Dove apparve la prima traccia dell’oltrepassamento dell’Uomo intravisto da Nietzsche nello Zarathustra? Probabilmente fra le strade battute dalla pioggia e dall’odore di torba della vecchia Dublino, quando un certo Leopold Bloom si manifestò nel mondo realissimo e onirico grazie alla penna di James Joyce.

Chi obiettasse si tratti di un personaggio letterario non ha evidentemente ben chiaro cosa sia la letteratura né tantomeno la realtà: vita e linguaggio sono infatti un intreccio indissolubile di rappresentazioni, paratassi e ipotassi dell’esistenza, frammenti di una filosofia dell’espressione in cui tutti siamo immersi.1

Leopold Bloom prepara la colazione alla moglie, insegna la libertà delle idee, vive nel mondo. La sua figura destruttura e ribalta il sapere saputo, gesuitico. Dalle pagine del capolavoro dell’irlandese si spezzano nelle nostre carni i sigilli dell’erudizione indotta. Romanzo del futuro l’Ulisse, non del passato, seppur nato nel 1922 e destinato all’eternità. La nuova edizione Bompiani, da poco nelle librerie, offre al lettore un testo sapientemente ri-tradotto da Enrico Terrinoni 2 (tradurre è un atto infinito) con accanto la versione inglese originale. Una scelta audace, e felicissima, perché arricchisce incredibilmente le possibilità di gioire di un lavoro accompagnato anche da un monumentale apparato di note, raffinati saggi, mappe e commenti.3
Come sottolinea il traduttore nella preziosa introduzione:

«L’Ulisse non è un romanzo introspettivo, perché non concettualizza alcuna analisi del sé e di quel che siamo, ma semmai si propone di farci vedere quello che non siamo, o meglio, quello che non sappiamo ancora di essere; non è un romanzo, se per romanzo si intende ciò che prima di Joyce era stato fatto con questo genere poroso in tante maniere diverse e da tanti scrittori differenti nelle varie culture in cui era fiorito». (p. 10)

James Joyce, Ulisse

Questa realtà che circonda Bloom e tutti noi è produttrice di epifanie, in grado di trasmutarci e schiarire il mondo circostante: spalanca le porte della percezione, direbbe Aldous Huxley. L’opera joyciana è focalizzata infatti sulla riscrittura del consueto in termini nuovi: è innanzitutto scomposizione del linguaggio consolidato, esibizione di quanto sottende la vita. Chi avrà modo di confrontarsi con le note al testo si renderà conto della costante ridiscussione e dello sgretolamento della teologia, di tradizioni e signifi-canti antichi. Ma l’Ulisse non è solo rivolto al passato, parla a noi qui e ora: le ‘riflessioni’ che soffiano fra le pagine spingono a paragoni e comparazioni con la nostra quotidianità, perfino filosofica. Sarebbe interessante interrogarsi a fondo sul tema del linguaggio e della sua funzione nel mondo di Joyce confrontandolo per esempio con la filosofia non solo del già citato Colli, ma anche di Emanuele Severino, e la sua eternità dell’esser sé dell’essente. Come non pensare allo stream che attraversa l’Ulisse, non solo di coscienza? In che modo dimenticare quanto l’evoluzione introspettiva abbia portato Joyce a una scrittura delle ombre, psichedelica, libertaria, sfociata definitivamente nel Finnegan? E ancora: quali collegamenti si possono intrecciare con le riflessioni di Paolo Virno sul linguaggio e l’antropologia linguistica? Dove finisce il linguaggio e inizia la vita, se fine e principio hanno ancora un senso? Possiamo dimenticare Wittgenstein e i suoi giochi linguistici? Questioni profonde, che non fanno altro se non sottolineare l’attualità non attuale di un classico europeo della narrativa, “romanzo della mente”, a cui la Bompiani ha prestato giustamente una dovuta attenzione. Sarebbe ingiusto tuttavia dimenticare, lasciando l’Ulisse agli specialisti, quali sono le due caratteristiche principali di questa opera-mondo: la democraticità e la comicità. Per quanto riguarda la prima, è evidente: il lavoro di James Joyce è votato a produrre democrazia perché emancipatorio. Il suo autore, di chiare tendenze socialiste, scrisse innanzitutto per la gente comune in un linguaggio anche popolare e sboccato. Secondo il filosofo Giulio Giorello:

«La lingua che usa Joyce è quella dei vetturini, degli agenti di cambio, degli uomini della strada e dei pub. Era lontano anni luce da atmosfere intellettuali esangui. Nell’Ulisse ci sono la carne e il sangue di un popolo che era riemerso da una storia tragica […]» 4

Chiunque legga il “maledettissimo romanzaccione” non avrà bisogno di prove ulteriori per rendersi conto della necessità, per il dublinese, di scrivere anche di un popolo, l’ irlandese, soffocato dall’impero britannico, militarmente e linguisticamente. Sorprendente invece sembrerà l’affermazione indicante nell’Ulisse un libro dai tratti comici. La nomea di opera difficile e intricata che l’accompagnò non aiutò di certo ad avvicinarlo ai lettori sospettosi, trasformando un testo anticlericale e ricco di sarcasmo in un’opera per eletti. L’Ulisse è esattamente il contrario, e si deve anche all’energia di Enrico Terrinoni se oggi si parla di un ‘Ulisse popolare e democratico’, ben diverso dalla narrazione spacciata per anni. Non un Ulisse esalante, ma esilarante! Un’opera in grado di trasformare la lingua facendola esplodere e implodere, emergere e cantare, liberarsi in episodi omerici e navigare nel futuro. Il libro, è noto, termina con uno dei più famosi e stupefacenti monologhi interiori della storia della letteratura: Molly, la moglie di Leopold, si lascia andare in un fluire di pensieri e sensazioni sui quali pagine di inchiostro sono state scritte, e di cui qui si offrirà una interpretazione da semplice lettore, non specialista. In quel suo “sì”, “voglio sì” conclusivo forse è possibile interpretare uno dei segni più imponenti dell’eredità joyciana? Ispirato dal mondo greco e dall’epica classica, lo scrittore “della vita oltre la vita” non può non esimersi dal congedarsi con una risposta a una domanda mai formulata,5 forse la seguente: a questa esistenza come rispondere? Ci piace pensare che quel Sì finale sigilli esattamente la volontà di esserci nonostante tutto, e di vivere liberati dalle pastoie del pensiero e dei concetti religiosi. Dire Sì alla vita, comunque, ogni giorno, rivelandoci infine che l’Über Mann non può realizzarsi senza l’Über Frau: è la natura femminile, presente in tutta l’opera, a sigillare davvero la nuova umanità, il suo fiorire (bloom), ancora monco se affidato solo ai personaggi maschili, incompleti e primordiali senza la consacrazione del femminino. È qui che lo Zarathustra canta trionfante.

Un’opera dell’anima e per l’anima, dunque: se Dublino venisse rasa al suolo, potrebbe esser ricostruita nei dettagli leggendo l’Ulisse. Ebbene, se una civiltà aliena visitasse una terra spopolata, leggendo “il romanzo del giorno”,6 potrebbe ricostruire l’animo umano in tutte le sue sfumature.

La nuova edizione Bompiani, inutile aggiungerlo, si presta a essere un’opera per gli anni a venire di indiscutibile prestigio, e può essere l’occasione giusta per chi non ha ancora letto l’Ulisse, o si è fatto vincere dallo scetticismo, di sprofondare nella lettura di uno dei più grandi romanzi del Novecento e dei secoli a venire.

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Note:

1) Giorgio Colli, Filosofia dell’espressione, Adelphi, 1969.
2) Enrico Terrinoni, professore ordinario di Lingua e letteratura inglese all’Università per Stranieri di Perugia, è uno dei massimi esperti internazionali di James Joyce, a cui ha dedicato diverse traduzioni e monografie. Autore di numerose pubblicazioni, si ricordano: Oltre abita il silenzio, Il Saggiatore, 2019; Chi ha paura dei classici? Cronopio, 2020. Tra le numerosissime traduzioni si segnalano testi di Orwell, Joyce, Masters, Higgins e Wilde. Insieme a Fabio Pedone, ha tradotto per Mondadori il Finnegans Wake.
3) Tre saggi accompagnano l’introduzione. D. Ó Giolláin, La cultura quotidiana nella Dublino di Joyce; D. Kiberd, Ulysses e l’arte tutta irlandese di “sapersi inventare“; C. Bigazzi, [Proteo], micro e macrocosmo di Ulysses; F. Pedone, Memoria, suono e strategie di lettura in Ulysses.
4) https://left.it/2020/06/15/bloomsday-un-ulisse-tutto-da-ridere/. A Giulio Giorello e a Umberto Eco è dedicata questa nuova traduzione.
5) Cfr. il commento di D. Kiberd, nella Introduzione.
6) Il Finnegans Wake rappresenta invece il “romanzo della notte”.

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Immagine di copertina:
Ottocaro Weiss, James Joyce Plays the Guitar, Zurich 1915.