L’evento pandemico che stiamo attraversando ha polarizzato progressivamente le posizioni, fino a un livello di contrapposizione ideologica, in relazione alla portata e ai rimedi al male, assolutamente oltre qualunque ragionevolezza. Lo scontro tra apocalittici e integrati, per riprendere da Eco le categorie per dire i due fronti, si radicalizza al crescere delle conseguenze sociali ed economiche indotte dal virus e dai tentativi, talvolta mirati, talvolta estemporanei, di arginarne la diffusione. Si compattano le schiere contrapposte, sempre meno a seguito di elaborazioni razionali, sempre più per pulsioni umorali, con scelte di campo indotte dalla paura e da una spettacolarizzazione delirante, con l’emergere con alterne fortune di personaggi, virologi, politici, che catalizzano di volta in volta l’amore e l’odio delle opposte fazioni. A fronte di una tale assurda abdicazione della ragione, va salutato come un benefico antidoto il recente libro di Edoardo Acotto, Contro Agamben:Una polemica filosofico-politica (ai tempi del Covid-19), un raro tentativo di pensare ciò che sta accadendo attraverso il confronto con il più importante filosofo italiano da esportazione, che dal sorgere dell’emergenza si è esposto nel blog della sua casa editrice di riferimento.

Non è semplice parlare del Contro Agamben, non per chi come me abbia letto con piacere i testi dell’autore, e di suoi discepoli come Emanuele Coccia e Daniel Heller-Roazen, e che condivida la passione per la costellazione di autori a cui Giorgio Agamben privilegia il riferimento nella sua opera. Non di meno è necessario contestualizzare gli articoli pubblicati sulla pagina del blog di Quodlibet, che hanno cadenzato lo sviluppo dell’evento pandemico. Un serrato corpo a corpo con tali articoli sostanzia la prima parte del libro. Per chi ne abbia seguito le uscite, alternando perplessità e talvolta anche apprezzamento, più che un déjá vu, è un’occasione per rileggere i testi in prospettiva, ricevendone un’impressione differente da quella provata a caldo. Acotto alterna fioretto e martello, talvolta con ottime ragioni, cogliendo incongruenze ed eccessi, additando i limiti nel confronto col reale contro cui l’evento pandemico ci ha messo in collisione. Non di meno bisogna riconoscere che, al di là dei toni apocalittici, dello scadimento stilistico in filastrocca (uno degli episodi più imbarazzanti, di cui Acotto si chiede giustamente ragione, alla luce dello straordinario livello dell’analisi agambeniana di alcuni testi poetici), dei cambiamenti di opinione taciuti in corso d’opera in relazione alla realtà e alla portata della pandemia, resta la questione di fondo, il monito sacrosanto al controllo democratico sulla prevaricazione istituzionale, sui rischi della tesaurizzazione da parte della società di controllo della paura indotta dal virus. Su questo punto Agamben ha ritrovato la sintonia con il collega Cacciari che, come ricorda Acotto, era stato bersaglio dei suoi strali. Che tale salutare ammonimento sia stato cooptato e totalizzato da uno dei fronti isterici di cui si diceva sopra, non ne intacca la necessità.

La seconda parte del libro è un confronto con Agamben autore. Acotto cerca nei testi la matrice delle posizioni agambeniane, qui il confronto si muove sul piano della contrapposizione tra posizioni filosofiche distinte, filosofia “analitica” contro filosofia “continentale”, in relazione al rapporto con la scienza, alla verità, ai presupposti metodologici della ricerca filosofica. Qui ciascuno ha facoltà di prendere parte secondo il proprio sentire, le polarizzazioni filosofiche sono benvenute, aiutano a chiarire i concetti, a differenza di quelle sociali non fanno male a nessuno, come ha scritto Deleuze, sono battaglie pour rire. Non di meno sono pensiero, esattamente ciò che manca, come detto, alla polarizzazione tra apocalittici e integrati. Per aver riportato il pensiero nella questione covid, dobbiamo ringraziare Acotto. E Agamben.

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Immagine di copertina:
Giorgio Agamben in Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, 1964.