Il recente volume di Emiliano Sabadello, In un mondo che crolla. L’originario, la terra e ciò che resta dello Stato-nazione. Heidegger e Pasolini, conferma lo spessore della collana di saggistica dell’editore Odradek. A partire dal titolo, la tematica affronta un problema speculativo enorme che ha catturato i maggiori pensatori del Novecento e non solo (si pensi a giuristi, economisti, teorici della politica, ecc.). A rivelare l’originalità e la “scandalosità” del volume, tuttavia, è il sottotitolo, che stabilisce ed esplicita da subito la relazione fra il pensiero di Heidegger e quello di Pasolini.

Sabadello, In un mondo che crolla

Sabadello propone un accostamento inusitato, estremo, sicuramente particolare: che legame ci può essere tra il filosofo tedesco e il poeta di Casarsa? Come ricostruire il quadro complessivo del moderno, e capirlo, attraverso un paragone tanto inusuale? Ebbene, proprio partendo da queste considerazioni il lettore constaterà – anche con meraviglia – che l’azzardo ermeneutico è fondato e sorprendente. Pasolini e Heidegger non sono affatto mondi lontanissimi, ma possono essere considerati due facce della stessa medaglia, il cui nome è modernità. Lo studioso riesce a sviluppare una analisi molto approfondita grazie alla sua poderosa e invidiabile conoscenza del pensiero di entrambi, attraverso cui scandaglia anche carte meno note o difficilmente reperibili. La sua solida impostazione hegelo-marxista, inoltre, gli permette di fondare in modo sistematico una interpretazione suggestiva.

Heidegger non è il filosofo che combatte il capitale per proporre uno stato fondato sul “sangue e la razza”,1 ma espressione finale del Capitale medesimo. In quest’ottica l’Essere e il Capitale coincidono, e partendo da tal premessa si può sviluppare non solo una critica all’idea di persona e soggettività proposta dal tedesco, ma pure stabilire con definitiva certezza il fulcro del suo pensiero. Sabadello riporta le tesi degli studiosi a proposito del nazismo di Heidegger, e dimostra anche lui che non si tratta solo di un sentimento personale, ma della struttura stessa del suo pensare. Heidegger, secondo Sabadello, nega pensiero, soggettività e umanità: il suo oscuro scrutare, il linguaggio iniziatico (il parlare misterioso in modo da elevarsi sugli altri senza ragioni concrete di superiorità) altro non è se non la volontà – espressa in tutte le lettere e le carte di Heidegger – di assecondare un desiderio di ottundimento e dominio, esplicata perfettamente e coerentemente dal regime nazista. Nell’analisi emerge quanto egli fosse campione di vigliaccheria: un uomo, in sintesi, dai tratti umani e filosofici disgustosi. Incomprensibile quindi per Sabadello è l’amorevole protezione ricevuta qui in Italia da Heidegger da parte di noti filosofi. La critica, pesantissima, non vuole essere un gesto scomposto o polemico, ma la registrazione di un atteggiamento di sottomissione e spesso di mancanza di onestà intellettuale frutto anche dell’assimilazione del modus operandi heideggeriano. Lo studioso bolla quale venditore di almanacchi il filosofo di Messkirch: pensare non può essere altro che trovarsi a capire il proprio ruolo dialettico nella storia, e Heidegger ne è agli antipodi.

In quale misura può un autore come Pasolini essere interessato da ciò? Ebbene, Pasolini, con le sue contraddizioni e nonostante tutta la propria indiscussa solidarietà a una parte specifica dell’umanità – gli ultimi – incarna perfettamente chi davanti al Capitale ha mostrato non solo la reazione opposta a Essere e Tempo, ma ha anche incarnato quella giusta. Il saggio merita una lettura minuziosa e possibilmente ripetuta per sviluppare tutti i rimandi, le suggestioni, le connessioni proposte, e apprezzare il grande lavoro investigativo di Sabadello, il quale non si conclude offrendo soltanto risposte (spetterà al lettore valutarle nella loro solidità) ma offre una serie di nuovi interrogativi aperti, nati proprio dall’impostazione ermeneutica sopra citata. Dichiarare che il Capitale non sia il nemico di Heidegger ma il suo faro concettuale significa rimescolare le carte di una critica filosofica a volte troppo fiaccamente rivolta a perpetuare, come un’eco stanca, tesi in realtà mai messe sotto torchio. Altrettanto dicasi per Pasolini, quando fu accusato di essere antimodernista. Sabadello riporta i giudizi di Eco e Sanguineti a proposito dello scrittore,2 non certo teneri. C’è una ragione che smentisce un’altra oppure strade diverse e nuovi percorsi sono per noi percorribili?

Si tratta evidentemente di un saggio “aperto”, come le vere analisi su temi così importanti meritano di ricevere, un lavoro in grado anche di suscitare accesi dibattiti e polemiche. Ma non è questo il compito della vera filosofia?

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Note:

1) Cfr. E. Conte, C. Essner, Culti di sangue. Antropologia del nazismo, Carocci, 2000.
2) E. Sanguineti, Pasolini? Un reazionario illeggibile, su Il Messaggero, 26 settembre 1995; U. Eco, Perché non eravamo sempre d’accordo, L’Espresso, 9 novembre 1975.

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Immagine di copertina:
fotogramma da Pier Paolo Pasolini, Medea, 1969, – Il “dialogo filosofico” di Chirone e Giasone