con il Don Quixote, film che inseguirà per molti anni e sulla cui realizzazione è stata anche prodotta una serie tv RAI in nove puntate. Con la grande avventura del cavaliere di Cervantes si è a lungo cimentato, con alterne ricadute, anche Terry Gilliam, e anche in questo caso esiste un documentario a testimonianza delle difficoltà incontrate, Lost in the Mancha.

Welles ha poi trovato un ulteriore oggetto del desiderio irrealizzato nell’opera di Joseph Conrad, di cui ha tentato a più riprese di produrre sia Heart of Darkness sia Lord Jim, in entrambi i casi senza successo. Ma vi è molto altro. Negli anni del sodalizio con il produttore Alexander Korda sono almeno una decina i film incompiuti: Guerra e Pace, Salomè, Il giro del mondo in 80 giorni, The master of Ballantrae, Carmen, Enrico IV, Operation Cinderella, V.I.P., Paris by night. Un carnet da suscitare l’invidia di chiunque e che, se realizzato, avrebbe rappresentato l’apice di una carriera già di per sé enorme.

Per concludere, ci si può chiedere se davvero, come ipotizzato all’inizio, l’incompiuto nel cinema abbia una affinità con il frammento, come accade nelle altre arti. Effettivamente, vi è una differenza tra quelle opere che non giungono a compimento per mancanza di fondi – cosa che d’altronde poteva succedere anche a un grande pittore rinascimentale – e ciò che accade quando invece l’autore si scopre incapace di realizzare quanto è nelle sue intenzioni, quando l’oggetto del desiderio è un passo oltre la propria capacità. Nel volume di Dreyer dedicato alla lunga e dolorosa riflessione con cui si è posto di fronte al film sulla vita del Cristo, sua massima ambizione, vi sono pagine in cui ci si dimentica che si tratta di cinema, e in cui rimane solo l’arte. Mazzocco in questo suo volume ci introduce proprio a questi temi, e ci lascia con il desiderio di conoscere più a fondo le storie che racconta.

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Immagine di copertina:
un fotogramma da Sergej Ėjzenštejn, Que viva México!, 1931