Parwana Fayyaz, l’autrice di Quaranta nomi (Aguaplano, 2022, traduzione e cura di Lea Niccolai), nasce a Kabul nel 1990. Ha solo sette anni quando lo scoppio della guerra civile in Afghanistan costringe la sua famiglia a emigrare in Pakistan. Tornata a Kabul all’età di sedici anni, termina gli studi superiori e si laurea all’università di Chittagong, in Bangladesh. A Stanford, California, si laurea poi in letterature comparate e completa un master in scienze religiose. Dal 2016 è a Cambridge dove, dopo il Ph.D in letteratura persiana, è attualmente ricercatrice. La sua poesia Forty Names è stata premiata nel 2019 con il Forward Prizes for Poetry, tra i più prestigiosi premi di poesia in lingua inglese. La sua prima raccolta poetica, che prende il nome dalla poesia vincitrice del premio, appare in UK presso Carcanet Press nel luglio del 2021.

Si tratta di una raccolta di componimenti che ricorda le storie narrate all’interno del microcosmo familiare e rurale negli anni dell’infanzia di Parwana, traendone potenti ritratti di figure femminili, al tempo stesso concretissime e leggendarie. La poesia diventa così un gesto simbolico in cui si intrecciano omaggio e sfida, compassione e ricerca di riparazione: restituire voce alle donne a cui è stata tolta, donne conosciute solo come figlie o madri o mogli di uomini, e il cui nome, a volte assente persino sulla tomba, è sradicato a forza dalla memoria collettiva.

Tra il fuoco incrociato della guerra e dell’onore e contro la violenza maschile perpetua, Parwana Fayyaz cerca di recuperare tutti i fili invisibili della rete di amore e coraggio che tiene insieme le donne della sua famiglia e del suo popolo, fra echi della mistica medievale persiana, miti ancestrali e cruda realtà storica.

Con il permesso dell’editore, pubblichiamo tre liriche dalla raccolta, La vecchia storia d’amore di nonna Leone, Cavalca-lupi e La donna della roccia.

Fayyaz, Quaranta nomi

La vecchia storia d’amore di nonna Leone

Sul sofra per la cena a buffet, le ragazze sono uva
e i ragazzi melograni.

Mi ricordo quando ero una moglie piena d’amore
e tuo nonno era bello come Giuseppe.
Lo sogno –
indossa la sua camicia bianca –
giovane come i germogli del melo.

Mi sta chiamando
e io sono qui fuori, la luce del mattino risplende, la brezza
– raccolgo gli ultimi pomodori freschi del giardino. Lo sento che mi chiama
e corro verso di lui e vedo il suo bel volto…

Le parole si spezzano –
cosa stavo dicendo
era un pensiero stupendo.

Mi sembrava di bere acqua fresca –
l’acqua del pozzo accanto all’albicocco
e ho sentito le mie labbra giovani baciare l’aria attorno all’orlo del vetro –
cos’è che ti stavo dicendo.

Rimane in silenzio più a lungo –
riflettendo su cosa aveva in mente che l’ha fatta sentire di nuovo giovane.
Non oso ricordarglielo.

La pioggia, adesso, ha smesso di cadere.
L’aria secca dell’estate entra nella stanza
e lei è sopraffatta dalla sete.

Cavalca-lupi

In un villaggio in cui i miei genitori vivevano con i loro figli
c’era un fiume che scorreva sempre
chiaro come il cristallo.

Per alcuni, l’acqua arrivava
dal ghiacciaio sulle montagne centrali.
Secondo gli anziani, la corrente proveniva dalla misericordia di Dio.

La regione che circondava il fiume era rifugio
dei lupi bianchi.
Sono venuti dalle terre del nord, dicevano.

Guardavo i lupi inselvatichirsi d’inverno.
I polli venivano raccolti dietro cancelli serrati.
Gli uomini andavano in giro con le armi.

Le donne recitavano incessantemente sure
e i bambini portavano gli amuleti di preghiera
appesi al collo.

*

C’è una storia famosa sul villaggio
che veniva raccontata ai bambini d’inverno.

Molti anni fa, viveva una donna.
Si chiamava Bakhti,
e non aveva paura di camminare sola, all’aperto, nelle notti fredde.

La donna della roccia

Era un inverno freddo a Kabul. sulla strada per la scuola
vidi una giovane donna seduta su una roccia. Mi fermai.
Rimasi lì, a guardarla. Tacevamo entrambe.

Lei non si mosse. sembrava immobile come una statua di marmo.
Io avevo un esame di fisica.
Mi voltai e mi incamminai verso il portone della scuola.

Il giorno successivo tornai a cercare la donna della roccia.
Pensavo di invitarla a casa per condividere il pranzo,
ma era scomparsa.

Qualche giorno più tardi, dissero che il corpo
morto di una giovane era stato trovato dietro alla nostra scuola.
Qual era la sua storia, mi chiesi, per morire al freddo, da sola?
Ogni inverno, nel passaggio tra autunno e primavera,
mi ricorda di lei. arriva e viene a sedersi sulla pietra.
La mano dell’inverno le si avvolge intorno.

Risalendo dal fondo della notte,
da oltre le pianure e al di là degli alberi,
il suo volto sconosciuto mi visita come fa il canto muto della neve.

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Immagine di copertina:
foto di Dirk Haas via Wikimedia.