La narrazione delle sorti magnifiche e progressive negli ultimi decenni ha cominciato a scricchiolare paurosamente, lasciando un’amara sensazione nella maggioranza dei critici e delle persone: quel futuro-promessa tanto bramato e di sicuro conquistabile non starà diventando un futuro-minaccia, arido e inquietante? Il contesto sociopolitico, con le sue crisi irrazionali e la manipolazione delle risorse ambientali a danno dell’intera comunità, non ha prodotto un orizzonte trasparente da scrutare con serenità, ma ha sviluppato un nucleo pulsante dai tratti sempre più laceranti, il cui nome è pessimismo. Nel 2003 gli psichiatri M. Benasayag e G. Schmit parlano, nell’omonimo saggio, di «epoca delle passioni tristi», ovvero di un mondo in cui guardare con cupezza al futuro. Non è solo un atteggiamento disfattista, ma probabilmente la cornice oggettiva per capire dove stiamo andando: verso la catastrofe.

Blackened. Frontiere del pessimismo nel XXI secolo

In Blackened. Frontiere del pessimismo nel XXI secolo (Aguaplano, 2021), un saggio che evita l’acribia autoreferenziale di tanta scrittura accademica attuale senza d’altra parte scadere in linguaggi semplificatori, Andrea Cassini e Claudio Kulesko affrontano una serie di temi delicatissimi dal punto di vista politico e gnoseologico, perché ne va del futuro di tutti noi e del pianeta su cui viviamo. Il pessimismo non diventa un semplice sentimento malinconico, ma «una modalità interpretativa che ciascuno potrà adoperare come strumento cognitivo e di reazione» (p. 16). Il testo si apre con un capitolo fortemente suggestivo, nel titolo e nei contenuti: «Le Radici della Notte». Attraversando la storia del pensiero filosofico, si afferma chiaramente che:

«Il pessimista, perciò, non è semplicemente, come spesso si crede, colui che si addolora – d’altronde, non tutti gli addolorati sono pessimisti e non tutti i pessimisti sono addolorati – ma colui che muore sub specie aeternitatis (sotto l’aspetto dell’eternità), l’individuo divenuto vasto come l’universo: “Io sono ogni nome nella storia”, scrive Nietzsche nelle sue lettere della follia» (p. 20).

Come si evince dal testo, non siamo davanti al piagnucolio di un bambino stizzito ma al cospetto di una nobile tradizione che trova i propri semi in molti autori, (Giuseppe Rensi, Emil Cioran, Manlio Sgalambro), e poco ha a che vedere con un semplice atteggiamento di nausea. Si tratta invero di stabilire con lucidità e senza mezzi termini se quanto detto dal Sileno catturato da Mida, nelle tragedie greche, corrisponda al vero:

«Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto» (p. 25).

Osservazioni dure, assaporabili anche in tanti autori contemporanei, per esempio in Thomas Ligotti, il quale ne La cospirazione contro la razza umana sottolinea fra i molteplici argomenti la sua idea antinatalistica e antivitale, con chiari riferimenti ad alcuni autori sopra citati, ma anche a Poe, Schopenhauer e altri. Che tale filone stia diventando sempre più di culto starebbe a dimostrare non solo un vago interesse per una nuova moda del momento, ma una vera e propria presa di coscienza di massa di un futuro distopico che ci attende. In Blackened tutte queste tematiche sono attraversate con una lucidità espositiva che rivela al lettore le tendenze apocalittiche intorno a noi. Qualcuno potrebbe storcere il naso, eppure le argomentazioni sviluppate per l’intero lavoro sono dettate semplicemente da una osservazione non pregiudiziale del reale, di quel «deserto del reale», parafrasando Slavoj Žižek, che ci attornia come un boa costrictor stringendoci nelle sue spire.

È proprio partendo dai presupposti filosofici – anche i meno immaginabili, ad esempio la nozione di noumeno in Kant o la dialettica di Philipp Mainländer – che gli autori sviluppano un discorso complessivamente esaustivo su quanto ci aspetta in un oltre sempre più vicino e dai connotati simili alle storie di Lovecraft, dove l’ignoto arriva a sbudellare la realtà e le sue ridicole certezze.

Nichilismo, estinzione e futuro sono dunque le parole chiavi che ci hanno assoggettato, sia come singoli individui sia come popoli. Nel mondo attuale la verità è gabbia invisibile, recinto senza steccato, ma certamente prigione emotiva e progettuale: dopo, poco ci aspetta. Una estinzione, peraltro forse da accettare e sperare, guerre e deprivazioni. Si tratta di una distopia già presente nella musica (interessanti i capitolo riguardanti il death/black metal e le conseguenze dal punto di vista psichico e sonoro) nonché nelle attività ludiche. I videogiochi sono stati sostituiti da mondi paralleli che non possono essere semplicemente etichettati quali progetti di evasione dal vivere circostante, ma veri e propri percorsi esistenziali alternativi. Ci aspettano esistenze robotiche, intelligenze artificiali assassine, resistenze cibernetiche? Il quadro è ampio e stimolante, e dettagliato.

In quest’era definibile come Antropocene (o Capitalocene o Chthulucene, a seconda delle letture), età nella quale l’uomo, le sue scorie e le produzioni manuali stanno ristrutturando i codici genetici della stirpe umana, poche soluzioni sembrano plausibili e auspicabili. I teorici che auspicano l’estinzione non sono pochi e richiamano in queste pagine a considerazioni niente affatto snobistiche. Nella Prefazione è possibile scorgere il senso complessivo di questo excursus sul pessimismo:

«Il pessimismo è il destino di alcuni, ma talvolta straborda e riempie l’orizzonte del mondo. Un mistico inviterebbe il pessimista ad abbandonare, oltre il senso della vita, anche il senso del dolore, di cui paradossalmente è ancor più difficile privarsi. “Che almeno il mio dolore abbia significato!”, gridiamo. “Se non posso godermi la commedia, datemi la dignità della tragedia, perché il dolore è la sola sensazione provvista di un contenuto, se non di un senso!” E invece no: neanche il dolore ha senso. È questa, forse, l’unica via per la liberazione, per attingere alla quale dobbiamo attendere l’alba di questa notte oscura» (p. 7).

Un lavoro estremamente interessante, si è detto, attento nel ricollocare la saggistica filosofica nel terreno che le spetta, quello della comunicazione al grande pubblico, ancora impreparato a filtrare i vari messaggi che gli arrivano su quanto sta accadendo. In quest’epoca chiamata per alcuni Kali Yuga (che la religione induista definisce come era dell’oscurità), l’essere umano altro non può se non comprendere, faticando spesso moltissimo, per rassegnarsi o per tentare di prendere una rotta diversa, che gli faccia sperare non solo di salvarsi dall’estinzione, ma di vivere in un ambiente ecologicamente più evoluto. Finché il sole non si eclisserà e tutto verrà assorbito nella notte, ovviamente.

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Immagine di copertina:
Edward Burtynsky, Cerro Dominador Solar Project #1, Atacama Desert, Chile, 2017 (dettaglio) dalla serie Anthropocene