In un mondo bulimico di informazioni il fallimento operativo – economico, culturale e sociale –non deriva spesso da mancanza di dati o incertezza della volontà, ma dal rifugiarsi in pratiche obsolete, forti solo di una presunta tradizione, ritenute invero ancora attuali sebbene nei fatti controproducenti. È il caso di varie ermeneutiche autoreferenziali, ma anche di “atteggiamenti culturali”, narrazioni nostalgiche, spaventate da un mondo in continua evoluzione e incapaci di ridefinirsi. Insomma, a volte non sappiamo decifrare i geroglifici della realtà non perché ostici, ma per la nostra ostinazione nell’affidarci a dizionari mai aggiornati, a pratiche insipienti. Con il suo saggio dal titolo Arcipelago. Una mappa per rileggere il nostro mondo e individuare nuovi strumenti di liberazione, pubblicato di recente da Nutrimenti, Ignazio Licata – fisico teorico ed epistemologo, già autore di numerosi brillanti lavori – vuole offrire ai lettori una mappa concettuale e pratica – nel senso anche kantiano del termine – promuovendo e indicando alcuni percorsi innovativi ed emancipatori. Per raggiungere la libertà occorre infatti individuare e camminare per sentieri inconsueti, e l’obiettivo dell’autore è quello di sbarazzarci di teorie stantie o pensieri deboli al fine di abbracciare un panorama interpretativo di maggiore effetto sul piano individuale e comunitario. Lo sottolinea efficacemente lo scrittore Antonio Moresco nella lucidissima introduzione:

«Questo libro affronta temi cruciali […] andando a snidare anche le semplificazioni della parte ‘progressista’, spesso arroccata su astrazioni che impediscono uno sguardo drammatico, dinamico e libero sull’esistente» (p. 13).

Ignazio Licata, Arcipelago, Nutrimenti

La drammaticità dello sguardo non è affatto da intendersi quale predisposizione pessimistica, né atteggiamento claustrofobico, decisivo nella definizione dei problemi che ci circondano, ma va compresa ricordando le implicite possibilità di rinnovamento che ogni situazione di “crisi” possano produrre, se perseguite. È nella frattura e rappresentazione del vissuto nel reale che si scorgono nuove fruttuose elaborazioni, è sull’onda dell’entropia che la vita sfugge al semplice riduzionismo e propone traiettorie impensate. È imprescindibile una ‘epistemologia della complessità’ ispirata dalla volontà di procedere attraverso «scommesse razionali», secondo una osservazione del matematico Bruno de Finetti, che vadano oltre le probabilità dell’esistente, al fine di smontare pezzo per pezzo molte costruzioni mediatiche e persino teoretiche.

Nel suo lavoro Licata insiste sulla necessità di abbandonare ogni teoria complottistica o autoreferenziale: il mondo è un arcipelago di conoscenze e centri di potere, ma è un potere acefalo: soltanto navigando tra le varie insenature e provando a tracciare nuove mappe si possono evitare le lusinghe delle Scilla e Cariddi della nostra epoca, ovvero la tentazione di non scommettere più sul desiderio e sulla conoscenza, due elementi indispensabili per nutrire in modo sano l’umanità.

Il testo ha una struttura ben precisa, e affronta vari argomenti: si dialoga con Houllebecq, Del Giudice e Primo Levi, si passa alle teorie della mente e al lavoro virtuale, all’economia circolare; viene ricordato Alan Turing e si ripensa la rete, la scienza e lo svuotamento della democrazia: vengono segnalati – come dice il sottotitolo – nuovi strumenti di emancipazione capaci di capir meglio la tecnologia, il capitale e i suoi derivati cognitivi. Fondamentale sarà intendere quanto i termini dei nostri vocabolari operativi (verità, soluzione, problem solving, hard theory, progresso, ecc.) debbano essere profondamente rivisitati: aderire a paradigmi novecenteschi non può essere se non un ripiegamento dovuto a una impazienza retorica e post datata o ad altre fallacie metodologiche. Un altro esempio è ben definito dall’autore:

«L’idea di un super modello in grado di inglobare tutti gli aspetti di un sistema ignora il concetto di emergenza al centro della complessità: esistono livelli emergenziali compatibili ma non riducibili ai livelli inferiori» (p. 152).

Fuggire da un egocentrismo schizofrenico per abbracciare paradigmi fondati su modelli cooperativi e il benessere collettivo sembra essere un primo passo per ridisegnare la cartografia di un vivere comune basato sull’intercomunicazione feconda, ma ancor più utile appare recuperare la democrazia attraverso nuove pratiche che includano le moltitudini prive oggi di rappresentanza o poco ascoltate. In un mondo interconnesso parlare di riformismo non può voler dire cedere a compromessi borghesi di stampo otto-novecentesco ma rilanciare la forza dinamica delle collettività emergenti dai tessuti più insoliti del mondo, comprese le reti sociali e le nuove forme di intelligenza artificiale che si stanno manifestando.

La strada ovviamente è in salita, e non certo priva di buche, ma solamente ripensando l’attuale struttura produttiva attraverso più modelli di sviluppo e non contrapponendosi sterilmente e ideologicamente alla stessa potremo modificarla. Cedere a teorie del complotto o dei poteri forti significa ancora una volta accogliere la soluzione più semplice e comoda a problematiche – si pensi a quella ecologica – che reclamano invece sforzi enormi sia a livello teorico (nuova economia, green e blu) sia nella ridefinizione della nostra idea di consumo. Dobbiamo dunque fuggire la tentazione di derive consolatorie, di socialismi rurali o reazionari (luddismo 2.0) o slogan filosofici ingenui per abbracciare il mondo nella sua caleiodoscopica multimedialità e interrogarci con più accuratezza sulle finalità della scienza e della tecnologia, perché non basterà utilizzarle pedissequamente per risolvere le problematiche che ci circondano. «La conoscenza non è più soltanto contemplazione ma avventura» (p. 102), vale a dire non solo non temere l’ignoto, ma comprendere quanto «la fecondità dell’inatteso» possa liberare i processi di significazione e riqualificare l’esistente. Serve infine un nuovo linguaggio, il quale è «forma vivente, è risorsa collettiva che si trasforma con la comunità dei parlanti in un gioco di retroazione che si riflette e moltiplica nei linguaggi privati e allo stesso tempo definisce i mondi condivisi» (p. 85). «La virtualità», per esempio, si profila come un campo di battaglia fondamentale, a fronte di territori semiotici ormai sclerotizzati. È qui che una nuova sinistra, capace di «sfruttare» e rigenerare il capitalismo, citando Stiglitz, può e deve esercitare con forza un ruolo di leadership.

Arcipelago è un saggio attraversato da una energia e una fiducia incoraggianti per il fatto di segnalare exit strategy efficaci senza sottovalutare le preoccupanti sfide dell’oggi e del domani. Nostro compito è creare forme di nuova radicalità teorica dove locale e globale possano interagire e interfacciarsi in un mondo la cui sopravvivenza sarà impossibile se l’orizzontalità dell’arcipelago verrà guidata e tradotta in una verticalità dei diritti e dei privilegi. Saranno nuove moltitudini a riscrivere la storia, se sapranno pensarsi come tali e si assumeranno la responsabilità di un pensiero-azione ancora da immaginare.

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Immagine di copertina:
© Fabian Oefner, Liquid Jewel, 2013.