«Everybody is a book of blood; wherever we’re opened, we’re red»
C. Barker, Books of Blood, 1984

Il male quotidiano. Incursioni filosofiche nell’horror è un libro del 2022 edito da Rogas Edizioni, a firma di Davide Navarria e Selena Pastorino, i quali, attraverso l’analisi di opere appartenenti al genere horror, ci offrono una serie di riflessioni riguardo la realtà della condizione umana.

Rifuggendo dalle più comuni interpretazioni sociologiche e psicologiche tipiche dell’approccio intellettuale all’horror, il testo affronta il genere da punti di vista originali e inediti. Dal vampirismo alle case stregate, dalla madre terribile all’orrore cosmico, le opere analizzate sono legate da un unico, inquietante, filo conduttore: la disgregazione della nostra integrità fisica, psichica, morale e la nostra illusione di conoscere il mondo pienamente e nella sua interezza. L’horror rappresenta il fuoco di Prometeo che si spegne, lasciandoci nelle tenebre, in compagnia di mostri e di cose-che-non-dovrebbero-esistere. Il male quotidiano non è un testo sull’horror, ma che fa dell’horror il mezzo attraverso cui esaminare a fondo i veri elementi dell’incubo che è la nostra realtà. Mostrandoci la nostra fragilità (corporea o mentale che sia) sotto forma di finzione narrativa, l’horror ci dà l’illusione che, una volta terminato il prodotto culturale, ciò che abbiamo visto o letto non possa avvenire nella realtà. Eppure, nel momento in cui usufruiamo di un prodotto afferente al genere, le sensazioni e le emozioni che proviamo sono quanto mai reali e tangibili: la paura, la pelle d’oca, la nausea, il disgusto, lo smarrimento, l’angoscia. L’horror è finzione che si manifesta sul piano fisico, reale e, soprattutto corporeo; ferisce la nostra carne e la nostra psiche, come avviene agli sfortunati protagonisti delle vicende narrate. L’horror scardina le nostre sicurezze su razionalità, integrità, conoscenza. Ci pone davanti al fatto che nessuno di noi è mai davvero al sicuro; lo fa attraverso la finzione letteraria che ci inquieta e terrorizza nel reale, sgretolando le pretese di ordine e struttura con cui ammantiamo le nostre vite.

Il male quotidiano

I nostri corpi sono fragili sacchetti di sottile pelle che in qualunque momento può essere lacerata, rivelandone il rosso e pulsante contenuto. Le nostre menti, illusoriamente solide e coese, possono essere sbriciolate dalla penetrazione di qualcosa di altro, capace di destabilizzarci, spezzarci, distruggerci o, peggio ancora, trasformarci da vittime a carnefici; i mostri siamo noi, siamo quello che vorremmo essere ma che non possiamo (o meglio, non dovremmo) essere. L’horror, più di ogni altro genere, ci pone di fronte alla nostra mortalità e alla nostra presunzione di moralità, alla «cruda brutalità del caos» (p. 24), agli «elementi mostruosi e incontrollabili dell’esistenza» (p. 25) e a come «il mondo [sia] perlopiù un posto orribile e la realtà, in molte occasioni, intollerabile» (p. 21).

L’horror consente inoltre «di esplorare l’inesplorabile, mostrare l’invisibile, osare l’inaccettabile» (p. 270), perché «ha come caratteristica precipua quella di rendere visibile l’invisibile, di portare nel mondo cosciente e luminoso del giorno le creature e le paure della notte» (p. 262); quelle stesse creature e paure che vivono con noi, tra di noi e dentro di noi.

Al termine di un prodotto horror, raramente ci attendono un lieto fine o una spiegazione delle vicende a cui abbiamo assistito: come nella realtà, restiamo avvolti dalle nebbie dell’incertezza e dal dubbio, abbiamo finito la storia ma la storia non ha finito con noi. Il finale è l’unico sollievo che ci viene concesso, illusorio ed effimero, perché l’horror ha messo a nudo i nostri nervi e li ha stuzzicati con un ferro chirurgico: resta con noi, come ogni buona storia, anche se non lo vorremmo. E non lo vorremmo perché sappiamo che quella produzione ci ha in realtà mostrato che il vero orrore è la realtà, spietata torturatrice e assassina di Homo sapiens.

L’horror ci tocca perché mette a nudo – in molti casi esplicitamente – la nostra carne, i nostri organi, il nostro sangue. Il male quotidiano mette a nudo noi, ponendoci di fronte alla banale verità che evitiamo di affrontare: siamo animali fragili, mortali e dall’esistenza incerta, che potrebbe terminare in qualunque momento per cause esogene (il mostro, l’altro), per cause endogene (body horror, il nostro stesso corpo che ci si rivolta contro) o perché veniamo violati da qualcosa (il parassita, il demone che ci possiede).

L’horror è quindi anche il genere della non-sacralità, della non-inviolabilità e della non-purezza e, da questo punto di vista, è il perfetto specchio di quella che è la realtà del mondo fisico e naturale in cui viviamo. Il concetto di purezza è un arbitrario e fallace postulato stabilito da Homo sapiens; in natura tutto è contaminato, tutto interagisce e si compenetra con ciò che ha vicino, con sé, su di sé o dentro di sé. Opere come Alien o La cosa, esaminate nel saggio, divengono specchio anche di queste caratteristiche, arricchendo Il male quotidiano di ulteriori livelli di lettura che spaziano oltre i confini dell’analisi antropologica e filosofica del genere horror.

«Le storie dell’orrore vanno custodite e raccontate. Che mondo sarebbe senza [di esse]? Sarebbe un mondo disumano, distorto, mutilato. Perché il tessuto dell’esistenza è indisgiungibile da quello della narrazione. Siamo storie alla fine. Raccontiamole bene» (p. 276).

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Immagine di copertina:
illustrazione di Anna Legge, Pennywise & Georgie (particolare)