Circa dieci anni or sono, Valerio Evangelisti pubblicava un memoir, un breve testo intitolato Day Hospital, in cui raccontava il suo incontro con il cancro e la chemioterapia. Un «linfoma non Hodgkin di tipo B a grandi cellule aggressivo. Una forma di cancro del sistema linfatico». Così ci informava lui stesso sin dalle prime pagine. Oggi, che la malattia ha vinto la lunga battaglia condotta dallo scrittore in questi anni, rileggere quelle pagine ci dice molto di lui, forse più delle storie affascinanti che negli ultimi trent’anni ne hanno fatto una delle principali penne del fantastico italiano. Evangelisti mette in chiaro da subito il suo rapporto con la malattia: «[…] prego vivamente chi leggerà quanto segue di non mandarmi in privato messaggi di augurio, di solidarietà, di conforto o simili. Pur apprezzando il gesto, detesto essere compatito, sia pure in forma indiretta. Sono uno che ama cavarsela da solo, e non chiede l’appoggio di nessuno. Come le belve ferite amo ritirarmi, se malato, nella mia grotta, in perfetta solitudine […]».

Oggi rileggere il racconto dei capelli che cadevano e della birra terapeutica lascia un sorriso amaro. Valerio Evangelisti, pur avendo diretto per moltissimi anni una delle principali riviste on-line, Carmilla, non era un uomo da social, e non aveva account su Facebook né su Twitter, luoghi da cui aveva sempre mantenuto una sana distanza, e questo rende più semplice il rispetto dei comportamenti da tenere verso di lui e la sua malattia. Nonostante ciò, le home page di chi ha una certa età oggi sono affollate di ricordi. Tra i tanti sono toccanti quelli di Sandrone Dazieri e Massimo Carlotto, amici di vecchia data del magister, come era chiamato Evangelisti.

Non avere una identità forte sul web per lui non ha mai significato sottovalutare l’impatto delle nuove tecnologie sul significato e sulla forma propria della lotta politica. Valerio Evangelisti, così come Wu Ming, non ha mai inteso la rete come un semplice canale promozionale, ma come una agorà, una piazza virtuale. Oggi per il mondo editoriale italiano, il web è una sorta di allegato alle promozioni più classiche, come le presentazioni, gli incontri in radio e televisione, e così via. La rete non viene mai intesa come un media strutturalmente diverso, un luogo potenzialmente ben più potente del marketing spicciolo dell’ultimo romanzo. Carmilla è stato uno dei pochi luoghi della rete dove questa alterità si è mostrata e ha cercato di crescere, e questo solo grazie a Valerio Evangelisti. Leggere i romanzi di avventura, il fantasy, il ciclo di Eymerch senza annodarci la lotta politica che veniva parallelamente condotta, vuol dire non avere capito il suo lavoro, e ricordiamo in questo contesto la battaglia per Cesare Battisti, oggi mediaticamente scomparso nel gorgo del sistema giudiziario italiano.

Con la morte di Valerio Evangelisti, dopo quella di Sergio Altieri e di Stefano di Marino, scompare la voce di una generazione di interpreti, scrittori e portavoce del fantastico italiano, che lascia orfani i loro molti epigoni, senza più un punto di riferimento ove voltarsi per cercare una indicazione. Per citare un tweet di Sandrone Dazieri: «In un paese giusto gli si dedicherebbero vie e piazze, ma qui non accadrà».

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Immagine di copertina:
un dettaglio dell’illustrazione per il volume Eymerich risorge, Mondadori, 2017.