[Il 13 maggio scorso, nell’ambito della rassegna “La possibile preghiera”, con il prof. Fulvio Ferrario abbiamo presentato la figura poetica di Kurt Marti a cent’anni dalla nascita. Questa intervista vuole essere un sunto di quanto emerso durante la presentazione e allo stesso tempo un omaggio a una delle personalità più interessanti del Novecento poetico trascorso. A corredo presentiamo tre testi inediti, tradotti dal professore Ferrario, a cui vanno la mia riconoscenza e la mia gratitudine per la disponibilità concessa. A.B.M.].

Professore, in che modo si è avvicinato al mondo poetico di Kurt Marti?

Tre decenni fa ho trascorso un periodo di studio a lavoro in Svizzera, nel corso del quale ho cercato anche di conoscere almeno qualcosa della letteratura elvetica di lingua tedesca: Frisch, Dürrenmatt e, appunto, Marti. Molto più tardi ho trovato per caso le Orazioni funebri, in tedesco, nella biblioteca di mia moglie, che ha anche la cittadinanza svizzera, Da lì è nata la frequentazione intensa degli ultimi dieci anni.

Nella prefazione al volume La passione della parola DIO, da lei curato con Beata Ravasi, scrive: “L’ascolto poetico e quello della fede si incontrano nella complessità inestricabile dell’umano”. In che modo tutto ciò si verifica in Marti?

Egli è pastore e poeta al tempo stesso. La sua scrittura è spesso teologicamente destabilizzante, ma proprio questo aiuta a riflettere: non sempre, forse, ma certo in molti casi.

Potrebbe spiegarci in che senso può essere definita “teologicamente destabilizzante”?

Si potrebbe citare Crocifissione continua o anche le perplessità ripetutamente avanzate dall’ultimo Marti (più in interviste, per la verità, che nelle poesie) sulla fede cristiana nella risurrezione dei morti.

Perché tradurre – oggi – Kurt Marti?

Personalmente, sono sempre alla ricerca di testi che aiutino a riflettere sulla fede e che magari siano anche utilizzabili nella liturgia. In Marti ne ho trovati diversi, e continuo a cercare.

Che tipo di riflessione Marti riesce a porre in atto?

Direi che la parola poetica in generale, e quella di Marti in particolare, destrutturano convinzioni consolidate: hanno cioè una funzione critica, prima ancora che propositiva.

A proposito del testo “crocifissione continua” lei ha parlato di “inquieta attenzione”. Anche da qui, si può partire per comprendere la fede riformata del poeta-pastore svizzero?

Quella poesia appartiene al filone critico nei confronti delle formalizzazioni della dottrina cristiana. Poiché io, di professione, insegno una disciplina teologica chiamata “dogmatica”, è naturale che il testo mi interpelli. Penso comunque che la poesia (ma vale persino per la teologia) abbia molte porte dalle quali iniziare e ci liberi da un itinerario obbligato.

Lo sguardo poetico di Marti, il suo impegno sociale e politico, mi sembra sempre più una lettura contemporanea dell’Evangelo di Luca. Sbaglio?

Forse sì, ma in generale parlerei di una lettura politica della figura di Gesù. Essa è molto affascinante: qualche volta anche un po’ datata e convenzionale.

Qual è dunque il rischio di una lettura politica di Gesù non solo per Marti ma anche per questi nostri giorni?

Il rischio non è in una lettura politica di Gesù in quanto tale, ma appunto in un suo eventuale carattere convenzionale, al quale non sfugge nemmeno il grande Marti. Tutta la storia del cristianesimo è anche (non solo: anche) un tentativo di appropriarsi del Nazareno: vale anche per i cosiddetti progressisti.

L’attualità di Marti può essere individuata nella poesia “und maria”, in cui la madre di Cristo rappresenta la “sovversiva speranza / del suo canto”. Nel dare voce a chi non ha voce, scrive – oserei dire – un testo in cui si affronta in anticipo la questione della parità di genere. Si può affermare, dunque, che nella sua opera Marti proponga un modello etico?

Certamente in Marti vi è la proposta di un’etica sovversiva, o per lo meno critica nei confronti dell’establishment. Anche su questo possiamo permetterci di essere critici anche nei confronti di Marti stesso: come pastore riformato della chiesa bernese, egli apparteneva al nucleo privilegiato della società svizzera. Il rischio di essere un rivoluzionario da salotto gli è in ogni caso presente, ed egli cerca di affrontarlo. Del resto lo siamo tutti: la differenza di status tra un pastore protestante in Italia e un suo collega svizzero è immensa. Ma la vera differenza è tra chi è economicamente garantito e chi no, e su questo Marti e uno come me stanno dalla stessa parte.

Alcuni fra i testi più belli sono vere e proprie preghiere, penso soprattutto a “un credo postapostolico, nostro padre, salmo”. Nel tempo della tecnica, per dirla con Ellul, il ritorno alla preghiera, alla lode, può essere la speranza e la possibilità di riconoscere la giustizia di Dio, il tempo femminile dello Spirito?

Ritengo che le difficoltà fondamentali della preghiera non siano una caratteristica esclusiva del nostro tempo: diciamo però che quest’ultimo le mette in mostra con un’evidenza inquietante. La poesia che diviene preghiera e la preghiera che diviene poesia appartengono da sempre al patrimonio consolidato della tradizione cristiana e certamente Marti si inserisce in tale contesto.

In calce, ci offre la resa di tre traduzioni inedite. Marti ha scritto molto, anche se in Italia oltre alla sua curatela per Claudiana c’è solo un’edizione per Crocetti. Progetti di traduzione per questo centenario?

A suo tempo, la Claudiana aveva tradotto anche Alleati di Dio, un’interpretazione di testi dell’Esodo, a cura del past. Thomas Soggin, scomparso nel giugno 2021. Che io sappia, non ci sono progetti traduzioni italiane. Anzi, un editore ha voluto annunciarmi di non volerne mettere in cantiere, senza bisogno che io lo chiedessi, diciamo a titolo preventivo. Se qualcuno fosse interessato, credo ci sarebbe spazio sia per selezioni di poesie, sia per prose, perché Marti era anche un prosatore efficace.

Tre traduzioni inedite

jahwe gesù ora

jahwe
– – –
tu: con questo nome conosciuto
che non significa nulla di conosciuto
tu: con questo nome
che rifiuta il nome

tu: che qui vieni

gesù
– – –
venuto
partoribile
mortale
come tutti come me
tu fratello
in un mondo defratellizzato

ora
– – –
e spirito ora: meglio infatti
che essere solitario signore o signora
tu trabocchi
negli umani
spirito ora: e agente
il santo sulla terra
che arde solo
per diventare sociale e sensuale

***

piccolo salmo

dio
mio nascondiglio

dove sono al sicuro
dai nemici

al sicuro anche
da me stesso

***

il consolatore

uscisse infine
dal suo buio
il consolatore
nella luce

non avrebbe bisogno
il suo venire
il suo volto
di rendersi visibile

un soffio che toccasse
un verace
accento basterebbe

noi: che – da falsi –
consolatori nutriti –
di ogni consolazione
sospettiamo

noi: che – sconsolati
vivendo e morendo –
l’un l’altro
non sappiamo consolarci

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Immagine di copertina:
Kurt Marti in un ritratto del gennaio 2006 (foto: zvg).