All’interno della rassegna La possibile preghiera, curata da Laura Liberale e dal sottoscritto, venerdì 30 aprile la teologa e ricercatrice Elisabetta Ribet ha presentato il libro di Jacques Ellul, L’impossibile preghiera (GBU, 2020).
Quella del pensatore, sociologo e teologo di fede riformata è una figura complessa, che si può apparentare a ben vedere a quella di un poligrafo cinquecentesco e che, per statura, interessi e campi di indagine ha pochi altri esempi nel Novecento trascorso.
Una figura non incanalabile facilmente in strutture e correnti e che forse troppo spesso è associata per lo più alla storia del pensiero anarchico; sicuramente è un autore poco conosciuto, o forse misconosciuto non solo in Italia, ma anche in patria.
Grazie ad Elisabetta Ribet si è cercato di soffermare l’attenzione sugli snodi di una teologia che fa propria la grammatica della sociologia e procede per argomentazioni e confutazioni chiare e lineari. Non potremmo comprendere pienamente il suo mondo se scindessimo il suo sapere accademico, legato alla sfera del diritto e dei rapporti sociali, dal suo essere profondamente credente protestante.
Come ha avuto modo di esprimersi un altro teologo riformato francese, André Gounelle, anche per Ellul vale l’asserzione: «Sono felice e fiero di essere protestante» (I grandi principi del protestantesimo, Claudiana, p. 5), anche e soprattutto nelle contraddizioni e nelle difficoltà di essere davvero obbediente alla Parola di Dio.
Ellul, uomo del suo tempo, vive la storia del Novecento attraverso la storia e i princìpi della realtà protestante.
Durante il dialogo ci si è soffermati sulla centralità della preghiera come combattimento, come pratica ed esercizio quotidiano con Dio e contro Dio, come Giacobbe che non soccombe all’Angelo fino a costringerlo a dare la sua benedizione.
Una lotta estenuante in cui l’uomo deve essere libero di accettare l’obbedienza e la servitù che Dio ci dona. Solo in questo contesto, in un mondo dominato dalla tecnica, sarà possibile ritrovare il valore e la centralità della preghiera e non lasciarsi sopraffare dalla derelizione.
L’uomo è libero, tramite la preghiera, di porsi in dialogo con Dio, una preghiera che è speranza nell’obbedienza a non lasciarsi andare alla deriva, a non perdersi:

«Deve essere l’ostinazione dell’uomo che viene nel cuore della notte a chiedere un pane al proprio vicino, quell’ostinazione della donna che chiede giustizia al giudice indifferente. Deve essere veramente lotta con Dio, per ciò che esigiamo, quel Dio che importuniamo e che attacchiamo senza sosta, con quel Dio di cui, ad ogni costo, vogliamo attraversare il silenzio e l’assenza. Lotta per obbligare Dio a rispondere, a rivelarsi di nuovo» (L’impossibile preghiera, p. 161).

Il tempo della derelizione, ci avverte Ribet nella sua prefazione, è il tempo che precede la parusìa, è un tempo difficile, apocalittico e di smarrimento in cui trionfa la Tecnica e l’uomo si sente totalmente abbandonato a sé stesso. E allora un Dio, che ci pone nelle condizioni di lottare con lui, che vuole e desidera che ci si ponga in dialogo con lui, determina la libertà di servire del credente, e in ultima analisi pone la sua salvezza nell’obbedienza al Comandamento, ovvero a Gesù Cristo:

«È una parola personale che mi è rivolta. Un comandamento è, sempre, una parola individualizzata, detta da chi comanda a chi deve obbedire. […] E nel momento in cui ascolto questa parola, non sono lasciato intatto, con un libero arbitrio che mi permetta di decidere in tutta indipendenza. L’ordine che mi è stato rivolto mi impegna già in una determinata direzione. Rimane necessario, però, il fatto che io lo riceva per quello che è: un comandamento vivente, che mi concerne» (pp. 116-117).

Tale visione, come ha giustamente sottolineato Ribet, evidenzia l’importanza di una narrazione personale, una delle possibili relazioni con il divino, che apre alla speranza e a un rinnovato dialogo con Dio.
Speranza che è determinata anche dall’accettazione di non volersi sostituire a Dio, ma di essere felice della condizione di Figlio di fronte al Padre, con buona pace della psicanalisi freudiana. Da Figli invochiamo la Preghiera per antonomasia affinché la sua volontà sia anche la nostra e il “venga il tuo regno” sia anche il nostro.
Ogni volta che preghiamo, ci dice Ellul, rendiamo attuale la promessa e in tal modo la facciamo divenire universale, per affermare in senso escatologico il dominio del Signore.
Come ha sostenuto il nipote Jérôme, che è piacevolmente intervenuto durante l’incontro, ancora molti libri di Ellul sono da scoprire, come ad esempio il postumo e uscito recentemente commentario alla Lettera di Giacomo (La Loi de liberté, Bayard, 2020).
Sicuramente Elisabetta Ribet ha contribuito a squarciare il velo sulla figura di Jacques Ellul teologo, e continuerà di certo a farlo.

———
Immagine di copertina:
© Sophie Bassouls, Jacques Ellul, 1982 – Sygma/Corbis