Di tutti i personaggi che animano lo scenario distopico di The Last of Us, il survivalista Bill incarna nel modo più complesso lo spirito di un tempo, il nostro, segnato dalla chiusura nei confronti dell’altro. Un tempo di isolamento e straziante solitudine, rappresentato qui dalla fine del genere umano colonizzato da un fungo parassita. La rete neurale del fungo ha trasformato i corpi di quelli che erano esseri umani in cellule di un unico organismo. Su questo scenario si muovono Joel e Ellie, un uomo e una ragazzina di quattordici anni. I riferimenti ai grandi classici dell’Apocalisse sono così palesi da non necessitare di commento: dagli zombie-vampiri di Matheson a La strada di McCarthy, da Romero a Brooks, le citazioni si sprecano.

Ciò che invece merita un affondo è il mondo solitario di Bill, barricato in una fortezza a prova di saccheggiatori. L’incontro fortuito con un altro essere umano, non infetto e solo quanto lui, lo mette davanti a un bisogno mai percepito prima: quello di prendersi cura di qualcuno, a partire da un dato incontestabile, ovvero una abilità sopra la norma di prendersi cura di sé stesso. Il fatto che si tratti di una relazione omosessuale non è un dettaglio: abbiamo già una coppia etero, formata da Joel e Tess, e un legame fra un adulto e una bambina. Si trattava, già nel gioco, di offrire uno spettro completo dei rapporti affettivi fra individui. Solo a un livello molto superficiale il loro amarsi in uno scenario di fine del mondo può costituire il lato interessante dell’unione fra Bill e Frank; in realtà, questo incontro apre uno squarcio sui bisogni primari dell’essere umano in qualsiasi contesto, persino in quello della più completa delle privazioni, cioè l’assenza della società.

Il flashback che ci conduce a casa di Bill si apre sulla visione di una fossa comune: Joel chiede a Ellie di discostarsi dalla strada (citazione diretta dal capolavoro di McCarthy), ma la ragazzina vuole vedere l’orrore che il suo mentore desidera risparmiarle. Lo spettacolo che appare ai due è tipico degli scenari apocalittici: i resti di uno sterminio si squadernano davanti all’adolescente, che con la sua naturale curiosità ne chiede spiegazione. Ecco che inizia il racconto. Non stupisce che si faccia partire la colonizzazione del fungo vent’anni prima, poiché la vicenda è ambientata ai giorni nostri, nell’anno 2023, e il flashback ci porta nel 2003, anno della prima pandemia globale del ventunesimo secolo, quando il SARS-CoV fu isolato e poi sequenziato. Il legame fra la finzione e la realtà della pandemia ancora in corso risulta in questo modo evidente. Nel far rivivere le vittime sane dello sterminio preventivo, si arriva a Bill, già arroccato nella sua fortezza grazie al suo genio survivalista. Rimane da solo quando le truppe governative deportano tutti gli abitanti della cittadina, giustificando l’evacuazione con esigenze di sicurezza. Il riferimento al nazismo è così palese che in una scena Bill dice chiaramente, in preda all’esasperazione, che al governo ci sono i nazisti. La serie (e il gioco) non è troppo sottile: si tratta in fondo di uno sparatutto umani contro zombie, di certo non di una disamina dell’interno borghese colto nel momento di una crisi di sistema. Di fatto trattandosi di una distopia, non esiste più nessun sistema: è, appunto, la fine del mondo, con le sue macerie che abbiamo l’opportunità di ammirare. La sequenza all’interno di un luogo fittizio chiamato The Bostonian Museum, a cui Joel si riferisce semplicemente come “il museo” – inesistente nella realtà, ma ispirato a tutti i musei della città – rappresenta ciò che rimarrà della nostra civiltà quando cadranno tutti i presupposti per l’esistenza stessa di una civiltà, ovvero un cumulo di macerie, indistinguibili dalla vegetazione prorompente.

Bill ci sta simpatico da subito: come ogni perfetto survivalista ha capito tutto prima di chiunque altro e si è organizzato di conseguenza. Possiede un arsenale, scorte di cibo e medicine, conoscenze ingegneristiche tali da poter fabbricare ogni possibile dispositivo da sé. È l’incarnazione del sopravvissuto, l’ultimo uomo, the last of us. Potrebbe sopravvivere fino alla fine naturale dei suoi giorni nel bel mezzo della devastazione senza alcuna difficoltà, se non fosse che gli accade la cosa più improbabile di tutte, l’unico evento che non era in alcun modo prevedibile: nella sua vita irrompono le emozioni. All’improvviso la sua vita acquista un nuovo scopo, poiché si ritrova a proteggere non più solo sé stesso, ma anche l’uomo che ama. Si dedica a questo compito per vent’anni fino a che un secondo elemento, la malattia terminale del compagno, fa irruzione nella storia e mina le fondamenta del suo mondo in modo così totale che la sua stessa vita e la fortezza che ha costruito per difenderla perdono di senso. Così, l’uomo inscalfibile che avrebbe potuto diventare centenario anche circondato dagli zombie, decide pur godendo di perfetta salute di porre fine alla propria vita per amore e solidarietà verso la persona che ama.

The Last of Us - Strawberry scene

Questo episodio ci chiarisce ciò a cui aveva già accennato McCarthy. L’improvviso recupero del benessere grazie ai beni di consumo trovati in un bunker non sono sufficienti a fermare i due protagonisti de La strada, che non possono permettersi di indugiare poiché hanno uno scopo, un obiettivo che non è il recupero di uno stile di vita non più replicabile, ma il raggiungimento di una comunità in cui il bambino possa sopravvivere e imparare a pensarsi in un futuro. Non sono il comfort, la sicurezza, il benessere a costituire il bene primario per l’essere umano, ma il senso di condivisione della propria condizione umana.

Nel caso della coppia formata da Bill e Frank non c’è nessun futuro, ma un eterno presente di cura reciproca, in cui si potrebbe ravvisare un Eden originario dove non esiste il lavoro, non esistono responsabilità né regole. In questo paradiso terrestre la vita di questi nuovi Adamo e Eva scorre senza alcuna paura né disturbo procurato dal mondo esterno, dove sta accadendo la fine del mondo. Non è ravvisabile una dimensione di terrore; in un solo caso subiscono l’incursione dei predatori, ma la fortificazione progettata da Bill è così intelligente ed efficiente che riesce a respingere l’attacco anche senza l’intervento umano.

Ciò che invece sgretola la vita edenica nel fortino è un’altra realtà, quella della malattia terminale, per fermare la quale non esiste cura e che da sola riesce a interrompere la condizione di equilibrio in cui vive questa coppia di umani che per vent’anni non è toccata dall’apocalisse.

Il messaggio è molto chiaro: non esiste alcuna disperazione in grado di spezzare gli umani se non quella di non potersi prendere cura di nessuno. Questa idea è incarnata nel padre assoluto de La strada e lo è di riflesso nel survivalista Bill, le cui certezze sono annullate non dal crollo della civiltà, ma dalla privazione dell’oggetto del suo amore.

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Immagine di copertina:
fotogramma da Craig Mazin e Neil Druckmann, The Last of Us, (ep. 3, Long, Long Time), 2023, © HBO