Le modificazioni introdotte dalle biotecnologie e dai progressi della medicina mettono in gioco il corpo nelle sue espressioni di vita (la sessualità) e di morte (la malattia) e ci confrontano con un’espansione dei limiti e delle possibilità di scelta e di soluzione inimmaginabili fino a pochi decenni fa. La procreazione assistita e i nuovi modi di nascere resi possibili dalle biotecnologie, al cui interno si colloca anche la questione della surrogacy, rappresentano una questione centrale.

Il 19 giugno è giunta alla Camera la proposta di maggioranza di perseguire penalmente la surrogazione di maternità rendendo così la gestazione per altri un «reato universale». Lo stesso giorno la Procura di Padova impugna 33 atti di nascita registrati dal 2017 a oggi che puntavano al riconoscimento dei diritti ai figli delle coppie omogenitoriali (cfr. La stampa del 19 giugno 2023).

L’estensione delle possibilità offerte dalle biotecnologie esprime bene il conflitto nature-nurture configurandosi come una sorta di “provocazione” rispetto ai tradizionali confini all’interno dei quali il generare era concepito con un passaggio da un mondo culturale basato sulle differenze di genere e di ruolo e un mondo flessibile e liquido, dinamicamente fluttuante tra generi, ruoli, posizioni e funzioni. Le questioni giuridiche connesse alla procreazione medicalmente assistita (PMA) si dispiegano in più nuclei problematici interconnessi: l’esistenza di embrioni umani fuori dal corpo femminile, i criteri che debbono presiedere alla generazione di una vita umana, la pensabilità di questi oggetti.

Il 12 giugno 2005 la legge 40/2004 sulla PMA fu sottoposta a quattro referendum abrogativi che non raggiunsero il quorum:
• Il 1° chiedeva di cancellare gli articoli che vietano la ricerca scientifica sugli embrioni prodotti in eccesso per la fecondazione in vitro.
• Il 2° chiedeva di abrogare l’obbligo di creare in vitro non più di 3 embrioni e di trasferirli subito tutti nell’utero materno (sebbene essere rischioso per la salute della donna) nonché il divieto di congelarli.
• Il 3° chiedeva di affermare che i diritti delle persone già nate vengono prima di quelli dell’embrione.
• Il 4° chiedeva di abrogare il divieto alla fecondazione eterologa.

Successive sentenze della Corte costituzionale hanno modificato alcune norme che la Legge aveva previsto a tutela della dignità dei concepiti.

Con riguardo all’art. 30 e all’art. 31 della Costituzione si deve segnalare la problematizzazione dell’idea, opposta alla concezione costituzionale della filiazione, di estendere alla filiazione il criterio volontaristico e soggettivistico restaurando un diritto alla filiazione adulto-centrico, quello che si dice il diritto a “non subire interferenze”. La formula che ricapitola questa concezione è l’autodeterminazione riproduttiva dove la filiazione viene ripensata alla stregua di un diritto individuale dell’adulto, una sorta di diritto della sua personalità in cui il figlio diventa in una certa misura l’oggetto e lo strumento di scelte auto-interessate di chi è titolare di tale diritto. A una concezione della filiazione basata sulla responsabilità nei confronti della persona messa al mondo, rispettosa dell’altro da sé (accolta dall’art. 30 Cost.) si contrappone una concezione volontaristica della filiazione, agevolata dalle tecniche riproduttive nella quale la filiazione diventa l’effetto legale di una scelta individuale o di un contratto. «Potrebbe essere una variante dell’antico diritto patriarcale o diritto sulla propria stirpe che vedeva il figlio come naturaliter aliquid patris e che ora lo concepisce come artificialiter aliquid parentis» (Nicolussi, 2014, p. 31). Una democrazia liberale dovrebbe tutelare come bene e come diritto fondamentale degli individui quello di riprodursi, di riflettere e di esercitare la propria autodeterminazione e autonomia riproduttiva in modo pluralista proprio come antidoto all’eugenetica.

La legge n. 40/2004 muove dall’affermazione di cui all’art. 1, comma 1, per cui «assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito». Con il participio passato utilizzato sottolinea che è dalla fecondazione che sussiste la vita umana e che il concepito non è soltanto oggetto di tutela ma anche soggetto di diritti.

Circa le caratteristiche della procedura non è possibile che la sequenza esistenziale iniziata con la generazione in vitro dell’embrione prosegua fuori dal corpo femminile fino al momento del parto e l’entità della perdita di embrioni a seguito di fecondazione in vitro con embryo transfer (FIVET) «porta a un rapporto tra embrioni generati in vitro e embrioni che riescono a procedere nell’iter esistenziale fino al momento della nascita effettivamente assai basso» (Eusepi, 2021, p. 446). L’ipotesi di una ectogenesi (come possibilità di poter accompagnare l’embrione fino all’autonomia respiratoria senza trasferimento nell’utero di una donna in una sorta di surrogazione artificiale) che meglio garantirebbe lo svolgersi dell’iter esistenziale dell’embrione generato in vitro evitando la perdita di embrioni in utero pone l’interrogativo sul ruolo della donna in sede generativa (solo quello, sostituibile, dell’aver in dotazione un utero?).

La gravidanza, in qualunque modo possibile si avvii, naturale o assistita che sia, rappresenta il contesto speciale e irripetibile dove l’individuo si forma e si sviluppa come unità psicosomatica a partire dall’incontro di una duplice unità psiche-soma: quella della madre e quella del bambino. Le due unità sono interconnesse e interagiscono in uno scambio continuo che viaggia dal somatico allo psichico e di nuovo al somatico. Nel corso della gravidanza il feto è già parte di una “diade”, investito dal mondo fantasmatico materno e dal contatto corporeo e biochimico, influenzato a vari livelli da quello che Imbasciati chiama «dialogo non verbale» tra madre e feto. Come scrive De Toffoli (2003) nella letteratura scientifica, dalla biologia alle neuroscienze, troviamo conferma che

«l’ambiente uterino in cui il feto si sviluppa attraverso gli scambi placentari ha le qualità della biologia umana, non riducibile a meri fenomeni fisici o biochimici, psichicamente significante in quanto veicolo di un Io materno inteso […] primariamente come Io corporeo» (p. 246).

La qualità della presenza corporea e psichica della madre durante il momento dell’attesa”, la comunicazione reciproca e silenziosa che si avvia tra i due partecipanti a livello fisico accanto al mondo fantasmatico che si attiva, creano una continuità tra vita intrauterina ed extrauterina.

Circa la modalità del generare il ricorso alla FIVET consente la separazione tra i soggetti da cui provengono i gameti coinvolti nella fecondazione e chi desidera l’esistenza di un nuovo bambino realizzando una disgiunzione tra la procreazione e l’adozione così come anche una surrogazione di maternità. L’interrogativo di fondo è quello della liceità dell’attivazione di una tecnica generativa da parte di chiunque (coppia eterosessuale, omosessuale, persona singola) ne esprima il desiderio/bisogno di assumersi la responsabilità genitoriale oppure se il procreare umano costituisca in primis un atto relazionale di due persone generanti coinvolte anche dal punto di vista biologico nella realizzazione del progetto procreativo.

Che cosa rappresenti una gravidanza portata avanti su richiesta di altri, quali siano i potenziali esiti traumatici correlati all’interruzione di questa continuità restano questioni aperte che ci sollecitano ad esercitare la nostra “capacità negativa” di psicoanalisti e a rimanere nel dubbio.

La generazione sganciata dalla sessualità e dalla fecondità ridisegna i confini della persona e della coppia attraverso l’intervento di altre figure, di cui la maternità surrogata è senz’altro la più estrema. Ciò che prima si configurava come un perimetro definito, che includeva esclusivamente la dimensione intima dei due partner, si presenta ora come qualcosa di mobile, pronto a includere o espellere altre figure. Le pratiche di procreazione assistita, che fanno ricorso all’eterologa così come alla gravidanza surrogata, oltre a offrire soluzioni a problemi che fino a poco tempo fa sembravano irrisolvibili, pongono anche richieste psichicamente sempre più impegnative oltre che dal punto di vista etico, anche da quello delle risonanze emotive e psicologiche profonde. Un tratto distintivo di queste esperienze, e quella della gravidanza surrogata descrive plasticamente il problema, è lo spostamento del baricentro personale in un altrove. L’ altrove è lo strappo sulla fondazione dell’origine, che può rimanere una questione aperta tanto nel bambino che nei genitori e costituirsi come “segreto di famiglia”, al di là delle spiegazioni e delle chiarificazioni date a livello cosciente (Marion, 2015).

Al tempo in cui non era possibile la gravidanza di un figlio geneticamente di altri, “la donna che ha partorito” era univocamente la madre: mater semper certa. D’altra parte, si deve segnalare il paralogismo di chi sostiene, contemporaneamente, che l’embrione non è res, ma che, poiché «non è persona già fatta, portatrice di un diritto assoluto alla vita» […] «va riconosciuto come inerente alla persona-madre – o alle persone-madri –, quale espressione della loro identità e dignità, un primario potere di destinazione» (Carusi, 2010, p. 339).

La legge prevede il divieto della soppressione di embrioni umani, penalmente sanzionato ai sensi degli artt. 14, commi 1 e 6, e intende garantire a ogni embrione generato la possibilità di proseguire con il trasferimento in utero il suo iter esistenziale evitando la generazione di embrioni sovra-numerari. La Corte cost. n. 151/2009 ha dato luogo al venir meno di un’indicazione tassativa circa il numero degli embrioni generabili: la norma richiede che il ricorso alla PMA non crei «un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario» essendo state abrogate le ulteriori parole «ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre». Dai commi 1 e 3 dell’art. 14 in tema di crioconservazione degli embrioni appare peraltro deducibile il divieto di programmare ex ante la generazione di embrioni destinati alla crioconservazione.

Il divieto di fecondazione eterologa (previsto in origine dall’art.4, comma 3, richiamato dall’illecito amministrativo di cui all’art.12, comma 1) è venuto meno a seguito di Corte Cost. n. 162/2014 nel caso in cui nella coppia «sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute e irreversibili». Il ricorso a tale tecnica ha dovuto prendere atto dell’impossibilità di garantire l’anonimato del donatore biologico, data la possibile esigenza sanitaria di riconoscere le ascendenze genetiche del soggetto generato. Va segnalato che il ricorso in alcuni Paesi al seme maschile di un medesimo donatore anonimo per un numero elevato di PMA eterologhe tanto più se effettuate in un medesimo territorio ha creato il rischio di procreazioni successive tra uomini e donne non consapevoli di essere biologicamente fratelli introducendo così questione dell’incestuale (Racamier, 2010).

Quando si parla di fecondazione eterologa nella maggioranza dei casi si parla di ovodonazione o di donazione di seme-spermatozoi. Questo elemento concreto mi porta a riflettere su quanto la maternità, ontologicamente attraversata dall’ambivalenza desiderio-paura dell’altro, dell’estraneo dentro di sé, nel caso della fecondazione eterologa sia segnata in maniera ancor più rilevante dalla complessità del processo di riconoscimento, di integrazione (o non-integrazione) di parti scisse, proiettate e forcluse che investono la madre e il bambino nel processo di identificazione. Quali fantasie o fantasmi si possano attivare a livello intrapsichico, interpsichico e transgenerazionale in seguito a una fecondazione eterologa? La fecondazione eterologa può assumere la dimensione del segreto: i segreti legati alla nascita (figli illegittimi, morti, adottati) costituiscono nella storia familiare elementi scissi e “forclusi”, che possono portare a identificazioni alienanti (Faimberg, 2006), ovvero alla difficoltà della persona di soggettivarsi, di liberarsi delle identificazioni aliene. Il segreto legato all’estraneità biologica del figlio come può lavorare nella costruzione dei legami coniugali, genitori-figli, nella famiglia allargata? In quest’ottica anche la nascita prematura in seguito ad una PMA assume nuovi significati, per molte donne che hanno vissuto il concepimento non come atto d’amore e di desiderio, ma come momento di “dissociazione necessaria” tra mente e corpo, il feto diventa l’oggetto interno da osservare, controllare, misurare, sempre in una condizione sospesa in cui si teme di perdere tutto da un momento all’altro.

Nel corso di un accesso in Pronto Soccorso per un distacco corio-deciduale alla decima settimana di gestazione fu chiesto alla madre che cosa intendesse fare rispetto a una gestazione a rischio in gravidanza gemellare: le fu risposto dall’interlocutore, medico ginecologo antiabortista: «Qui la natura fa il suo corso e non posso mettermi in una situazione che è già contro natura» come una sentenza da penitenziario apostolico. La madre, nel corso di un colloquio di consulenza psichiatra ha affermato: «Ho sentito la condanna nella condanna, non essere stata capace di avere figli secondo natura, non essere capace di custodirli in pancia, non essere capace di una risposta più forte e di pancia».

La n. 40/2004 prevede espressamente all’art. 16 la possibilità di obiezione di coscienza circa la partecipazione dei medici e degli esercenti le professioni sanitarie ausiliarie alle procedure di procreazione medicalmente assistita secondo un modello simile a quello previsto dalla legge n. 194/1978.

La questione della diagnosi preimpiantatoria degli embrioni implica ab initio la scelta di generare embrioni destinati a essere esclusi dal procedere nella loro vita, cioè la programmazione a priori di una selezione fra essi: lo screening avviene a vita già iniziata con la successiva scelta ai fini del trasferimento in utero degli embrioni non portatori di caratteristiche genetiche indesiderate generando peraltro un certo numero di falsi positivi e di falsi negativi data al non totale stabilità dell’assetto genetico in fase precoce.

L’art. 14, comma 5, prevede che i membri della coppia coinvolti nella procedura di PMA siano «informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire in utero».

La Cort. cost. n. 96/2015 ha dichiarato illegittimi gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1 «nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di PMA alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lett. b) legge n. 194/1978, accertate da apposite strutture pubbliche».

La sentenza della Corte cost. n. 229/2015 ha dichiarato illegittimi il cit. art.13, comma 3, lett c) (divieto di selezione a scopo eugenetico degli embrioni) e il correlato comma 4 «nella parte in cui contemplano come ipotesi di reato la condotta di selezione degli embrioni anche nel caso in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili» rispondenti ai medesimi criteri di cui sopra.

Possiamo immaginare che la buona crescita di un bambino dipenda dalla capacità genitoriale della coppia e prescinda dall’identità sessuale del genitore. Tuttavia, sappiamo che nonostante i suoi buoni genitori è la ricerca delle proprie origini che spingerà Edipo nel suo viaggio a Delfi. Le tecniche di procreazione assistita, e qui pensiamo specificamente alla gravidanza surrogata, mettono in discussione questo punto, quello dell’origine e, con esso, la rappresentazione dei rapporti di parentela e generazionali. I moderni metodi contraccettivi da un lato e le pratiche di procreazione medicalmente assistita dall’altro, hanno aumentato la fiducia della donna nella possibilità di poter “gestire” il proprio corpo. La donna può decidere di autodeterminarsi e rimandare la gravidanza aspettando il momento in cui “sarà pronta”. L’identità generativa è la quarta componente che interviene nella formazione del genere sessuale (accanto all’identità sessuale nucleare al ruolo sessuale e all’orientamento sessuale) e si definisce come la «strutturazione psichica di sé in quanto potenziale progenitore» (Raphael-Leff 2013, p. 297): l’acquisizione dell’identità generativa permette il passaggio dal sentirsi creazione di qualcun altro a potenziale (pro)creatore in sé e per sé. La frustrazione dell’aspettativa di generatività può mettere in scacco il sentimento della donna di potersi sviluppare e crescere: il senso di sé e d’identità non è mai definitivamente acquisito e la capacità di “riparare” l’impossibilità di concepire un figlio naturale è l’esito di un lavoro psichico enorme. In ogni esperienza di maternità si riconosce un certo grado di ambivalenza “normale” per cui sembra importante affermare che se l’ambivalenza diventa “patologica” questo non dipende dalla fertilità naturale (o “artificiale”) della donna, ma dalla sua predisposizione psicologica ad accogliere dentro di sé un altro e a raggiungere la condizione di “preoccupazione materna primaria”. Le angosce femminili individuali si estendono ovviamente anche alla coppia che può sperimentare attraverso la medicalizzazione un senso di esclusione da un’esperienza di generatività naturale.

D. Pines (1993) afferma che la gravidanza rappresenta un punto fondamentale per la costruzione dell’identità femminile: il corpo biologicamente fertile della donna, a volte psicologicamente immaturo, può concepire un bambino aldilà delle sue competenze emotive: l’autrice fa una distinzione tra desiderio di gravidanza e desiderio di maternità.

A livello psichico il vissuto di molte coppie rispetto al concepimento, alla gravidanza e alla nascita porta il segno indelebile della medicalizzazione. Come diceva M. Chatel (1995) – una psicoanalista francese – nei primi anni Novanta, quando in Francia cominciava a diffondersi la PMA: «è diventato possibile fare un bambino fuori dal sesso, fuori dal corpo, sfidando le leggi del desiderio e del sesso, fare il bambino allucinato, il bambino impossibile, in tutta legittimità» (p. 142). I termini tecnici utilizzati nella PMA e nella surrogacy entrano a far parte del linguaggio comune di donne e uomini che parlano così di: stimolazioni ormonali, prelievi ovocitari e degli spermatozoi transfer embrionario (trasferimento dell’embrione in utero), beta positive o negative, gestazione per altri (GPA), maternità surrogata (l’equivalente inglese di surrogacy per quanto sarebbe più corretto parlare di gestazione surrogata, non essendo questa ultima legata a un’assunzione di responsabilità genitoriale da parte di chi si occuperà del nascituro), utero in affitto con un’implicita sottolineatura per chi preferisce questa dicitura dell’aspetto di sfruttamento del corpo della donna attraverso questa pratica.

La nominazione tecnica appare così in termini difensivi, come a coprire il fatto che queste procedure abbiano avuto come campo di azione, come scenario, il proprio corpo, l’intimità di individui e di coppia che viene pesantemente intrusa. Parole che fanno parte di uno “sciame semantico” che nel periodo delle unioni omosessuali, e relative adozioni, si arricchisce di altre parole-immagine: “utero in affitto”, “madri sostitute o surrogate”, “stepchild adoption”. La presenza di turbolenze semantiche è indice di cambiamenti in atto, ma anche di malessere: è evidente che secolari “bastioni” o meglio “pilastri psicosociali” come li definisce Kaës stanno oscillando sotto il vento di mutamenti che risuonano nella psiche collettiva, ma anche individuale di uomini e donne.

Nella difficoltà di definire l’atto umano di mettere al mondo un bambino interrogando le questioni che riguardano l’identità generativa, le proiezioni transgenerazionali, le rappresentazioni culturali, ci chiediamo se la riproduzione della specie sia un istinto, se esista l’istinto alla genitorialità. La riproduzione non è un diritto ma appartiene piuttosto alla sfera del desiderio, del piacere. Così come il contrario. Anche non volere riprodursi appartiene alla sfera del desiderio, del piacere, il non désir d’enfant. Il diritto alla libertà riproduttiva implica un uso responsabile delle proprie capacità riproduttive e questo è ancora più evidente a partire dalla rivoluzione riproduttiva.

Il 31 agosto 2015, sul quotidiano francese Libération, Marilia Aisenstein scrive un articolo dal titolo significativo, Un enfant a quel prix, traducibile con: “Un bambino, ma a che prezzo?”: la psicoanalista ricorda le due richieste femminili e femministe di un tempo e cioè un bambino, “quando voglio” e “come voglio”, alle quali tuttavia non si aggiunge una terza affermazione non meno importante: “se lo voglio”. Su quest’ultimo punto, il discorso si blocca: è una richiesta espulsa dalla visione corrente, è un tabù. Non avere figli è un fatto legato a un “rifiuto” o a una “mancanza”.

La possibilità di procreare per mezzo di un utero in prestito, può costituirsi come eccezione della vita: può espandere il desiderio di vivere al di là di un limite “naturale” della propria esperienza. Tuttavia, se l’eccezione perde la sua sponda nel limite che essa trascende, cercando di costituirsi in modo autocratico, diventa eccezione dalla vita, pretesa di vivere indipendentemente dall’esperienza realmente vissuta. L’uso del corpo di un’altra persona come surrogato di una possibilità a noi preclusa può seguire due destini opposti. Può consentire la riparazione di una limitazione pesante della nostra vita o condurci al rifugio nell’onnipotenza. Decide la presenza o l’assenza del lutto: l’utero sostitutivo lavora per inerzia psichica (per l’immobilità della materia psicocorporea) se non elaboriamo il dolore per non aver avuto un figlio all’interno della relazione erotica in cui siamo impegnati, per avere usato un altro corpo per realizzare uno scopo nostro, per avere ceduto ad altri la maternità che ha alloggiato in noi.

L’aspetto fondamentale nella funzione genitoriale è che i genitori (single, omosessuali o eterosessuali) siano vivi sul piano del desiderio, che siano capaci di sentire ed elaborare la mancanza che la differenza necessaria dell’oggetto desiderato determina, a partire dalla differenza fondamentale tra l’uomo e la donna. Se questa differenza, che ha radici corporee, naturali e non è una costruzione culturale, regge nel mondo interno del singolo individuo e della coppia, le correnti femminile e maschile del desiderio possono circolare nell’ambiente che accoglie il bambino e la funzione genitoriale è salva. Anche nel diritto contemporaneo italiano si assiste a una tensione tra formule e principi del diritto costituzionalizzato e la loro applicazione che sta producendo di fatto una riscrittura in senso libertario dei rapporti etico-sociali previsti dalla nostra Costituzione: la versione personalistica e quindi relazionale che ne è alla base viene sostituita da un’idea di self-ownership autoreferenziale e insofferente verso ogni limite al potere di disposizione e da una concezione del bene della relazione come semplice mezzo della felicità intesa come felicità esclusivamente individuale. Non è colpa delle surrogazioni se noi le usiamo per negare la nostra relazione con l’alterità a partire dai nostri partner e dai figli. Il terreno delle nuove maternità appare come quello del “conosciuto non pensato”, recuperando un’immagine di Bollas, che si tratta di far pervenire a una consapevolezza in cui convivano ragione e affetti, vissuti e linguaggi, pensieri ed emozioni dove, psicoanaliticamente, l’Io dialoga con le altre istanze della psiche e se ne arricchisce.

Patrizia Santinon
Psychiatrist, psychotherapist, psychoanalyst, Scientific Director Research Center Care & Community for the Medical Humanities, Research and Innovation Department (DAIRI), SS Antonio e Biagio e Cesare Arrigo Hospital, Alessandria

Anna Pacchioni
RN clinical psychiatric nurse, SS Antonio e Biagio e Cesare Arrigo Hospital, Alessandria, Member of the research committee in the field of expressive arts of the Study Center of Speciality Care and Community for Medical Humanities, DAIRI

Riferimenti bibliografici

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Bollas, C., L’ombra dell’oggetto. Psicoanalisi del conosciuto non pensato, Roma, Borla, 1989.
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Chatel, M. M., Il disagio della procreazione, Milano, Il saggiatore, 1995.
Carusi, D., In vita, “in vitro”, in potenza. Verso una donazione dell’embrione soprannumerario, in Riv. Crit. Dir. Priv., 339 (2010).
De Toffoli, C., Il lavoro somato-psichico della coppia materno-fetale: come “ciò” diviene un “tu”, Richard & Piggle, XI, 3, 2003, p. 274.
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Nicolussi, A., Si può umanizzare la procreazione medicalmente assisitita?, in Società, Diritti, Religioni, Cacucci Editore, Bari, 2014, pp. 30-40.
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Quagliata, E., Becoming parents and Overcoming obstacles, Karnac, 2013.

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Immagine di copertina:
Gustav Klimt, Die Hoffnung II, 1907-08, MoMA, NYC.