C’era la taiga, c’era un incendio è una favola in versi di Matteo Meschiari illustrata dalle tavole in bianco e nero di Rocco Lombardi, che accompagnano il testo rappresentandone i momenti salienti.
La ballata è suddivisa in quindici strofe di dieci versi liberi senza punteggiatura. L’organizzazione interna del testo recupera l’andamento dell’epica alto-medievale, e instaura un rapporto diretto con la tradizione europea. È possibile collocare il poemetto al crocevia fra i carmi del canzoniere eddico, la canzone di gesta della tradizione romanza medievale e la poesia in versi liberi della tradizione otto-novecentesca. Un paragone viene spontaneo con la Terra desolata di Eliot, di cui ampie parti sono scritte in versi liberi, ma la tonalità narrativa dell’opera di Meschiari è molto distante dall’ispirazione modernista del poeta americano. Molto più marcata è invece l’affinità con l’Edda poetica,1 sia per quanto riguarda la struttura metrica sia dal punto di vista tematico.

C’era la taiga, c’era un incendio

Se l’Edda poetica ha una metrica basata su una strofa di quattro versi di otto sillabe ciascuno, ognuno dei quali suddiviso in due emistichi, in realtà il canzoniere non mostra norme metriche rigide.2 Una frase di senso compiuto nell’Edda poetica si ottiene dall’associazione dei due emistichi, fenomeno riecheggiato nella ballata di Meschiari, che sembra ricalcare questo schema distribuendo i semiversi di ispirazione norrena in distici, cosicché ogni stanza può essere considerata come l’associazione di cinque distici, con il verso finale più breve, spesso un ottonario (verso che richiama sia la lassa dell’epica medievale sia la ballata).
Un’altra caratteristica in comune fra quest’opera e i carmi del canzoniere eddico è l’assenza dell’elemento declamatorio proprio della recitazione orale («contraddistinto da variazioni di tono e di ritmo, da gesti e dall’eventuale accompagnamento di uno strumento musicale»).3 Anche nella ballata di Meschiari lo stile è piano e il tono non enfatico. Inoltre, se «[i] carmi si soffermano spesso sul comportamento, la saggezza, la conoscenza, dell’universo, il che evidenzia il carattere (in)formativo della poesia eddica»,4 in modo simile all’Edda poetica anche in questo racconto si descrivono i comportamenti e si forniscono esempi di saggezza. Nonostante il realismo di fondo, tutto ciò che viene narrato nella ballata è caratterizzato da un’ambientazione fiabesca, come nei carmi norreni.
L’assenza di punteggiatura richiama più l’esperienza di Ungaretti che quella dei futuristi, e dal punto di vista tematico ricorda la presenza del poeta nel bosco di Courton nel 1918, da cui egli trasse il suo capolavoro Soldati (si sta come | d’autunno |sugli alberi |le foglie).
Confrontando l’incipit della ballata con la terza e quarta strofa della Völospá (La profezia della veggente), poemetto di apertura del canzoniere eddico, risaltano la consonanza tematica e la vicinanza strutturale:

«c’era la taiga c’era un incendio
la taiga era là da sempre
l’incendio era nato da un fulmine
il suolo e i cespugli erano secchi
le erbe gonfiarono frusciarono
le fiamme avvolsero i rami
la cenere vorticò tra gli alberi
il fumo serpeggiò nel cielo
ma la taiga era grande e gelata
e l’incendio lontano».
5

«Era al principio dei tempi:      Ymir vi dimorava;
non c’era mare né spiaggia      né onde gelide;
terra non si distingueva      né cielo, in alto:
un baratro informe c’era      ed erba in nessun luogo.
Finché i figli di Burr      trassero su le terre,
loro che Terra di Mezzo      vasta foggiarono.
Dette luce da mezzogiorno      il sole alle pareti di pietra;
allora germogliò la terra      di porro verde».
6

La favola inizia con la notizia di un incendio e il raduno degli animali della foresta, che prendono la parola uno alla volta per decidere cosa fare. Gli insetti non credono alla notizia, mentre il salmone – che richiama il salmone della conoscenza di tradizione celtica – ha una funzione rassicurante. Il gufo avverte che il pericolo incombe, ma è fiducioso nel futuro. All’orso spetta il compito infelice di aprire gli occhi agli animali del bosco, e la sua visione cupa viene echeggiata da una rana che annuncia la fine del mondo e la rinascita dalle rovine, profezia che incontra il sarcasmo della vipera. Ogni animale incarna le diverse sfumature della reazione al disastro che si riscontrano nella società umana. L’ultima parola spetta all’arvicola, che incita a rimanere uniti. Il consiglio del piccolo roditore rimane inascoltato e ogni animale torna a casa sua. Ogni specie animale prende provvedimenti per sé, finché l’incendio non giunge e si rivela molto più devastante di quanto si potesse immaginare. Così la taiga viene invasa dalle fiamme e al termine dell’incendio l’arvicola riprende la parola incoraggiando gli animali a risvegliarsi. Tutti gli animali tornano dunque alla roccia delle riunioni situata in mezzo a un lago, dove erano soliti ritrovarsi prima, e anche se il mondo di prima è finito, la catena alimentare riprende, mentre nella taiga la natura rinasce. La favola infonde il senso che ogni elemento del mondo naturale è dotato di agentività: «la taiga nera e deserta | sognava le foglie» (p. 45) recita infatti il distico che chiude la ballata.
Le illustrazioni di Lombardi sono realizzate con la tecnica dello scratchboard. Rappresentano in modo realistico i protagonisti e l’ambientazione della favola. Culminano con la scena del risveglio e dell’uscita dalla cenere in prossimità della grande roccia nel lago, che è essa stessa una protagonista del racconto. Le tavole sono attualmente esposte alla galleria Terre rare di Bologna.

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Note:

1) L’edizione qui consultata è Il canzoniere eddico, a cura di Piergiuseppe Scardigli, tradotto dal norreno da P. Scardigli e M. Meli (Garzanti, 1982).
2) Introduzione a Il canzoniere eddico cit., pp. VII-XXXVIII (p. XXX).
3) Ibid., p. VIII.
4) Ibid., p. XXI.
5) C’era la taiga… cit., p. 2.
6) Il canzoniere eddico cit., pp. 5-6.

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Immagine di copertina:
particolare di una delle illustrazioni di Rocco Lombardi.