Tra il 2014 e il 2019 sono usciti i primi tre capitoli della saga di John Wick. Il quarto capitolo, rimandato a lungo per diversi motivi tra cui l’epidemia di COVID, uscirà nei cinema il 24 marzo di quest’anno. Nel 2020 la stessa produzione aveva diffuso notizie su un quinto capitolo.

La trilogia di John Wick ha ripensato l’idea di action movie. In diverse occasioni la figura del killer è stata avvicinata e paragonata a Neo, il personaggio di Matrix, ovviamente per via dell’interpretazione di Keanu Reeves che ha dato il volto al protagonista di entrambe le trilogie. Inoltre, molte altre figure, a partire dallo stesso regista Chad Stahelski, provengono dallo staff delle sorelle Wachowski. Come mai settori di pubblico così lontani hanno portato al successo storie così diverse? Forse perché in realtà vi sono molti elementi in comune, che emergono analizzando i tre film. Questo articolo, che contiene molto spoiler, si propone di analizzare i momenti salienti della trilogia, evidenziandone l’impatto sul pubblico alla luce della cifra tragica che connota la narrazione.

Il primo film di John Wick si apre con una immagine di morte. Sotto la pioggia, un uomo agonizzante guarda un video sullo smartphone. Le immagini che scorrono mostrano una donna che gli parla e gli chiede «che cosa stai facendo, John?» In questa prima scena troviamo tutti i topoi della trilogia dedicata al personaggio interpretato da Keanu Reeves: la morte, la memoria e il destino. Costruita con lo schema di una tragedia classica, la storia del personaggio John Wick è il contraltare di quella di Neo in Matrix.

La scena appena descritta è piuttosto breve ed è seguita da un flashback, che al contrario è decisamente lungo e tramite cui ci addentriamo nella storia. John Wick, alias Baba Yaga, alias Jardani Jovanovich (come scopriremo solo nel terzo film) è un killer professionista, per tutti il migliore, insuperabile nel suo mestiere. Come viene detto diverse volte «è concentrazione pura, impegno totale, e volontà ferrea». John Wick per amore di Helen prova a lasciare il suo mestiere, e a ritirarsi. Come è facile immaginarsi, ciò non gli risulta affatto semplice. In realtà per almeno quattro anni, secondo la testimonianza dei molti che affrontano questo tema, riesce a tenersi lontano dal suo mondo precedente. Durante tutti i tre film, ma soprattutto nel primo, gli vengono continuamente rivolte frasi che sottolineano il suo ritorno, e a seguire indagano se si tratta anche di «un ritorno al lavoro». Anche Jimmy, il poliziotto di quartiere, a cui è evidentemente ben noto il passato di John Wick, glielo chiede in diverse occasioni, ricevendo sempre risposte laconiche.

Dopo quattro anni dal suo ritiro, Helen muore a causa di una malattia terminale. John (ri)legge alcune sue lettere, e in questo modo spiega al pubblico che entrambi erano al corrente della sua condizione, ma forse non si aspettavano un declino così rapido, visto che l’ultimo atto li coglie improvvisamente, in strada, ed è un momento drammatico, che ritroveremo decine di volte nei suoi ricordi.

Di tutto ciò che riguarda Helen il pubblico viene messo a parte, perché lo mostrano i flashback, l’ossessione di John, il suo dolore insuperabile che gli impedisce di pensare ad altro. Helen è ricoverata, ma le sue condizioni sono disperate. Non vi sono parole, solo uno sguardo tra John e il medico, mentre si sente solo il battito cardiaco. Un segno di assenso e il medico spegne i macchinari, trasformando il ritmo del cuore nel suono continuo della morte. Sebbene non venga mai esplicitato, si tratta di eutanasia. John Wick vive affiancato dalla morte e non teme di darla anche a chi ama, perché sa che «solo nella morte si trova la pace». Tutto ci è stato spiegato: l’uomo noto per essere un killer spietato è distrutto solo dalla morte di qualcuno che ha amato.

Vi sono quindi due mondi in John Wick, così come in Matrix. Il primo è il mondo del crimine organizzato, della mafia russa, della camorra, e di tutte le organizzazioni criminali, qui semplificate sotto il nome collettivo di Gran Tavola. È un mondo falso e ipocrita, dove il tradimento è all’ordine del giorno, un mondo dove viene incessantemente ribadito il valore delle regole, sebbene queste stesse siano continuamente infrante. Diverse volte viene detto che «senza le regole saremmo come degli animali», ma il comportamento crudele e spietato proprio di chi stabilisce queste regole non fa che mostrare il conflitto insanabile fra il diritto e la vita, dove il primo si rivela per quello che è, ovvero l’espressione di chi ha il potere, ed è finalizzato a schiacciare chi di quel potere non dispone.

In molte situazioni gli vengono rivolte le condoglianze per la morte della moglie, ma è quasi sempre un’espressione formale, a cui anche John risponde senz’anima. L’altro mondo è invece la vita con Helen, che rappresenta la possibilità di una redenzione.

C’è una alternativa, si può sempre cambiare vita, così come dimostra Neo accettando la pillola ed entrando nel mondo oscuro della ribellione. Però Helen muore, e John si ritrova a fare i conti con il destino, mentre cade una pioggia indifferente.

La sorte si manifesta sotto le sembianze di Iosef Tarasov, figlio di Viggo, potente capo bastone della mafia russa. Il giovane spavaldo vuole la macchina di John, e di fronte al suo rifiuto penetra di notte in casa sua insieme ad altri compari e lo coglie di sorpresa, unica volta in cui succede nell’arco di tutti e tre i film. Nella colluttazione che segue, John è preso a bastonate; sviene, la sua macchina viene rubata e il suo cane ucciso. È necessario fare un passo indietro, per spiegare il ruolo di Daisy, la cagnolina. Helen, come ultimo gesto prima di morire gliel’aveva regalata, spingendolo a non chiudersi in sé stesso e a trovare di nuovo il desiderio di occuparsi di un altro essere vivente. John è ossessionato dal passato: rivede continuamente il video della moglie, guarda le sue fotografie, conserva il braccialetto di lei sul comodino. Gli oggetti – di cui è disseminata la loro casa – per lui sono l’unico legame con il mondo che ha perduto, mentre viene aggredito dal mondo da cui era fuggito, quello del suo vecchio mestiere. La morte di Daisy è un interruttore che riaccende lo psicopatico assassino di un tempo.

Vediamo John sotto la doccia, e in questa scena viene mostrato per la prima volta il grande tatuaggio sulla schiena con la scritta Fortis Fortuna Adiuvat. Se la traduzione in italiano è «la fortuna aiuta gli audaci», il termine fortuna significa letteralmente «destino». Nella vita di John Wick il rapporto con la necessità è centrale. La morte di Daisy per John è – letteralmente – un richiamo al suo destino. È la punizione per aver cercato di allontanarsi da ciò per cui è nato. Viggo Tarasov in uno dei molti dialoghi filosofici che avvengono tra i due, gli dice esplicitamente che «le persone non cambiano, non cambiano mai», e che lui resterà per sempre quello che era. Il tentativo, di matrice buddhista, di trovare la salvezza attraverso l’amore per l’altro, per il cane, fallisce; così, John aggiunge il collare di Daisy alla serie degli oggetti feticcio che colleziona ossessivamente.

È sempre Viggo Tarasov che racconta una nuova parte del passato di John Wick, così che iniziamo a comprendere – ad esempio – come mai parli e comprenda il russo. John lavorava per loro, ed era noto come Baba Yaga. Si tratta, come è noto, del personaggio di molte fiabe russe, di una figura mitica, un archetipo junghiano, un essere arcaico, di molto difficile identificazione, anche se nel terzo film sarà John Wick stesso a fornirci una chiave di interpretazione. Tarasov dopo aver raccontato al figlio la storia dei tre uomini uccisi con una matita (aneddoto che diventerà virale fino a realizzarsi), e avergli predetto una inevitabile morte, prova a fare tutto quanto in suo potere per fermare l’onda irrefrenabile di John Wick. Mentre i suoi uomini vengono uccisi uno per uno, Tarasov tra sé e sé mormora in russo una lugubre filastrocca:

«Il bimbo prima o poi nel sonno cadrà e l’Uomo Nero a prenderlo verrà.
L’Uomo Nero più vicino si farà e attraverso la palude arriverà.
L’Uomo Nero di nuovo tornerà e un bimbo cattivo via porterà».(1)

Siamo sempre più all’interno del mito, della tragedia, e della favola. Ognuno ha il suo ruolo simbolico nel racconto, tranne John, scheggia impazzita, che non accetta di rispettare il suo personaggio. Viggo, a un certo punto, allibito e sorpreso, gli dice, senza più capire come mai un cane e una macchina lo portino a distruggere un mondo: «Cos’è successo, John? Eravamo professionisti… persone ragionevoli». Dal suo punto di vista, di fronte alle regole che costruiscono il mondo, John ha scelto il suo cane, la sua spinta irrazionale verso una libertà che non gli spetta, e che non è contemplata nelle regole della società, comunque questa sia chiamata. Il passato e il futuro si scontrano nel presente. Viggo, nell’estremo tentativo di salvaguardare le regole, e il leitmotiv “tutto ha un prezzo” ne è una delle più importanti, cerca comunque di trattare, e vende il figlio a John Wick, posando la propria vita sull’altro piatto della bilancia. Ma è – ovviamente – inutile. Il fato non può essere ingannato, e gli altri elementi, apparentemente casuali o irrilevanti, come l’amico Marcus (uno splendido William Defoe), portano in ogni caso alla fine che doveva giungere. È qui, sotto la pioggia, che si conclude il lungo flashback del film, mentre John finisce a curarsi le ferite in un canile, usando arnesi e medicinali da veterinario, proprio perché sono le regole che ci rendono umani.

Per l’intera durata del film, la città di New York è ripresa dall’alto, verticalmente, così da apparire, nello schema di strade che si incrociano ad angolo retto, come una sorta di immensa mainboard, omaggio evidente a Matrix e a tutto il mondo cyberpunk, alle cui atmosfere gran parte del film si ispira, anche nella colonna sonora. Unico angolo non retto in questa mappa borgesiana è il cuneo con cui si presenta l’ingresso del Continental, hotel dove, per volere della Gran Tavola, tutti gli appartenenti alle organizzazioni criminali possono trovare rifugio. Nell’hotel, regno incontrastato di Winston, il direttore, le regole valgono più che in ogni altro luogo. Difatti non è possibile concludere affari, ovvero uccidere qualcuno, all’interno del perimetro dell’albergo. Questo viene messo in chiaro sin dalla prima occasione in cui John vi ritorna. Qui è accolto dall’intero staff come fosse un figliol prodigo. Tutti sono felici di rivederlo, di saperlo nuovamente interpretabile all’interno di uno schema noto e prefissato. Eppure, sin da quella stessa prima volta, le regole sono immediatamente infrante, e per tutti e tre i film la regola del Continental, sebbene continuamente ribadita, viene anche continuamente infranta. Il diritto – possiamo affermare – genera il suo antagonista. Come in Sorvegliare e punire, non esiste la prigione senza il prigioniero. La regola partorisce l’infrazione. Il sistema non rispetta mai le sue stesse regole. Il Continental perciò è un falso, un teatro, una sacra rappresentazione, dove Winston cerca di convincere John Wick a moderarsi, a contenere la sua hybris. Come se fosse possibile, come se non fosse nell’essenza stessa dell’eroe essere eccessivo e ossessionato dal suo destino e dalla sua missione.

Il secondo film comincia con un inseguimento. Per un istante si vede una proiezione, sul muro di una casa, ed è come se fosse un messaggio per tutti: siamo nel film. La storia comincia, e riprendono anche le riprese dall’alto. Alla fine, appare un nome: Abram Tarasov, e apprendiamo rapidamente che si tratta del fratello di Viggo. Anche lui ripete il nome e la leggenda di Baba Yaga. Come se si rivolgesse allo spettatore: «Siamo di nuovo nella storia, bambini, vi ricordate di Baba Yaga? Vi ho raccontato ieri la sua vicenda». Ma John Wick ancora una volta non rispetta il suo personaggio, non ci sta a rimanere incasellato nel mito, nel suo destino, e dopo aver dimostrato a modo suo che potrebbe – di nuovo – distruggere tutto, dalle sue labbra esce una proposta: Mir, pace. Perché John Wick ci vuole provare una seconda volta. Di nuovo seppellisce con il cemento le sue armi, da poco recuperate, e finalmente può provare ad assaporare i suoi ricordi. È nella sua casa, con il suo cane e tutto ciò che è ha costruito per sfuggire al suo passato. La sua casa ai suoi occhi è un fortino, ed è proprio lì che lo colpisce il destino, impersonato dal boss della camorra Santino D’Antonio, il suo nuovo nemico. La casa viene completamente distrutta, e in questo modo viene cancellata qualsiasi traccia del suo tentativo di cambiare vita. Santino contro di lui ha in mano un pegno, ovvero un obbligo che non può essere respinto, ma John Wick lo allontana ugualmente, rifiutandosi ancora una volta, nel suo individualismo anarchico, di rispettare le regole. Così Santino lo colpisce nell’unica cosa che gli era rimasta. Winston, alfiere del diritto, sebbene provi una particolare simpatia per John, gli dice chiaramente che l’unica cosa che può fare è rispettare gli obblighi dovuti al patto, altrimenti sarebbe morto. John Wick è quindi costretto a scendere a patti con Santino, e a seguire le sue istruzioni, che si rivelano essere quanto di più distruttivo possibile. Sia John che Winston premono su Santino perché non porti avanti il suo progetto, per evitare conseguenze disastrose, ma l’uomo della camorra non vuole sentire ragioni.

La scena si trasferisce a Roma, modificando completamente le forme della rappresentazione. Non più lo schema tecnologico, la matrice digitale newyorkese, bensì l’estetica dell’ornamento e delle rovine propria della capitale italiana. Una lunga scena nel film si svolge all’interno delle terme di Caracalla, in evidente contrapposizione con vetro, plastica e acciaio che dominano nel finale. Il film si compone come un mosaico, tassello dopo tassello, convergendo verso la conclusione.

John Wick, al Continental di Roma, usufruisce dei servigi di questi personaggi di assoluta professionalità: il sarto, l’armaiolo, l’archivista. Come accadeva già a New York (il concierge, la barista), questi uomini sono espressione diretta della Gran Tavola, e si dedicano completamente ad aiutarlo nel compiere la sua missione. Questi uomini, tutti, apprezzano e amano la professionalità di John Wick, si riconoscono in lui, ma ciò è un valore finché viene riconosciuto come un elemento di uno schema accettato e condiviso, fino a quando viene visto come espressione diretta della Gran Tavola. L’ipocrisia del potere diventerà evidente quando, nel terzo film, subirà la scomunica: allora non avrà più accesso a nessuno di quei privilegi e l’intera organizzazione diventerà sua nemica. John compie perciò la missione che gli era stata affidata, e con una scenografia dannunziana, uccide la sua vittima designata: Gianna d’Antonio, sorella di Santino. Quest’ultima, prima di morire gli chiede espressamente se ha paura della dannazione eterna. John risponde di sì, tuttavia non stanno realmente parlando di una dannazione di stampo religioso, ma della condanna della Gran Tavola, che lui vive come eterna, essendo lo specchio del suo destino. La valenza simbolica di tutto ciò è trasparente. Santino ha distrutto la casa di John, bruciando tutto ciò che per lui aveva valore, ed è quindi nelle rovine – la Roma antica – che lui deve ricostruire il proprio presente, adempiendo al patto richiesto e così salvandosi proprio dalla dannazione che gli è prospettata. Questo è comunque un film in cui i linguaggi sono i veri protagonisti, e si intersecano continuamente tra loro: gli incontri con Santino avvengono in un museo, davanti a un affresco, che lui giudica «colore sulla tela», ammettendo di non comprenderlo, se non nel suo valore puramente economico. In più occasioni lo sfondo dell’azione è affollato di statue ispirate alla scultura ellenistica. Verrebbe da dire che solo il linguaggio dell’arte permette di rappresentare adeguatamente la violenza. Le statue immobili appaiono più reali e significative dei mille sicari che gli vengono mandati incontro. Un altro linguaggio che sorprendentemente fa la sua comparsa è quello della guardia del corpo di Santino, Ares – con un inevitabile richiamo mitologico, seppur ribaltato di genere. Lei è sordomuta, e di conseguenza parla con il linguaggio dei segni, che John comprende e parla. Infine – se vogliamo – un altro esempio di linguaggio incastrato tra le diverse scene è quello delle impiegate – telefoniste della Gran Tavola, che rappresentano una sorta di “braccio armato” della burocrazia. Una passerella di pin up coperte di tatuaggi e piercing, con apparecchi che sembrano provenire da una tecnologia quasi steampunk, e che, con la massima nonchalance, eseguono spietatamente gli ordini dei membri della cupola. Come abbiamo più volte sottolineato, le regole sono implacabilmente false; non sono mai, in nessun caso, una tutela per il sottoposto, quanto piuttosto la copertura per le azioni del potere costituito. Così Santino tradisce il patto, e nessuno lo condanna per questo, ma l’intera organizzazione lo segue nella sua caccia spietata a John, braccato per tutto il mondo. La parte finale del film è una cascata travolgente di eventi, a partire dalla comparsa (e rapida scomparsa) di Cassian, un uomo d’onore, come lo era Marcus, fino alla speculare morte disonorevole di Santino d’Antonio. Tra questi due eventi John Wick combatte contro il mondo, in questa situazione paradossale in cui ogni persona è un potenziale omicida, e di fronte all’offerta adeguata rischia anche la propria vita. L’unico che, in fondo, disprezza il denaro, e di conseguenza l’unico che lo aiuta, è The Bowery King, ovvero la versione locale di Morpheus (Lawrence Fishburne) il re della Soup Kitchen, una organizzazione criminale formata solamente da homeless e mendicanti. L’arma che John riesce a recuperare gli permette di distruggere ciò che resta dell’organizzazione di Santino e di inseguirlo sin dentro il Continental, ultimo sopravvissuto. John, perfettamente conscio del ruolo di copertura che ha l’organizzazione dell’Hotel, scientemente ne infrange la più sacra delle regole, e, di fronte a tutti uccide Santino d’Antona.

Ancora una volta piove. La pioggia cade su tutti, indiscriminatamente. È il destino uguale per tutti. Piove anche all’inizio del terzo, che ha un addendum nel titolo. Al nome di John Wick viene aggiunta la parola parabellum. La pioggia incombe, mentre John fugge dai sicari che ambiscono a incassare la taglia posta da Santino. Ora la taglia è raddoppiata, e pare che ogni uomo e donna al mondo sia a libro paga della Gran Tavola. Tutti riconoscono John Wick, perfino il guidatore di un taxi preso al volo, tutti cercano di ucciderlo, e lui – come afferma nel dialogo con Winston – li ammazza tutti, indiscriminatamente. La prima mezz’ora del film è un disperato e angosciante countdown, nell’attesa del momento in cui lo scontro può prendere il via. John Wick dedica questo tempo – ancora una volta – a ricostruire il mondo a partire dal suo passato. Ogni cosa del mondo è proiezione del passato, ma è il presente che stabilisce che cosa si deve ricordare. Santino ha cercato di cancellare Helen dal passato, ora John usa un passato ancora più lontano per difendersi dalla Gran Tavola. Recupera in biblioteca una copia delle Antiche fiabe russe di Aleksandr Nikolaevič Afanas’ev, dove aveva nascosto documenti e armi. Il riferimento al testo è importante, perché chiarisce il rapporto tra John Wick e la figura mitologica, dato che è solo in questa raccolta che Baba Yaga è costretta a svolgere una “missione impossibile”, così come Viggo Tarasof aveva fatto con John Wick. Non appena prende il via la caccia, si moltiplicano inseguimenti e combattimenti; la sceneggiatura e la regia non limitano certo gli elementi di estetica simbolicamente rilevanti: vediamo così labirinti, armerie, musei, suq, scuderie. I cavalli lo aiutano, li conosce e li capisce, così come i cani. Quello che accade a questo punto, però, dopo questo inizio di difficile decodifica, ricco di segnali e avvisi, è determinante nella comprensione del passato. John Wick arriva a un teatro di posa, dove incontra una donna, nota come la regista, a cui presenta un pegno, analogo a quello che era stato presentato a lui da Santino. La regista (Anjelica Huston) sta addestrando ballerine con una disciplina militare («L’arte è dolore, la vita è sofferenza»). Le allieve hanno tatuato sulla schiena lo stesso motto di John Wick, e ci viene reso noto che quella è la sede della Ruska Roma, una ulteriore organizzazione criminale in cui il giovane John Wick era stato ammesso, e dove ha imparato il mestiere. Qui scopriamo anche il suo vero nome, Jardani Jovanovich, e che è di origini bielorusse. La regista, dopo mille reticenze accetta di aiutarlo, cosciente che ne avrebbe subito le conseguenze, e gli concede i mezzi per raggiungere il Marocco, dove – tra altre mille peripezie e intoppi – aspira a incontrare il capo supremo della Gran Tavola. La madre-regista, in linea con l’eccessivo simbolismo del film, viene punita con le stimmate. In Marocco (nei dialoghi si parla di Casablanca, ma le riprese sono ad Essaouira, città sulla costa) incontra Sofia, un altro pezzo del suo passato che lei utilizza come un’arma contro di lui seppur aiutandolo. Il passato è sempre un’arma a doppio taglio, sebbene John Wick resti in ogni caso l’anomalia tout court, nel bene e nel male. Sulla scia di Zizek e di Morpheus, il nostro eroe si ritrova letteralmente nel deserto del reale, dove non ha alcuna speranza di sopravvivere se non per “grazia” di The Elder, mistico capo della Gran Tavola. Costui, dopo averlo salvato, lo coinvolge in un dialogo filosofico, ancora una volta sulle motivazioni che spingono John Wick a vivere. Cosa ti spinge, gli chiede? E la risposta è – implacabile – la memoria. Io vivo solo per poter ricordare. La scena che segue questo dialogo è particolarmente importante, sebbene caotica e poco chiara nell’economia del film, che anche in questo senso coincide con la trilogia di Matrix. John Wick viene messo di fronte a una scelta: se vuole continuare la sua vita, e quindi portare avanti la missione che si propone, il suo vivere nel ricordo, deve dare un pegno di obbedienza, e garantire fedeltà. Qui ritroviamo senza mediazioni la dottrina della servitù volontaria di Etienne de la Boètie. Se il sistema non è più in grado di gestire l’opposizione, e John arriva davanti all’anziano, così come Neo arriva dall’architetto, allora la convinzione deve venire dall’interno. Nessuno può costringerti come te stesso. E John così acconsente: si recide un dito, consegnando la sua fede matrimoniale, come pegno di fedeltà, e accetta il suo compito, una nuova missione impossibile. Il suo compito sarebbe di uccidere Winston, che ha tradito la Gran Tavola.

È abbastanza chiaro che gli sceneggiatori hanno rivisto e complicato la storia in corso d’opera, e così mentre il primo film e quasi tutto il secondo scorrono, questo terzo rincorre la sua fama, con l’obiettivo di continuare a volare alto. Il risultato è senza dubbio più che adeguato, ma è altrettanto vero che la carica di spontaneità e di vulcanica creatività che abbiamo visto si è parzialmente cristallizzata in un refrein molto pre-strutturato, un formalismo accademico. Nella parte finale del film si rincorrono nuovi personaggi e scene di combattimenti: Zero, il nuovo antagonista, dopo la scomparsa sia di Cassian che di Ares, non riesce ad essere più che la parodia di sé stesso, essendo tutti i sicari palesemente e dichiaratamente dei fan di John Wick. Gli shinobi sono «onorati di combattere con lui», sebbene con gli anni sia «diventato un po’ lento». John Wick corre e fugge per tutto il film annaspando alla ricerca di una via di uscita dall’impasse in cui è legato, e alla fine la situazione si sbroglia a suo favore ma solo dopo una intrecciata serie di tradimenti reciproci e di promesse non mantenute. Winston (in una lettura “marxiana” incarna la borghesia) tradisce John, nonostante – o forse proprio perché – lui lo salvi dalla condanna della Gran Tavola. Alla fine la partita rimane è aperta, ma John Wick/Neo, rimasto alleato con il solo Bowery King/Morpheus, per sconfiggere i suoi nemici, non potrà più essere solamente il meglio di sé stesso. Abbiamo visto che non è sufficiente, di fronte al potere delle regole.

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Note:

1) Il testo originale è in russo; ho trascritto i sottotitoli italiani. Quelli inglesi dicono: «Hurry fall asleep or The Boogeyman will come for you. From the swamp he will come and Take the children that don’t behave. The Boogeyman». Come si vede c’è molta improvvisazione. In realtà The Boogeyman ha ben poco a che vedere con Baba Yaga. Verrebbe da pensare che agli sceneggiatori fosse sufficiente evocare qualcosa di arcano e pericoloso, senza addentrarsi nella morfologia della fiaba.

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Immagine di copertina:
fotogramma da Chad Stahelski, John Wick: Chapter 2, 2017