La più grande impressione, guardando questo film, è data dall’immensità degli spazi. Con l’assenza dei limiti nello spazio dei paesaggi americani, si dilatano fino a sparire anche le proporzioni della misurazione del tempo. Non solo i giorni e gli anni scorrono nella trama delle vite dei personaggi nomadi che appaiono e scompaiono sulla scena, ma tutto nel film mostra una storia, tutto proviene da un passato vicino o lontanissimo. La vita di un uomo, con i suoi racconti sommersi e le sue emozioni sepolte, ha una profondità pari a quella delle rocce dei deserti, delle scogliere che modellano i paesaggi che fanno da sfondo alle sue vicende. La natura, per quanto arida e infinitamente distante dalle vicende umane, è legata al disvelarsi degli stati d’animo dei personaggi che si avvicinano e si allontanano, si amano e si salutano, si abbracciano giurando di incontrarsi di nuovo un giorno sulla strada. Tutti noi, nel nostro animo, nel nostro modo di gesticolare, nella inflessione della nostra voce, raccontiamo la nostra storia, portiamo impresse le nostre emozioni, siamo in qualche modo quello che siamo stati. Tutto sul nostro animo resta scritto, così come sui rilievi dei deserti americani le crepe, i canyon, le pianure infinite portano il segno della profondità del passato. Uomo e natura hanno bisogno di leggersi, di riconoscersi, finalmente di ritrovarsi. Non è solo il collasso affettivo o economico di una esistenza “normale” a spingere i nostri personaggi verso una vita senza fissa dimora, in perenne movimento a bordo di un van lungo strade che sembrano portare verso il nulla. Alla base della loro vita nomade c’è un insopprimibile desiderio di sentirsi liberi, di amare e aiutare i compagni di strada al di fuori delle convenzioni sociali. La condivisione, il mettere in comune ciò che amano, ciò che ricordano, ciò che sognano li lega indissolubilmente anche quando per mesi si perdono di vista e poi si ritrovano. La loro agorà negli spazi senza confini è data da un fuoco acceso attorno al quale riunirsi e ricordare l’amico scomparso dedicandogli a turno, ciascuno, un pensiero. La loro agorà è il povero, colorato mercato di semplici, preziosi oggetti che si scambiano solo per affetto e solidarietà. Al contrario, è all’interno rassicurante delle villette della media borghesia che viene messa in scena una vita ancorata a rituali quotidiani stereotipati, è nella solitudine alienante dei posti di lavoro che si mostra il volto più inquietante di una collettività irrimediabilmente disgregata. La vita nella Nomadland non è dispersa. Ha al contrario una grande forza centripeta costituita da un potente intreccio delle relazioni e delle storie narrate e condivise. Nel nulla, nello spazio vuoto che nelle prime scene sembrava sorprenderci, prende corpo alla fine un’idea autentica e avvincente di progetto di comunità umana. Un’idea così forte, che per la protagonista diventa irrinunciabile.