[È uscita presso l’editore Galaad la raccolta di racconti dal titolo “In ordine sparso” di Lorenzo Mari. Studioso di letteratura postcoloniale, poeta, traduttore, Mari è una figura molto attiva nel panorama intellettuale bolognese. Per gentile concessione dell’editore, oggi proponiamo un estratto di uno dei racconti di questa antologia in cui il paesaggio della provincia lascia emergere vecchie fratture, nervi scoperti, spaccati di vita che alludono a crolli].

Lorenzo Mari, In ordine sparso

Battuta di caccia

L’ultima grande campagna contro l’orsolupo iniziò in sordina.
I pochi rimasti a discutere la necessità di una nuova battuta di caccia, e, più in generale, i pochi rimasti, erano quasi tutti stanchi di rincorrere le notizie degli ultimi avvistamenti e provare ogni volta a elaborare ipotesi, idee, piani. Del resto, si era arrivati a un punto in cui non si era nemmeno certi che si trattasse di un orsolupo. Poteva benissimo essere un orso – un’orsa, più precisamente, e piuttosto giovane, a giudicare dalla larghezza delle orme (di certe orme, non tutte) – o un lupo – adulto, ovviamente, e di corporatura massiccia, a giudicare da quello che era in grado di uccidere e mangiare. Se però si guardavano le fotografie in circolazione, si tornava subito a credere che si trattasse davvero di un orsolupo, benché l’incrocio risultasse difficilmente concepibile, a rigor di logica. Soltanto una mescolanza demoniaca, oppure ingegneristica, o entrambe le cose, tra le due specie poteva spiegare certe proporzioni colte di sfuggita, controluce, nel fogliame, e certi squarci inferti dal basso verso l’alto nel ventre delle vittime.
In ogni caso, a quasi nessuno restavano dubbi di fronte a quelle fotografie, anche se, nel caso degli avvistamenti in mezzo alla boscaglia, erano assai vaghe; nel caso delle vittime, impietose. E aggiungendo difficoltà alla difficoltà, circolavano a velocità parossistica.
Non si percepiva nemmeno più lo scarto di qualità tra le immagini, e questo, con ogni probabilità, si doveva anche al fatto che le vittime fossero indistintamente uomini, cani e pecore: la necessità di una prima identificazione, e il nodo alle viscere che procurava, rendeva superflua ogni altra osservazione. L’orsolupo, del resto, non si attardava in differenze di specie e sembrava egualmente interessato alla carne di tutte le sue prede, il che, tra l’altro, voleva dire molto poco interessato. Qui un arto, là parte delle interiora, ma non tutte. I cadaveri rimanevano a terra parzialmente mutilati, però non venivano mai divorati del tutto. Sembrava che l’orsolupo agisse con una certa nonchalance, circostanza che ne rendeva la ferocia ancora più difficile da comprendere e affrontare.
Come tra specie e specie, anche tra morte e morte i confini erano diventati piuttosto labili e da due anni e mezzo l’orsolupo – o la giovane orsa, o il lupo adulto e possente – era diventato sinonimo di una catastrofe più generale ed era difficile anche solo immaginare una soluzione di continuità, una qualche forma di discernimento – se non, forse, per durata e impatto sulle singole vite – nella lunga serie di catastrofi che da tempo si erano abbattute sull’area, sulla regione, sulla vallata, ma anche, più specificamente, sul piccolo paese di P***. Il vecchio Toni ne contava ventisette, se si inserivano nell’elenco anche la discarica abusiva e qualche altro piano malefico ordito, negli ultimi anni, nel vicino paese di San F***. Il vecchio Cesco riduceva il conto a tredici, massimo quattordici, perché le catastrofi, a qualsiasi livello – locale, nazionale, mondiale, planetario eccetera – avevano smesso di interessargli dai tempi dell’austerity e del compromesso storico: diceva che, tutto sommato, da quel momento i disastri erano stati tutti uguali. Angiolina, che viveva da cinquant’anni con il vecchio Cesco, si rifiutava di tenere il conto, ripetendo che ogni catastrofe andava affrontata per quella che era, senza invocare le precedenti, che dovevano essere tutte, ciascuna a sua modo, considerate come passate, dal momento che nessuno ne parlava più. E non gli venisse a parlare, il vecchio Cesco, del compromesso storico, perché quella era l’unica cosa che si sapeva per certo essere “passato-passato”, e Angelina non era nemmeno sicura che si potesse annoverare tra le catastrofi, trattandosi appunto di un passato al quadrato.
Soltanto il vecchio Geno non voleva aver niente a che fare con la congrega dei vecchi, delle mogli e dei loro pallottolieri. Ogni giorno dedicava all’orsolupo – per lui era un orsolupo, non c’erano altre ipotesi sul tavolo – una parte, spesso minima e residuale, dei propri pensieri. Finivano sempre con l’immagine del gladiatore nell’arena, così come l’aveva studiata sui banchi di scuola. Quando si imbatteva in qualcosa che gli ricordava l’orsolupo, infatti, non pensava subito a come organizzare al meglio la campagna, o battuta di caccia che fosse, né si rompeva la testa nel cercare di capire quali impronte, e in quale ordine, fossero le più recenti e adatte per arrivare all’incontro con l’animale. Si immaginava soltanto il loro incontro, a tu per tu: Geno e l’orsolupo, a una ventina di metri di distanza, in una radura o un grande prato. Questo era lo scenario che preferiva, o comunque quello che ricorreva più spesso nel suo fantasticare quotidiano. Quasi sempre, una volta arrivato con la mente fino al grande prato, l’orsolupo lo guardava dritto negli occhi, e Geno gli restituiva timidamente lo sguardo, cercando di farlo nel modo più obliquo possibile e senza che questo avesse conseguenze evidenti sulla sua postura e sulle sue azioni, o su quelle dell’orsolupo. Poi l’animale si rizzava sulle possenti zampe posteriori e iniziava a rugliare, prima in sottofondo, quindi sempre più forte, finché il ruglio non diventava gradualmente un ululato che si rinforzava, con tutta la forza dell’eco, per la valle. Era un tipo di immaginazione che, invece di risalire all’antica Roma, sconfinava nella possibile scena iniziale di un film dell’orrore, anche se il vecchio Geno, con le scarse conoscenze cinematografiche che si ritrovava, non avrebbe saputo dire quale.

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Immagine di copertina:
Paolo Uccello, Caccia notturna, 1472 circa, The Ashmolean Museum, University of Oxford.