Henry David Thoreau non è un autore che ha bisogno di particolari introduzioni. È difatti una figura centrale nella storia del pensiero libertario e ambientalista. Piano B Edizioni, che ha in catalogo diversi titoli dedicati alle opere dello scrittore e filosofo americano, ha recentemente pubblicato un ulteriore volume, che permette di allargare lo sguardo anche alla letteratura scientifica da lui prodotta. Negli anni in cui viveva a Concord, nel Massachusetts, durante il duro lavoro di revisione intorno a Walden, ovvero la vita nei boschi, il testo che gli procurerà fama mondiale e imperitura, Thoreau aggiornava quotidianamente i suoi diari, e vi inseriva studi di vario genere, tra cui, fondamentali, quelli di botanica. Il volume in oggetto, Fiori Selvatici, è stato pubblicato in originale dalla Yale University Press solo nel 2016, ed è quindi particolarmente apprezzabile la rapida ricezione da parte dell’editore e la prontezza del traduttore, Luca Castelletti. Il volume inoltre è corredato dalle splendide immagini di Barry Moser, che pur non essendo state originariamente realizzate per questo volume di Thoreau, sembrano quasi una sua naturale prosecuzione, tale è l’affinità che li lega.

Thoreau, Fiori selvatici

Come riporta già l’introduzione del curatore Geoff Wisner, si tratta solo di una selezione dell’immenso lavoro di classificazione svolto da Thoreau, soprattutto per quanto riguarda le erbacee e le piante ufficialmente considerate non di pregio, che per questo venivano puntualmente trascurate dagli studi accademici. Questi estratti sono relativi agli anni tra il 1850, quando aveva solo trentatré anni, e il 1854, anno di pubblicazione di Walden. Difatti, sebbene la passione di Thoreau per la botanica abbia radici sin dalla sua infanzia, è solo negli anni Quaranta che inizia ad applicare ai suoi studi una tassonomia rigorosa, assegnando i nomi scientifici alle erbe e ai fiori che studiava. Nonostante il suo ritiro boschivo a Concord, Thoreau rimane sempre in collegamento con le figure rilevanti della sua vita, a partire da Louise May Alcott, che ha vissuto a lungo vicino a lui, nella ben nota Orchard House, e così Nathaniel Howtorne, e soprattutto Ralph Waldo Emerson, che fu suo grande amico per l’intera vita. Con loro condivideva la contiguità al trascendentalismo, movimento filosofico basato sulla reinterpretazione del pensiero di Kant e del romanticismo. Se Emerson ne fu a tutti gli effetti un forte sostenitore, non tutta la critica è concorde nel sostenere con analoga sicurezza l’adesione di Thoreau, che probabilmente ha avuto nel tempo diverse opinioni circa questa posizione filosofica. Le tre figure citate, in ogni caso, nei loro scritti, in seguito proprio questi autori sottolinearono con forza la passione che Thoreau aveva dedicato agli studi di botanica. Morì di tubercolosi a soli quarantaquattro anni, nel 1862, e la sua bara fu ricoperta di fiori. È sepolto in un cimitero dal nome evocativo di Sleepy Hollow, insieme ai suoi tre compagni di strada e alle rispettive famiglie, che decisero di essere tumulati nello stesso cimitero. È per noi secolarizzati qualcosa di sorprendente questa amicizia d’impronta classica che legò una comunità intorno all’appartenenza a una dottrina, per quanto non religiosa ma filosofica.

L’osservazione di gemme e boccioli, germogli e fioriture, affina sempre più la visione ciclica della natura che già sentiva come sua. I fiori selvatici sono “aspettativa e anticipazione”. Mostrano il futuro e lo richiamano. Il senso della precognizione insito nella gemma, che contiene in sé la foglia e il futuro della pianta, è parte della ciclicità propria della natura tutta, del grande ciclo della morte e del ritorno, come professato dal trascendentalismo. Ed è un tema centrale nell’opera tutta di Thoreau, che qui, grazie ai fiori selvatici, ci permette di avvicinarsi a questo nodo:

«Il verbo è precorrere. Tutto Walden è una anticipazione abilmente sospesa dal climax che conduce al momento in cui tra la neve disciolta riaffiorano la sabbia e l’argilla nel solco dei binari; tutti i suoi Journal […] sono uno stratagemma che permette di precorrere, e in ultima analisi di sopravvivere all’inverno. […] Quel che resta in fin dei conti è una sola roccaforte: la mente può precorrere la primavera» (Perry Miller, citato nella Introduzione, p. 16).

È quindi la capacità di vedere il futuro contenuto nel presente e radicato nel passato, che risiede il senso stesso della ricerca sui fiori selvatici, e sulla botanica in generale da parte di Thoreau. Il ritmo delle stagioni, e il suo eterno ritorno, è l’espressione dell’identità della natura con l’oggetto stesso trascendente. È in questo stesso ritmo che nasce il tempo, frutto della scissione dell’indistinto, e questo è anche il luogo in cui nasce l’azione umana, e l’opera d’arte che ne è il risultato. Osservare la ciclicità della natura è ciò che gli permette di affacciarsi sull’eterno che lo precede, il trascendente. Il pensiero ribelle di Henry D. Thoreau ha perciò il grande merito di aver riportato l’attenzione della filosofia della natura sui dettagli apparentemente meno significativi, sul comune, sul quotidiano, su ciò che accade nel prato dietro casa, in quella che oggi potremmo quasi chiamare una fenomenologia, nel tentativo di costruire una sistematica della conoscenza a partire dal particolare, dal sensibile, ed evitando astrazioni inutili. Dare un senso al singolo oggetto (la gemma, il bocciolo) a partire dalla sua appartenenza a un flusso temporale costitutivo di senso, che lo vede come il cuore dell’intero universo, perno dell’unione di spirito e natura. Ed è bellissimo che questo sia potuto essere scritto grazie all’amicizia incarnata in una piccola comunità.

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Immagine di copertina:
illustrazione di Barry Moser, Trillium erectum.