Un autore «dinoccolato e un po’ stralunato»
Franco Battiato è morto a Milo, il 18 Maggio 2021, nella villa in cui ha vissuto dopo il rientro in Sicilia avvenuto nella metà degli anni Ottanta. Era malato da tempo, l’ultimo concerto risaliva al 17 settembre 2017 e si era tenuto a Catania, città a cui era molto legato e in cui aveva abitato per diversi anni. Le date successive del tour erano state annullate per motivi di salute. In seguito, dopo una serie di voci sempre più insistenti, e poco prima dell’ufficializzazione del ritiro definitivo, nell’agosto del 2019 venne pubblicato il suo ultimo album, Torneremo ancora, una raccolta di brani di repertorio e di un inedito, scritto insieme all’amico Juri Camisasca.
La notizia della scomparsa è rimbalzata sui social, dove si sono rincorsi i ricordi personali, gli omaggi, le celebrazioni, per un artista a cui – per utilizzare le parole del post di Ligabue apparso su Facebook – «dobbiamo tutti qualcosa. […] dobbiamo tutti tanto». Eppure non bisogna dimenticare che lo straordinario percorso intellettuale e musicale di quest’autore dinoccolato e un po’ stralunato, estraneo alle mode e alla ricerca del facile successo, è stato accompagnato anche da una solida, diffusa e consistente diffidenza. In parte sollecitata dal carattere schivo e a tratti spigoloso di Battiato, ma soprattutto correlata alla natura dei testi delle sue canzoni, spesso oscuri, costruiti giustapponendo citazioni colte desunte dall’ermetismo, dalla filosofia, dalla mistica, secondo un metodo affascinante e problematico, evocativo e dagli effetti spesso stranianti, ma anche divertenti. Di questo Battiato che è riuscito a fare dell’esoterismo e della contaminazione colta – o pseudocolta, come dicono alcuni – una chiave di successo vogliamo qui brevemente discutere, cercando di contestualizzare una fase specifica – e decisiva della sua carriera –, quella legata alla svolta pop della fine degli anni Settanta.

Battiato inutile?
Franco Battiato, in diversi interventi, descrivendo il suo rapporto con la lettura e parlando di sé stesso in termini di lettore onnivoro, ha rimarcato un solo rimpianto, il tempo perso nel tentativo di decifrare la scrittura di Lacan e di Heidegger:1 «Se non studiavo, leggevo. Di tutto. Gli autori fondamentali (la letteratura tedesca da Walser a Roth, a Mann, “gli Adelphi della dissoluzione” come li ha definiti qualche cretino) e quelli inutili come Lacan e Heidegger: intere giornate perse a decifrarli».2 Un giudizio tagliente e risoluto, nel tipico stile di Battiato, che però tra le righe mostra la curiosità di un intellettuale aperto e curioso, sempre animato da un insaziabile bisogno di conoscenza. Il giudizio è però interessante anche per un altro aspetto e nello specifico per il riferimento alla difficoltà di lettura dei testi di Heidegger e Lacan, tanto da richiedere una vera e propria opera di decifrazione. Paradossalmente, la stessa critica è stata più volte avanzata nei confronti della produzione musicale del cantautore etneo, soprattutto per quella successiva alla svolta nella musica leggera, iniziata con l’album L’era del cinghiale bianco del 1979. Nella forma ironica e caricaturale di chi ha sottolineato il vezzo di cantare stranezze pseudocolte [che] sono divenuti così palesi da diventare una cifra, inimitata, o anche in quella irriverente e paradigmatica di Calcutta e Giorgio Poi che, ne La musica italiana, affermano: «Battiato, che paura, chissà che lingua parla». Fino alle recenti dichiarazioni di Michela Murgia che, nel corso di una videochat tenuta con Chiara Valerio, ha dichiarato: «Franco Battiato è considerato un autore intellettuale. E invece, tu ti vai a fare le analisi dei suoi testi e sono delle minchiate assolute, citazioni su citazioni e nessun significato reale. Togli due testi, forse, e il resto…». Non è qui importante l’opinione di Murgia che, tra l’altro, come da lei dichiarato, è funzionale alla logica della videochat Buon vicinato, ma il suo riprendere uno dei rilievi che più sono circolati tra quanti hanno sempre diffidato della produzione artistica e intellettuale dell’autore siciliano. Battiato, dunque, autore «inutile» come Heidegger e Lacan? Battiato cantante sopravvalutato che se la tira «più di De Gregori»? Battiato cantante per un pubblico piccolo borghese alla facile ricerca di caricaturali stimoli pseudo-intellettuali? Per cercare di rispondere a questi interrogativi bisogna puntare lo sguardo soprattutto verso la volontà di sperimentazione, vera cifra del percorso artistico e intellettuale di Battiato, almeno a partire dagli anni Settanta. E, nello specifico, al momento in cui questa tensione alla ricerca, da elitaria quale è stata nella fase del cosiddetto rock psichedelico, è divenuta popolare attraverso l’irruzione nella musica leggera d’avanguardia.
Una breve panoramica sul percorso del cantautore siciliano mostra proprio come i cambiamenti di rotta, gli andamenti controcorrente e divergenti, hanno rappresentato la cifra della sua intera produzione musicale, almeno di quella successiva ai primissimi esordi avvenuti a Milano con Giorgio Gaber e Ombretta Colli. Dopo i primi lavori, da lui ricordati come funzionali alla “mera sopravvivenza”, debutta come autore d’avanguardia per la casa discografica «Bla-Bla» di Pino Massara con gli album Fetus (1971) e Pollution (1972). Considerati inizialmente soprattutto dai cultori, sono stati lentamente riscoperti e sempre più apprezzati anche da un pubblico più ampio. Mentre l’Italia si dibatte tra le tensioni sociali, l’emergere del terrorismo brigatista e gli effetti di una “guerra fredda” sempre sul punto di degenerare in catastrofe termonucleare, diversamente da altri cantautori, Battiato punta dunque su una produzione distopica e allucinata, basata su suoni lancinanti e combinazioni elettroniche. In seguito, avrebbe descritto questo periodo come caratterizzato da una ricerca a tratti schizoide, che aveva il suo riflesso in concerti improvvisati, selvaggi, quasi brutali.3 Un periodo estremo, «follia pura – con le sue parole –, una roba allucinante!».4 È in questo momento che inizia il percorso di ricerca spirituale, affascinato da Georges Ivanovič Gurdjieff e dalla sua «Quarta via» (espressione in realtà introdotta da Ouspensky). L’idea di una condizione generale di dormiveglia generalizzata, che richiede un lavoro su di sé per sfociare nel risveglio liberatorio, tipica di molte tradizioni sapienziali ed esoteriche, diventa così il centro di gravità permanente della ricerca mistica del cantante. Da solo, con un’esperienza da autodidatta, aveva scoperto quella che in Occidente era conosciuta come meditazione trascendentale. L’avvio di un percorso di ricerca etico e metafisico così profondo e radicale, tanto da segnare l’intero suo futuro, era almeno in parte legato alla crisi attraversata in questa fase estrema della sua carriera: «Era una cosa insostenibile – disse più tardi –, una roba malata!».5 Battiato si stancò presto di questa situazione e decise di cambiare rotta. Il risultato furono tre album impegnativi e articolati: Sulle corde di Aries (1973), Clic (1974) e Mademoiselle le Gladiator (1975), caratterizzati da sonorità ibride e tecnicismi, ma anche da inediti richiami alle atmosfere dell’infanzia. Nonostante le aperture verso un pubblico più ampio, ciò non fece di questi dischi dei prodotti di successo. Tale situazione si mantenne anche negli anni successivi, mentre la ricerca di inedite sonorità lo spinse a virare dalla musica straniante del sintetizzatore fino all’avanguardia colta di Karlheinz Stockhausen. Una fase ardita, colta, in cui il pop elettronico e la ricerca concettuale avevano trovato una sintesi a tratti precaria e problematica, ma che lasciava intravedere la svolta radicale del 1979.
Con l’album L’era del cinghiale bianco (1979) aveva inizio il periodo del pop colto che, nelle sue diverse articolazioni e sperimentazioni, giunse fino a Mondi lontanissimi del 1985. Furono però diversi gli elementi maturati in questo segmento a non essere più abbandonati, divenendo parte della poetica dell’autore siciliano. Battiato assumeva il volto del cantante nazionalpopolare, La voce del Padrone (1981) superava il milione di copie vendute e prendevano il via collaborazioni di successo che si concretizzarono in risultati importanti – la vittoria di Alice con Per Elisa a San Remo su tutti –. Il risultato era sicuramente dovuto, sul piano organizzativo, a un team di lavoro ben orchestrato, tra cui figuravano i nomi di Filippo Destrieri alle tastiere, Paolo Donnarumma al basso, Alfredo Golino alla batteria, Alberto Radius alla chitarra e soprattutto Giusto Pio al violino. Quest’ultimo rappresenterà per anni la spalla di Battiato, contribuendo ai testi e agli arrangiamenti. Il successo proseguì anche con album come L’arca di Noé (1982) e Orizzonti perduti (1983), un caleidoscopio di atmosfere siciliane, rimandi all’Oriente, suggestioni tecnologiche e vagiti esoterici. A testimonianza di una molteplicità di interessi, nello stesso periodo, fondava una casa editrice, l’Ottava, attraverso cui promuovere testi mistici e di difficile reperibilità. Intanto, abbandonata Milano, fece ritorno in Sicilia, stabilendosi dapprima a Riposto, suo paese natale e poi alle pendici dell’Etna. Testimonianza di questo importante momento esistenziale fu l’album Fisiognomica (1988), una sintesi equilibrata di atmosfere sicule e mediterranee, ma anche rimandi mistici e ricordi autobiografici. Intanto realizzava la sua prima opera lirica, Genesi (1987), a cui facevano seguito, sul piano della composizione impegnata, Gilgamesh (1992), Messa arcaica (1994), Il cavaliere dell’intelletto (1994), Telesio (2011). Sul versante pop, invece, dopo Giubbe rosse (1989), un disco in buona parte fatto di pezzi dal vivo, seguirono due album dal sapore più mistico e introspettivo; Come un cammello in una grondaia (1991) e Caffé de la Paix (1993). Si chiudeva così un’altra fase.
Nel 1995 Battiato inaugurava un’intensa collaborazione col filosofo Manlio Sgalambro, con cui aveva scritto il libretto dell’opera teatrale ll cavaliere dell’intelletto, dedicata a Federico II. Il primo album frutto della collaborazione fu L’ombrello e la macchina da cucire (1995), forse quello più ostico della coppia, sicuramente uno di quelli che vendette di meno. Il lavoro, fortemente intriso di rimandi filosofici – da Kant alla questione ontologica –, pur impreziosito da alcune canzoni particolarmente azzeccate sul piano musicale – Piccolo pub e Breve invito a rinviare il suicidio su tutte – evidenziava in maniera ingombrante l’influenza, ancora da perfezionare, del pensatore di Lentini. Un anno dopo l’ennesimo cambiamento di rotta, a Ottobre del 1996 esce L’imboscata, un disco dal sapore rock, fortemente segnato dall’uso delle chitarre e reso immortale dalla presenza de La cura. Nel 1998, proseguendo e radicalizzando le sonorità dell’album precedente, pubblicava Gommalacca, un disco in cui la tensione mistica di canzoni come Vite parallele quasi strideva con brani dalle sonorità decise come Il Mantello e la spiga.
Anno successivo ennesimo spiazzamento, Battiato riscopre una serie di classici dimenticati e li reinterpreta in Fleur(s). L’idea è particolarmente indovinata e la formula viene ripetuta con altri due Fleur(s), nel 2002 e nel 2008. Nel 2000 pubblica invece Campi magnetici. I numeri non si possono amare, contenente le musiche per balletto commissionate dal Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Il ritorno al pop avviene nel 2001 con Ferro battuto, un album ricco di energia, ma al contempo di atmosfere malinconiche e intime. Da segnalare la partecipazione di Jim Kerr dei Simple Minds nel brano Running against the grain e il ritorno alla canzone in dialetto siciliano con Il cammino interminabile.
Nel 2002 prende il via anche la carriera cinematografica di Battiato. Perduto amore è il primo film e anche quello in cui maggiori sono i riferimenti autobiografici. Seguono poi altri prodotti, tra documentari – Giuni Russo. La sua figura (2007), Auguri don Gesualdo (2010), Attraversando il bardo (2014) –, film – Musikanten (2007) e Niente è come sembra (2007) – e progetti non conclusi, come Händel-viaggio nel regno del ritorno. I riscontri non sono sempre all’altezza delle aspettative e i giudizi della critica non particolarmente positivi. Nel 2004, insieme a Manlio Sgalambro, realizza Bitte, keine Réclame, un programma culturale e di indagine metafisica in cui compaiono Raimon Panikkar, Alejandro Jodorowsky, Gabriele Mandel e Claudio Rocchi. Sempre nello stesso anno pubblica Dieci stratagemmi, un album di inediti in cui tra sonorità elettriche, rimandi letterari e atmosfere da estremo oriente, si fa largo anche la questione della fine e del suo significato in La porta dello spavento supremo. Nel 2003 e nel 2005 vengono invece pubblicati due album dal vivo, Last summer dance e Un soffio al cuore di natura elettrica, rispettivamente del 2003 e 2005, mentre nel 2007 viene pubblicato Il vuoto, in cui diversi temi e riferimenti presenti nei testi indicano il sempre più marcato interesse per il buddhismo e la sua prospettiva soteriologica.
Nel 2012 esce Apriti Sesamo, zeppo di rimandi più o meno espliciti a Ibn Hamdis, Teresa d’Avila, Orfeo ed Euridice. Nell’album è presente anche il brano Testamento, un vero e proprio lascito spirituale alla comunità di ascoltatori e fan. L’anno seguente, dalla collaborazione con Antony & The Johnson, nasce un disco dal vivo intitolato Del suo veloce volo. Gli ultimi lavori, per molti versi, rappresentano una panoramica sulla carriera. Nel 2014 esce Joe Patti’s Experimental Group, un ritorno alla produzione elettronica e sperimentale degli inizi. L’anno successivo viene lanciato Le nostre anime, una raccolta di brani tratti dall’intera produzione musicale del cantautore siciliano. La canzone che dà il titolo al cofanetto è paradigmatica del percorso di ricerca di Battiato e il video, che si conclude con l’ascesa verso altri mondi di Battiato e degli amanti ritrovati, Alba Rohrwacher e Luca Marinelli, quasi una chiusa sull’intero suo percorso. Nel 2016, stanco e affaticato, partecipa a una serie di concerti con Alice, mai come in questo caso spalla necessaria, da cui viene tratto un altro album: Live in Roma. Ma è già un’altra storia, in cui la raccolta Torneremo ancora, citata in apertura, non aggiunge più nulla.

L’irruzione del postmoderno nella musica pop.
Sul versante compositivo il successo della svolta nella musica leggera dell’autore siciliano è basato su una ardita contaminazione di musiche orecchiabili e ballabili, sonorità classiche, sapiente uso dei sintetizzatori e dei violini, formule tratte dalla musica classica e da camera, accenni rock. Sul versante dei testi, invece, prende forma una scrittura infarcita di citazioni colte, frammenti esoterici e decontestualizzati, riferimenti filosofici, distorsioni impegnate – celebre il «minima immoralia» di adorniana memoria –, ricordi d’infanzia e tracce autobiografiche, invettive e giochi discorsivi. È la celebrazione del nonsense mascherato da testo impegnato, l’esaltazione della significazione prodotta a partire dal semplice scivolamento del significante sulla catena discorsiva. Tanto basta perché i detrattori dipingano il successo come l’abile gioco di prestigio di un parolaio, una scaltra operazione commerciale che si serve dei riferimenti colti per dare una veste impegnata a testi dietro i quali non c’è nulla. Formule prive di senso per un pubblico di adoratori iniziati o allegorie di una verità cui si può solo alludere? Giochi d’avanguardia sospesi fra elitario e modaiolo o furbe operazioni di mercato? Fermarsi a queste alternative rischia però di mancare completamente il bersaglio e di slegare eccessivamente il Battiato pop da quello precedente e da un metodo che, in forme sempre più affinate, lo ha caratterizzato fin dagli inizi. Ma soprattutto non contestualizza l’intero percorso alla luce delle rimodulazioni legate alle tensioni culturali del tempo, al dibattito intellettuale verso il quale non si è mai dimostrato disinteressato.
La svolta pop di Battiato avviene in un momento in cui, anche in Italia si discute di postmoderno, di fine delle grandi narrazioni, di crisi dei fondamenti, di arbitrarietà dei concatenamenti discorsivi, di decostruzione ed ermeneutica (titolo, tra l’altro, di una sua canzone del 2004). La prima edizione di La conditione postmoderne. Rapport sur le savoir del filosofo francese Jean-François Lyotard è del 1979, mentre è del 1981 la prima traduzione italiana per Feltrinelli. La prima edizione de Il pensiero debole, la raccolta di saggi curata da Pier Aldo Rovatti e Gianni Vattimo che faceva un po’ il punto della situazione, è del 1983. Il clima culturale è pesantemente segnato dalla teoria filosofico-linguistica; post-strutturalismo e decostruzionismo hanno invaso dipartimenti di filosofia, letteratura, sociologia, mettendo sotto scacco fenomenologia ed esistenzialismo, strutturalismo e realismi. È il carnevale iconoclasta di un sapere magmatico, euforico e decostruttivo, che portando alla luce l’artificiosità del segno discorsivo, punta a mostrare la relatività dei fondamenti epistemologici e ontologici.
Battiato non si riconoscerà mai in un nichilismo scettico, la conseguenza più radicale di tale orizzonte culturale. E non metterà mai in discussione le verità ultime, per lui coincidenti con un teismo aperto e problematico, a tratti manicheo e basato su una chiara e metafisica distinzione tra bene e male. Farà però sua una delle lezioni postmoderne, nello specifico quella riguardante l’arbitrarietà del segno discorsivo e della significazione, sempre funzionale al «percorso poetico».6 Il metodo non è nuovo, lo ha già sperimentato fin dai tempi di Fetus e Pollution, quando realizza arditi «collage di musiche»,7 tessiture stranianti e inconsuete, suoni che trovano un ordine retrospettivo solo nelle procedure di decifrazione dell’ascolto. E ancora prima, a Milano, quando riesce a farsi assumere al Cab 64, dove lavorano Lino Toffolo, Giorgio Gaber, Ombretta Colli, Cochi e Renato, Enzo Jannacci. Qui racconta di aver recuperato canzoni siciliane del ’500, ma in realtà si tratta di improvvisazioni inventate da lui con qualche ricordo dialettale sentito dalla nonna: «Scinni l’acqua ra funtana…».8 La costruzione di senso è secondaria, un semplice effetto dello scivolamento significante lungo la catena discorsiva. Con la svolta pop della fine degli anni Settanta questo metodo diventa solo più evidente e immediato. Immutata la consapevolezza di fondo: «La mia tecnica compositiva negli anni ’80 diventa il collage di parole – racconta Battiato –, dopo il collage di musiche degli anni ’70: viviamo in una civiltà sloganistica, fatta di parole inchiodate a un istante, parole di cui non conosci l’origine e la destinazione. Io le unisco in un frullato in cui appaiono apparentemente slegate».9
La lezione postmoderna sul linguaggio irrompe nella musica pop. L’errore degli interpreti è allora quello di cercare, secondo canoni moderni, un senso che è assolutamente fuori da queste logiche. Ironia, leggerezza, apparenti contraddizioni e distacco, lo caratterizzano, facendosi beffe di ogni ricerca della presunta “verità del testo”. Tante strofe irriverenti e decontestualizzate – come non pensare al celebre ritornello su Beethoven e Sinatra? – cos’altro sono se non semplici giochi di parole – come sostenuto effettivamente dai suoi detrattori­ rispondenti a un dispositivo teorico diffuso in un preciso clima culturale? Nonsense, catene di significanti da osservare con distacco e ironia, semplici «canzonette […] divertenti»,10 secondo le parole dello stesso Battiato. In tal senso restano paradigmatici i testi di due canzoni, Frammenti e Passaggi a livello, inseriti nell’album Patriots, costruiti su una serie di citazioni colte, riferimenti desunti dalla letteratura e dalla poesia, ricordi autobiografici, satira, flussi di coscienza, ammiccamenti a Nietzsche, Galileo, Pascoli e Leopardi. Un caleidoscopio di sensazioni e sentimenti, immagini esotiche e misteriose, prodotti da una girandola significante impazzita e colta, caricatura di sé stessa e del proprio procedere, ma soprattutto testimone ironica del senso che si produce a partire dal non-senso. Cosa c’è di più postmoderno di tutto ciò?
Pop colto e divertito, ma soprattutto distaccato e provocatorio, consapevole di come, e quanto, le leggi di costruzione del discorso, anche quello musicale, siano artificiali e debitrici al discorso di potere. Non soltanto quello delle mode, da irridere e sbeffeggiare, ma più a fondo quello che determina i gusti, la scalata delle classifiche, la hit parade, le logiche di quell’«impero della musica […] giunto fino a noi carico di menzogne». E allora mandiamoli pure «in pensione i direttori artistici, gli addetti alla cultura», ma sempre con ironia, senza crederci del tutto, in fin dei conti «giù dalla torre» bisognerebbe buttare anche «tutti quanti gli artisti […] i teatranti, […] i registi, gli attori e gli elettrodomestici».11
Un Battiato dissacrante e ironico che prendendo in giro il mondo di cui fa parte ne mostra la vacuità, l’intima inconsistenza. Perché le «cose più serie»,12 per lui, sono sempre state altre. Sono quelle che puntano ai «regni di quiete», alle «grandi soddisfazioni» che «danno quelli che stanno sopra di me».13

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Note:

1) Cfr. F. Battiato, I suoi libri preferiti, intervista disponibile su: http://digilander.libero.it/beatnick/suoni3.htm, [ultima visualizzazione: 18/05/2021].
2) Cfr. F. Battiato, Mi reincarno nel mio prossimo film, intervista di V. Gandus disponibile su: http://archivio.panorama.it/Mi-reincarno-nel-mio-prossimo-film [ultima visualizzazione: 18/05/2021].
3) Cfr. V. Mattioli, Uno strano freak siciliano, in «Esquire», 7 ottobre 2017, Url: https://www.esquire.com/it/cultura/icone/a12801613/battiato-primi-70-lp/ [ultima visualizzazione: 18/05/2021].
4) Ibidem.
5) Ibidem.
6) Cfr. G. Savà, A gentile richiesta. In viaggio verso Scicli con Franco Battiato, in «Ragusanews.com», 16 dicembre 1997, Url: https://www.ragusanews.com/2008/05/30/cultura/a-gentile-richiesta-in-viaggio-verso-scicli-con-franco-battiato/4921 [ultima visualizzazione: 23/05/2021].
7) Ibidem.
8) Ibidem.
9) Ibidem.
10) In un’intervista di qualche tempo fa dichiarò di aver scritto «canzonette dai buoni testi» e ancor più esplicitamente: «[…] certe canzoni, penso a Sentimento nuevo che cantavo con Alice, erano un po’ delle cazzate. Cazzate divertenti e tendenti all’alto, ma pur sempre cazzate». Cfr. M. Pagani, Franco Battiato: “Ci salvano gli anomali, come la Berté che mi mostrò le tette”, 11 novembre 2015, Url: https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/11/franco-battiato-ci-salvano-gli-anomali-come-la-berte-che-mi-mostro-le-tette/2210533/ [ultima visualizzazione: 18/05/2021].
11) Cfr. F. Battiato, La torre, in Patriots, 1980, EMI.
12) Cfr. M. Pagani, Franco Battiato… cit.
13) Ibidem.

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Immagine di copertina:
Franco Battiato negli anni ’70 in un ritratto di Roberto Masotti (particolare)