[Pubblichiamo un estratto del libro di Francesca Sensini, “La trama di Elena”, Ponte alle Grazie, 2023. Per gentile concessione dell’editore].

Francesca Sensini, La trama di Elena

Mi chiamo Elena e sono la regina di Sparta. Avete certamente sentito parlare di me. Sono la donna più bella del mondo. Ho tradito mio marito Menelao con uno straniero, ospite nella nostra reggia, il principe troiano Paride, e ho abbandonato la mia casa. Per questa ragione non solo mio marito, ma la Grecia intera si è mossa insieme a lui: ha imbracciato le armi, ha allestito i suoi contingenti e le sue flotte, tante quante gli scogli delle nostre isole, ed è partita alla volta di Troia per riprendermi. Così è scoppiata la famosa guerra. Dopo dieci anni d’assedio e di battaglie, Troia è caduta in mano ai Greci. Dopo altri dieci anni, Menelao mi ha riportata a casa, come se non fossi mai partita. Sono tre millenni, oramai, che si parla di questa faccenda, che mi si addita, mi si scruta, che ci si chiede chi io sia, meraviglia o mostro o abbaglio del sole greco.

La mia vicenda è accaduta una volta e per sempre. Anzi è caduta, come un sasso lanciato dalla fantasia umana nell’oceano primordiale, origine di tutte le cose, producendo cerchi concentrici che si allargano fino ai confini dell’eternità, onde che si propagano da onde, effetto di una perturbazione che non smette di agitarsi. Così, dall’eternità, sono qui per dare la mia versione.

Non so dire esattamente quando sono nata. La dimensione del prima e del poi non mi appartiene. A un certo punto qualcuno mi ha nominata, mi ha rivolto una preghiera, ha scolpito nel marmo una testa di donna insuperabile, ha dipinto su un cratere una figurina rossa di compiuta seduttrice e io sono stata. Dentro questa mia secolare esistenza sono sempre giovane ma sono anche capace di invecchiare, di mostrarmi decrepita, una rovina tra le rovine della Grecia. Le notizie che porto sono dunque antichissime e recenti, non conoscono limiti di tempo né di luogo. Quando parlavano di me, ho sempre teso le orecchie. E quando parlavano d’altro che mi toccava, che potesse illuminare almeno un po’ chi sono stata, chi sono, chi vorrei essere, ho preso nota.

Girano molte voci sul mio conto. Per alcuni sono la peggiore delle donne, causa di sventure senza numero, altri mi protestano innocente e pura, magnifica preda degli uomini, utile pedina nelle mani degli Olimpi. C’è poi chi lascia intendere che non la racconti giusta e che io sia, in realtà, una dea. E allora a cosa credere? Dove sta la verità? Al confine della nostra fede, probabilmente; sulla soglia della capacità di tenere insieme contrasti e contraddizioni e di ammetterli come una conseguenza necessaria dell’essere. Animale fantastico, levriero sottile che ci dà la caccia e ci punta dal folto di un’invisibile foresta, la verità che mi riguarda è una rivelazione, corrisponde a un’evidenza religiosa che agisce in funzione della sua efficacia sulla materia delle emozioni e del pensiero; non serve a esprimere giudizi, quanto meno non nel mondo del mito, non nello spazio e nel tempo del sacro.

Il saggio Esiodo, pastore poeta di Ascra, esclude la verità dalle genealogie degli dèi. C’è prima il Caos, poi vengono le Tenebre, che lui chiama Erebo, e la Notte; e da tutto questo buio primordiale nascono in seguito, chissà come, il Giorno e l’Etere, che è lo strato superiore del cielo, dove l’aria è rarefatta e solo gli dèi possono respirare. E così via. Della verità, nessuna traccia.

I veri poeti sono dei saggi, sono i legislatori del mondo. Sanno che la verità non è una dea, ma una questione tutta terrena. Riguarda quelle forze che ispirano negli esseri umani desideri di creazione, esigenze di spiegazione, parole di poesia, calcoli di astronomia, forme di scienze e arti varie: le Muse, figlie della Memoria. Sono loro a dire a Esiodo queste parole: «Sappiamo raccontare cose false, che sembrano vere, ma sappiamo anche cantare la verità, se vogliamo». Le Muse sono così, bugiarde e sincere, a seconda dell’intenzione che si prefiggono.

Mi affido dunque alle loro storie meravigliose, manifestazioni di un piano altro del pensiero, che stupisce e inquieta. Le Muse non si affannano né a condannarmi né ad assolvermi, non sanno che farsene del vero umano, un feticcio cavo, solo razionale, solo morale; un cavallo di Troia pieno di buone ragioni che finiscono, però, con lo svuotare, da dentro, la sostanza del mio destino.

Quello che posso dire di me è che ogni volta che ho tentato di sedermi tranquilla a un telaio, come facevano le donne del mio tempo e come tutti si aspettavano da me, quando ho cercato di pensare al mondo con distacco, come a una cosa non mia, guardandolo nello specchio della mente, la mia stessa vista ha cominciato a tremare. E così, il luogo che doveva essere per me rifugio e riposo si è fatto a poco a poco irriconoscibile e ostile. Gli esseri che prima mi erano familiari, amabili parti di me – genitori, marito, figlia –, si deformavano, mutando in opache figure avverse. Mi ero consegnata, da sola, inconsapevolmente, ai nemici?

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Immagine di copertina:
Elena e Paride, particolare di un cratere a campana apulo a figure rosse (Taranto?), 380–370 a.C., Louvre.