Feed your head
(Grace Slick)

Sono passati sessant’anni dalla conclusione della trilogia, Neo e Trinity sono entrati nella leggenda. I pochi uomini liberati dalla schiavitù di Matrix vivono il loro ricordo come fosse un mito fondativo. Nell’equipaggio della Mnemosyne (nomen omen), la nave di Bugs, nuovo personaggio cardine del mondo Matrix, è addirittura compreso un neologo, e ognuno dei membri ha una sua particolare e individuale quota di partecipazione alla memoria collettiva, compresi gli esseri non più chiamati macchine bensì, con una chiosa piena di rispetto e attenzione, noti come sintosenzienti (perché così preferiscono essere chiamati). La golden age di Matrix è oggi amministrata da Niobe e da coloro che non vedono di buon occhio una possibile riapparizione dell’Eletto, timorosi di ciò che potrebbe significare un tale evento e della tensione a cui sarebbe sottoposto l’equilibrio di forze instauratosi dopo la scomparsa della coppia celeste. Gli umani liberati non vivono più a Zion, ma hanno creato una nuova comunità chiamata Io dove, guidati saggiamente ma rigidamente da Niobe, hanno imparato a convivere con le macchine. Una parte di queste è adesso alleata degli esseri umani, al punto da combattere insieme a loro le sentinelle, avendo scoperto che entrambe le parti trovavano negli architetti di Matrix un nemico comune. La visione collettiva di Niobe – il bene comune – si scontra con l’individualismo di Neo, tuttavia nella logica non dualista proposta dal film, questa opzione è fasulla. La scelta che il super-io / Niobe (non a caso chiamata Il generale) attua è analoga al There is no Alternative di Mark Fisher, ovvero si tratta di un falso problema, che viene superato dall’agency di Neo. Anzi da quella di Trinity. Infatti Neo ha ben chiaro come la ricerca di Trinity sia centrale, per il solo motivo che è lei l’unica ad aver sempre creduto nell’Eletto, e a poter bypassare il dualismo binario.

Matrix resurrections è quindi un film con molteplici piani di lettura, non nel senso che vi sono molte chiavi interpretative dello stesso oggetto filmico, ma piuttosto perché molti sono i film che rispondono alla stessa denominazione. La scena in cui avviene il brain storming nella Deus machina per costruire Matrix IV, è emblematica di come l’idea originaria sia stata manipolata e decostruita secondo mille sfaccettature prismatiche, tutte vere e nessuna sufficiente, tutte perseguibili ma nessuna comprensiva. Il film è certamente il sequel della trilogia, ma le è anche totalmente trasversale. Ogni lettura, ogni aspetto, ogni contesto è insieme collegato e contrapposto alla trilogia originale. Non poteva esserle più affine, ma nemmeno più distante. Matrix resurrections è un’allegoria che prima di tutto sbeffeggia ciò che è diventata la trilogia nel corso del tempo, degradando la portata critica della narrazione originale al punto che oggi il richiamo alla red pill – ovvero all’idea di liberazione e di scoperta del sé emersa dai primi film – è sfruttato da incel, misogini, razzisti e quanto di peggio ha prodotto la cultura complottista made in USA. Il linguaggio tipico di un certo ambiente e proprio di forum come il celeberrimo 4chan è presente in diversi momenti del film: ad esempio, il marito di Trinity/Tiffany si chiama Chad, che nella nomenclatura incel è sostanzialmente un maschio alpha, un modello di mascolinità a cui aspirare e che – ovviamente – incel virgin e insicuri di sé ritengono irraggiungibile. Un ritratto perfetto di questa seconda categoria è Jude, l’assistente di Thomas Anderson. Il creatore di Matrix all’inizio del film è totalmente blue pill, ovvero incapace di comunicare, in terapia costante, vittima del mobbing di quello che sarebbe il suo socio ma che si comporta come fosse il suo capo. Il cambio di colore è ciò che permetterebbe il risveglio di Neo, come accade nella leggenda di Matrix e nell’ambizione di ogni fan della prima ora. La pillola rossa sarebbe quindi la trasformazione, la consacrazione del mito, la liberazione dalla bieca realtà del capoufficio e dell’analista, ciò che gli permetterebbe di poter tornare a volare con la donna dei suoi sogni. Neo, è come Peter Pan, ma più che all’infanzia è rimasto eterno adolescente, disposto a giocarsi tutto per una infatuazione. Ma davvero è tutto così binario? Neo non accetta la red pill, come d’altronde non l’aveva accettata nel primo Matrix, Trinity non ne ha bisogno, e risorge come una fenice, il nuovo Morpheus commenta ironicamente la proposta gnostica, e anche Bugs racconta di come avesse criticato l’opzione, ma per tutti la risposta è univoca: La scelta non esiste. La scelta l’hai già fatta, e consiste nel rifiutare il posizionamento. Come dice Sadi, la AI che li aiuta nella liberazione di Trinity, lei non ha alcun bisogno della pillola. L’analista, armato dei suoi occhiali blu, ricostruisce con perfetto linguaggio lacaniano la relazione tra la psiche devastata di Thomas Anderson e la sua incapacità di accettare un mondo dove non è la semi divinità in cui brama incarnarsi. La realtà, ancora quella parola, così commenta Neo, e aggiunge che tutto sembrava così reale. Questo è il linguaggio con cui rende la sua schizofrenia. Posizione sottoscritta dall’analista, quando gli fa notare come la sua maggior ambizione fosse costruire un gioco indistinguibile dal reale, un mondo in cui rifugiarsi per poter essere Dio. Ma, di nuovo, è tutto così binario? Davvero il viagra blu dell’analista può dare virilità a Thomas Anderson? Può trasformarlo in Chad? No, e difatti il game creator costruisce una subroutine modale, un loop dove i suoi personaggi continuano ad arrotolarsi su sé stessi, alla ricerca di una via di uscita, che è proprio ciò che fanno gli esseri umani, ma non i personaggi dei giochi. Il modale è per lui un oggetto transazionale, un’ancora psicologica, come le trottole totem di Inception. Lo usa per farsi ritrovare, per far sì che i suoi stessi personaggi lo possano rintracciare. Lungo tutto il film Thomas Anderson si passa le mani lungo le gambe, utilizzando questo meccanismo nello stesso modo, come àncora. Quel gesto solitamente viene interpretato come una disposizione positiva al dialogo, una volontà di essere presenti e attenti. La percezione tattile parla con il cervello profondo. Difatti l’analista è contento di lui, gli riconosce costantemente i passi avanti sulla strada della terapia. Sarà Morpheus che in più occasioni andrà a sottolineare quanto in profondità Neo sia stato sepolto. Eppure, aveva lasciato aperta una backdoor, quel loop che non aveva alcuna importanza, solo un apparente divertimento.

La Warner Brothers ha voluto la produzione di Matrix Resurrections, e come dice l’agente Smith, l’evento sarebbe accaduto comunque, con noi o senza di noi. Lana Wachowski, insieme a David Mitchell e Alexandr “Sasha” Hemon, scrittori e sceneggiatori, una sorta di trimurti del fantastico, decidono di costruire una meta narrazione che smonti il castello costruito sulla prima trilogia, usando, in estremo omaggio a Baudrillard, Matrix contra Matrix. E difatti, nelle settimane successive all’uscita del film, i bravi fan pavloviani che si aspettavano una caverna accogliente, lo insultano con tutta la loro potenza mediatica e la minuzia che li contraddistingue, con il risultato di causare un mezzo flop al botteghino, che ci auguriamo sia compensato dal risultato sul medio e lungo termine, foss’anche solo per onorare adeguatamente l’onestà intellettuale della regista. In realtà, Matrix Resurrections è un lavoro eccellente, sia a livello di regia sia per la sceneggiatura, e propone nuovi e spiazzanti connessioni tra il suo immaginario e la realtà del business, principalmente per quanto riguarda il cinema in senso stretto, ma anche per tutto quanto concerne il merchandising connesso, a partire dai gamer, visto che Thomas Anderson è un game designer e nella storia è proprio quello che ha creato Matrix.

Il film lavora esattamente nella direzione del superamento del meccanismo binario, divenuto simbolo di uno schema molto superficiale di lettura gnostica e dualista in seguito alla formula delle due pillole. Grace Slick, nella sua versione di Alice in the wonderland, ovvero quella White Rabbit che è posta a icona psichedelica del film, conclude esplicitamente che si tratta di accrescere la propria mente (Feed your head). La questione non è prendere una certa pillola o un certo fungo, sostanze che producono effetti opposti, o per lo meno molto differenti tra loro. Non si tratta di diventare alti tre metri, oppure microscopici, di parlare con i bruchi oppure di volare via come Peter Pan con Wendy. Ciò che conta è nutrire il proprio spirito, di qualsiasi mondo si faccia parte. Non è certo solo per una scelta di marketing che il White Rabbit di Carroll / Alice / Slick diventa la chiave per cui Thomas Anderson può tornare a essere Neo. Il personaggio di Bugs dice di sé che si chiama come Bunny il coniglio, e come gli oggetti che ascoltano, ovvero le cimici, ma il suo nome indica anche gli errori della programmazione. Lei è l’anomalia, il bianconiglio, la porta che permette a Thomas Anderson di nutrire il suo spirito. Inoltre, questo non è l’unico riferimento a Lewis Carroll, qui talmente saccheggiato da risultare quasi il quarto sceneggiatore. Gli specchi e i riflessi sono un riferimento costante in moltissime scene, e come è noto il suo secondo romanzo si intitola Attraverso lo specchio. Già l’immagine di apertura del film è quella di un riflesso in una pozzanghera. Gli unici momenti prima della resurrezione in cui è visibile il corpo effettivo di Neo e Trinity, senza la ricostruzione dell’immagine operata da Matrix, sono quelli in cui viene restituita attraverso un riflesso, nei tavolini del bar dove si incontrano, intravisti per un istante. Ma gli specchi appaiono ovunque, circondano i protagonisti, ossessivi e opprimenti. Oltre a rendere immagini, vere o false che siano, sono delle porte, dei transiti. Ma verso dove? Non dobbiamo più usare le cabine telefoniche, dice Bugs, e Neo deve passare attraverso uno specchietto da bagno, che è una manifesta ironia sugli smartphone. È evidente qui la metafora circa il senso del linguaggio, su come l’informazione transita da una mente all’altra, e contemporaneamente è una inevitabile riflessione sul valore dell’immagine in quanto oggetto, sulla sua ontologia. Negli extra del blue ray è presente una lunga sezione in cui la regista spiega come sia passata da un uso di luci statiche, da interno, artificiali, tipici della trilogia originale, alla capillare presenza delle luci naturali, dei panorami luminosi che identificano alcuni dei momenti topici del film, sempre con una forte valenza di riscatto e liberazione, oltre a sottolineare il significato di emancipazione che per lei ha avuto questa scelta. Sarebbe interessante anche analizzare l’uso degli occhiali da sole, a partire dai Mirrorshades di una ben nota antologia cyberpunk, sino alla loro sterminata presenza in Matrix. Certo è che il nascondimento e il potenziamento insiti come funzioni nella lente (l’oggetto che ingrandisce e riduce) sono il più antico e il più significativo passaggio verso il diventare cyborg e la seguente fusione liberatoria. È tempo, perciò, di tornare alla sorgente, obiettivo dichiarato dell’opera, e la sorgente è la fonte, un momento purificatorio. Ma sorgente è anche il codice, che si rivela fonte, sebbene di altro genere. Alla fine dei credits del film Lana Wachowski annota in una riga quasi invisibile che Love is the Genesis of Everything e in quella riga esplode il superamento di ogni forma di specismo.

Lana Wachowski ha costruito un’opera in cui riunisce sia il profondo e disperato pessimismo cinico che ha caratterizzato lunghi momenti del lavoro suo e di sua sorella, incarnato qui anche dall’analista e dalla sua cupa visione dell’umanità, sia la potenza generatrice della metamorfosi e della ricombinazione, elemento per cui a ogni generazione qualcuno troverà la voglia e la forza di sparigliare le carte e rimescolare il mazzo, producendo nuova realtà, e nuova libertà, cambiando il senso di ogni cosa, il significato stesso di nostra parte.

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Immagine di copertina:
fotogramma da Lana Wachowski, The Matrix Resurrections, 2021.