Nel 2012 avevo raccontato in “Amianto” la storia di un metalmeccanico ucciso dal lavoro. Nel 2018 ho pubblicato il secondo tomo della mia trilogia working class, “108 metri”. Era dedicato a Abd Elsalam Ahmed Eldanf, un sindacalista egiziano ucciso da un camion che aveva forzato un picchetto operaio davanti a un polo della logistica a Piacenza. Vi suona familiare con la morte di Adil? Nel 2020 ho chiuso la trilogia con “Nel girone dei bestemmiatori”, dove il girone in questione altro non è che il girone degli operai uccisi nel nome del profitto. Adesso la morte di Adil mi lascia sconvolto. Come se tutto fosse già in questi tre libri e come se i libri non servissero a nulla, non spostassero più nulla. Le parole se non cambiano i rapporti di forza sono solo un bronzo che risuona o cembalo che tintinna. Sono inutili. E allora invece di caricare di senso le parole, invece di scriverne di nuove, cambiamo questi fottuti rapporti di forza. Per Adil, per Abd, per Renato, per Luana, per tutti gli operai e le operaie che si dice non esistano più perché li hanno resi invisibili, eppure esistono e lavorano ogni giorno e scioperano e muoiono ogni giorno. [A. P.]

Ora apri l’occhi, Dante. Lo sai che posto è questo? Nel progetto del capo ’un c’era mica. L’ho disegnato io. È il cerchio de’ morti sul lavoro. Dicono che la classe operaia ’un esiste più, eppure moiono ogni giorno tre operai. E allora io li metto tutti qui in questo cerchio. Che poi, se ’un ci son più ’l’operai, i palazzi crescono da soli. I pacchi alla porta c’arrivano per magia. I cellulari l’assemblano i preti, con l’aiuto dello spirito santo. La roba da mangià al supermercato la porta la cicogna. La benzina si fa con l’acqua benedetta, è sempre il prete che trasforma l’acqua in carburante. Amen. Davvero. No, no, ’un dico eresie, è vero come il ferro.

E ti dico qualcos’altro. Ficca bene l’occhi e guarda, Dante, guarda questi dannati del lavoro. Ti chiedi a che son condannati? A non esiste. Anche te ’un ne sapevi nulla, vero? Anni e anni a ciondolà per l’inferno, ma mica l’avevi visti. Se t’aspettavi che ti ci portava Virgilio, qui… bona Ugo! Invisibili, da vivi e da morti. E allora, Dante, t’insegno una regola operaia e chi non la rispetta è un farabutto e un servo. Io avrò fatto solo la terza media ma se i tu’ mecenati ti dicono che la classe operaia ’un esiste più, te mettiti col sedere a muro. E apri bene il naso, visto che ce l’hai bello grosso: quando ti fanno ’sti discorsi, dimmi se per caso ’un senti odor di quattrinaio. È che so’ incarogniti, Dantino. Quando ti portano via il nome e il diritto a esiste, ’un s’accontentano di vince’. Ti vogliono anche umilià.

Questo lo dovresti capì anche te, no? T’avevano mandato via da Firenze, giusto? Ma io mi domando e dico: c’hanno tolto i diritti, si son mangiati i salari, c’hanno portato via la fatica, il tempo e a volte anche la vita. Oh, ’un gli bastava, c’era rimasto il nome. Noi s’era i lavoratori, l’operai, e loro i padroni. Macché, nemmeno più questo. Siamo tutti ceto medio, dicono loro, tutti assieme, sfruttati e sfruttatori, nella stessa barca. E la miseria non esiste più. Oh, c’han rubato anche quella, maremmaladra!

Dai, Dante, ’un mi voglio arrabbià. Scendiamo in questo cerchio. Se ’un vai, ’un vedi. E se ’un vedi, ’un si pole scrive. Ficca bene l’occhi. Guarda. Leggi. Leggi il ferro. Che vedi? Vedi un operaio. Dai, scrivi. Raccontalo. Fammi sentì il sapore del vino e del cacciucco. Fai risonà le risate e il calcio sulle radioline, le partite a dama, a briscola e i moccoli. Ma per ogni risata, conta le lacrime. Per ogni cacciuccata e ogni bicchiere di rosso, per ogni schedina della domenica, Dante, fai vedè la faccia di chi infila la gente nelle cisterne, di chi guadagna sulle mani di tante donne, costrette a mette’ le dita in macchine troppo strette, a brucià gli anni migliori dentro a ingranaggi che spolpano carne e sogni. Allora potrai raccontà quelle vite, potrai scrive la nostra commedia. Perché la vita operaia ’un si pole raccontà con tanta grazia e cortesia. Se ce la fai, bene, Dante, hai fatto il tuo, l’alloro in capo ’un te lo toglie nessuno. Se ’un ce la fai, meglio che rimani su in paradiso. Devi sceglie da che parte stà, Dante. O inferno o paradiso. Te ’un te la cavi stavolta a fa’ una passeggiata qui nella merda per poi salì a cantà la gloria del padrone.

Qui di divino ’un c’è più nulla, qui nulla è sicuro, ma te, maremmacane, Dante, ’un mi fa arrabbià… te lo dico alla fiorentina, ora te tu scrivi. E cerca di fa un bel lavoro, perché io so legge il ferro. E se le parole son saldate a maiale, se il Principale ti parla nell’orecchio mentre cerchi le rime, io me ne accorgo subito. Se n’è visti tanti che passavano a raccontà le nostre storie, e poi ’un si son più fatti vedé.

Noi, invece, siamo sempre qui. Al ferro e al foco. Nella polvere e nel fango. E ora basta, ’un se ne pole più. Sai che c’è? Che bisognerebbe raccontassi da soli. Eh, Dante? Che ne dici? Si fa a cambio? Io prendo la penna e te il cannello da saldatore. Oh, attento a ’un bruciatti, fa un male del diavolo. Che se ti bruci, poi smoccoli. E ’un vorrei te tu finissi nel girone de’ bestemmiatori, dé.

Alberto Prunetti, Nel girone dei bestemmiatori, Laterza, 2020

[Tratto da Alberto Prunetti, Nel girone dei bestemmiatori (Laterza 2020). Si ringrazia l’autore per aver concesso la pubblicazione di questo breve brano].

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Immagine di copertina:
il presidio dei lavoratori sotto la prefettura di Novara durante la trattativa con Lidl, dal sito del sindacato S.I.Cobas.