Per lo sviluppo intellettuale di Hayden White (1928-2018), la scrittura della dissertazione di dottorato e il periodo trascorso a Roma negli anni Cinquanta, rappresentarono non soltanto un momento centrale del suo percorso di formazione, ma anche un’occasione per ampliare gli orizzonti che, come avrebbe ricordato anche anni dopo, erano fino ad allora fortemente segnati dal clima protestante della sua infanzia. Un ruolo fondamentale in tale percorso lo svolse la Biblioteca Vaticana, la cui frequentazione contribuì a sprovincializzare la cultura di formazione del giovane storico, ponendolo in un contesto ricco e stimolante, molto diverso da quello di provenienza. La necessità di trascorrere lunghe ore di studio in questa istituzione, fino ad allora conosciuta solo per fama, oltre a porlo nella condizione di entrare in contatto con un patrimonio librario unico al mondo, gli offrì la possibilità di chiarire interessi e inclinazioni che sarebbero diventate centrali nella sua carriera.1 Il clima culturale di Roma lo mise poi davanti a una realtà affascinante, in cui interagivano studiosi provenienti da ogni parte del mondo, ma anche un ambiente molto stimolante per ciò che concerne la presenza di musei, cenacoli culturali, biblioteche e librerie antiquarie. Fu proprio in tale ambiente che maturò la passione di White per i libri antichi e le edizioni di pregio, un interesse che conservò per tutta l’esistenza, dimostrato dal consistente lascito donato all’Università della California, a Santa Cruz, dove si costituì il fondo «Hayden White Collection».2

La ricchezza degli scambi interculturali, la molteplicità di sguardi e di prospettive disciplinari, giocarono su White un ruolo fondamentale, contribuendo alla definizione del suo percorso di studioso e intellettuale. In questo periodo, oltre a scoprire e imparare la lingua italiana, conobbe alcune figure con cui mantenne un dialogo proficuo e stimolante e che lo introdussero nel dibattito intellettuale romano. Tra queste Mario Praz, critico d’arte e professore di letteratura inglese, che in quegli anni dirigeva la rivista English Miscellany e che invitò White a collaborare con un contributo. Lo storico statunitense scrisse inizialmente un saggio sull’idea di storia e, successivamente, un contributo su Collingwood e Toynbee; furono questi i primi lavori di White nel campo della filosofia della storia, in una fase in cui l’interesse dello studioso era ancora rivolto verso la storia medievale.3 In un momento di grande fermento culturale iniziò anche una corrispondenza con Ezra Pound, una figura discussa con cui a suo giudizio bisognava «venire a patti».4 Fu sempre nel periodo italiano che White conobbe Carlo Antoni, il filosofo della storia il cui libro sul declino dello storicismo e l’ascesa della sociologia aveva iniziato a tradurre in inglese.5 L’influenza dello studioso italiano ebbe un ruolo nel ridimensionamento dell’interesse di White per Weber e l’euristica da lui derivata; al contempo ciò coincise con la scoperta di Croce e dello storicismo. Entrambi questi aspetti avrebbero avuto un ruolo decisivo nel percorso intellettuale maturo dello storico americano. Nello specifico l’interesse per Antoni si collocava in un processo di lenta svolta rispetto ad alcuni degli interessi prevalenti fino ad allora, come quello appunto per la sociologia weberiana. La preferenza sempre più marcata per «la specificità della storia»6 si poneva, almeno in parte, in continuità con la diffidenza dello studioso italiano per l’uso degli idealtipi weberiani e più in generale per l’influenza della sociologia nel campo degli studi storici.

Antoni, dopo aver conseguito la laurea in filosofia a Firenze nel 1919, e aver insegnato a Pola e a Napoli, pubblicò a Napoli nel 1924 Il problema estetico,7 un’opera che riscosse anche l’attenzione di Croce e che si poneva nel solco problematico del neoidealismo. Successivamente, a partire dal 1932, insegnò Filosofia e Storia nel liceo di Messina, quindi lavorò all’Istituto di studi germanici di Roma e nel 1937 conseguì la libera docenza in storia della filosofia. In quegli anni la sua interpretazione dello storicismo si andava definendo in un senso problematico volto soprattutto a indagarne peculiarità e possibili linee di sviluppo. In tale ottica un momento importante fu rappresentato dalla pubblicazione di una serie di saggi che vennero raccolti nel volume Dallo storicismo alla sociologia.8 La lettura di Antoni insisteva particolarmente sulla convinzione che si dovesse riscoprire la tradizione degli storici ottocenteschi, come Ranke, e relativizzare il peso della sociologia tedesca, in particolare di autori come Georg Simmel, Ferdinand Tönnies, Werner Sombart e Weber. L’attenzione per la dimensione storica lo spinse a sviluppare, successivamente, un’attenta interpretazione della dialettica hegeliana, volta a liberare il pensiero del filosofo tedesco dalle incrostazioni metafisiche, ma che lo condusse anche a valorizzare la riflessione marxiana che in quella prospettiva si poneva, evitando però le compromissioni ideologiche che, a suo giudizio, ne incrinavano la ricchezza teorica.9 Per quanto riguarda Hegel, ciò si tradusse in un’attenzione per la dimensione razionale della dialettica, intesa come un processo organico, collettivo, necessario, coincidente con le leggi di sviluppo della storia. L’individuo in tal senso risultava essere non un’entità metafisica sempre uguale a sé stessa, ma il risultato di un graduale processo di definizione dialettico nella concreta dimensione storica. Antoni riconosceva particolare centralità alla dimensione etica dello stato, e dunque alla funzione ideologica, responsabile dell’immaginario in cui era immerso l’individuo. In tale discorso la storia assumeva il valore di dimensione trascendentale responsabile non soltanto delle categorie attraverso cui la ragione organizzava i dati della realtà, ma più a fondo le dimensioni individuali e collettive. La prospettiva di Antoni interessò White che, incoraggiato da Bossenbrook, decise di tradurre Dallo storicismo alla sociologia e di introdurre il volume con una prefazione.10 Nel libro Antoni si confrontava con Dilthey, Troeltsch, Meinecke, Weber, Huizinga, Wolfflin, sottolineando la deriva prodotta nel campo degli studi critici con la progressiva affermazione della sociologia e dunque il passaggio dalla filosofia all’empirismo. In particolare egli lamentava il peso sempre minore assunto dalla concezione storica in un sistema che privilegiava le euristiche universali. Era degno di nota che ciò fosse avvenuto in Germania, patria della teoria e del sistema razionale più compiuto prodotto nella modernità, quello hegeliano. Attraverso tale rilievo mostrava di aderire alle molteplici concezioni che sostenevano un orizzonte di crisi della società e un progressivo processo di degenerazione, anche teorico, incapace di cogliere adeguatamente lo spirito del tempo. Sul piano teorico e metodologico, Antoni, riteneva che gli autori criticati fossero accomunati dall’aver cercato di costruire dei «tipi ideali», ossia categorie trans-storiche, astrazioni che non potevano raggiungere la realtà concreta, sintesi hegeliana di universale e individuale. Dilthey, ad esempio, si era servito del concetto di «Erlebniss», «principio della poesia ma anche di tutte le altre forme dello spirito»,11 reificando una categoria che risultava sempre istanziata e quindi determinata in una relazione. La poesia, invece, lungi dall’essere una matrice universale, esisteva sempre e solo nel sentimento concreto a cui il poeta si riferiva. Wolfflin, occupandosi di storia dell’arte aveva invece confuso le diverse espressioni artistiche con l’immaginario, ma soprattutto stabilito delle confuse distinzioni tra classico e romantico, delimitato e illimitato, armonico e titanico, latino e germanico, mancando nell’obiettivo di illustrare le peculiarità del giudizio estetico. Per Antoni, il lavoro di Weber in particolare, rappresentava quasi paradigmaticamente cosa accadeva nel campo delle interpretazioni quando si cessava di utilizzare il punto di vista storico, appiattendo tutto in un caleidoscopio di euristiche necessarie e immutabili. A differenza di ciò lo storicismo aveva mostrato, proprio nella Germania adesso infatuata della degenerazione sociologica, la ricchezza del pensiero che riconosceva valore al cambiamento, all’evoluzione, all’incontro tra il particolare transeunte e l’universale. Come era possibile – si chiedeva Antoni – ingabbiare la novità perenne del reale attraverso leggi e modelli sempre uguali? Dalla storia alla sociologia era un libro che proponeva piuttosto una storicizzazione radicale dell’uomo, in linea con lo storicismo crociano, e parallelamente si faceva portavoce delle preoccupazioni di quanti vedevano nella svolta sociologica un pericolo per la teoria e la speculazione. Antoni era particolarmente critico verso Weber e distingueva lo storicismo italiano dall’«historismus» germanico e la teoria del giudizio storico elaborata dal primo rispetto alla dottrina degli idealtipi delineata dal sociologo e ripresa in Germania (Dilthey, Troeltsch, Meinecke, Wollflin). Il giudizio storico – spiegava Antoni – era «sinolo», «universale concreto», unione di soggetto e predicato, cioè dottrina che inverava il classico principio di identità di origine aristotelica, o al più la ecceità di Duns Scoto, mentre la teoria degli “idealtipi” weberiana poteva essere considerata un’astrazione, al più una tassonomia con funzione pragmatica. Entità schematiche e statiche attraverso cui i fenomeni storici venivano classificati mediante entità astoriche. Un paradosso interpretativo, secondo Antoni, che lasciava intravedere il rischio a cui erano esposti gli storici quando smettevano di considerare lo sviluppo e il progresso dialettico come il vero “motore” della storia. Secondo tale visione la storiografia modellata sulla sociologia si limitava a considerare la realtà come una struttura invariabile, contraddistinta da insiemi fissi entro cui potevano essere collocate le diverse civiltà. In particolare la definizione di modelli e tipi, validi per tutte le epoche e civiltà, negavano l’elemento negativo della logica dialettica, quello che identificava l’ostacolo, il limite, ciò che doveva essere superato per andare incontro all’inedito. Secondo Antoni, che in ciò era in linea con Croce, la storia era invece progressione continua, cambiamento e adattamento alle circostanze, tentativi di risoluzione di problemi e superamento di ostacoli. Cos’altro era la storia se non la tensione creativa verso la novità singolare? Come era possibile ridurre la singolarità dell’evento entro lo schema fisso delle leggi e dei modelli tran-storici? Tali interrogativi cominciarono a interessare problematicamente anche White, il quale cominciò a valutare come l’eccessiva fissità degli idealtipi, e più in generale un certo naturalismo presente nella riflessione weberiana, pregiudicasse il riconoscimento della libertà e della responsabilità umana, riducendo quest’ultimo a un ente pre-definito e, dunque, in ultima istanza rispondente a stimoli in modo meccanico.12 Tale problematizzazione si poneva in discontinuità rispetto a un’adesione, piuttosto a-critica, che aveva orientato White al tempo della ricerca di dottorato. In questa fase della riflessione si dichiarava piuttosto vicino a un’idea di «storicismo estetico» che puntava a salvaguardare la libera creatività dell’uomo, attraverso il riconoscimento della volontà e della possibilità di autodefinirsi in modo creativo rispetto agli stimoli della natura. Questo modello di storicismo era incarnato da Nietzsche, un pensatore che aveva liberato la storia dalle incrostazioni metafisiche e dalle teleologie che, in maniera più o meno esplicita, continuavano a pesare su tante interpretazioni. White, già in questo periodo, dimostrava di tenere a una visione dell’essere umano lontana dai naturalismi organicisti che, in fin dei conti, affermavano l’illusorietà dell’idea di libertà. E pur non essendo ancora vicino a quello scetticismo ironico che avrebbe contraddistinto la sua fase matura, cominciava con più convinzione a interessarsi delle condizioni trascendentali che presiedono alla formazione dei discorsi.13

La transizione da un primo White, quello piuttosto acerbo sotto il profilo teorico della dissertazione di dottorato, e lo studioso critico della Metahistory conosce in questa fase un momento di svolta importante, segnato, come spesso avviene, da slanci ma anche da cambi di rotta, interrogazioni e problematizzazioni. Ciò è visibile nell’introduzione scritta alla traduzione del libro di Antoni, in cui White, pur riconoscendo legittimità alle preoccupazioni critiche di Antoni, soprattutto per ciò che riguardava l’importanza della storicizzazione in ordine a una più adeguata visione speculativa globale, non le condivideva del tutto, mostrando ancora tracce della passata fascinazione weberiana.14 La presa di distanza interessava più in generale lo storicismo classico, suddiviso secondo quattro modelli, quello definito «oggettivo», legato al nome di Ranke, quello «metafisico», legato a Hegel, quello «naturalistico» associato a Weber, e lo storicismo estetico, identificato con Nietzsche e Burckhardt.15 Tale ripartizione puntava a dimostrare come Antoni, contrariamente ai suoi propositi, alla fine avesse riprodotto dei modelli rigidi non troppo dissimili da quelli di Weber, di fatto cadendo nelle stesse secche interpretative che lo avevano spinto a criticare la svolta sociologica. Alla luce di ciò la critica del filosofo italiano mancava il bersaglio e poteva essere letta come una aprioristica difesa di principio.16 L’introduzione di White ad Antoni non suscitò grandi entusiasmi tra gli storici, anzi venne ritenuta insufficiente e a tratti distorta, un’operazione sommaria e quasi dilettantesca.17 Probabilmente nell’interpretazione dello storico statunitense, che comunque mostrò sempre apprezzamento per Antoni, giocava un ruolo decisivo l’ammirazione coltivata per Weber nella prima fase del suo percorso intellettuale e soprattutto un modello di storia critica aperta alla sociologia e all’utilizzo di modelli e tipologie da essa derivati.18

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Note:

1) H. Paul, Hayden White, Polity Press, London 2011, p. 15.
2) Ivi, p. 154.
3) H. White, Collingwood and Toynbee: Transitions in English Historical Thought, in «English Miscellany» 7 (1956), p. 150; H. White, Religion, Culture and Western Civilization in Christopher Dawson’s Idea of History, in «English Miscellany» 9 (1958), pp. 249-250.
4) R. J. Murphy, A Discussion with Hayden White, in «Sources», 2 (1997), pp. 13–30, p. 23.
5) Il libro sarebbe stata pubblicato nel 1959 dalla Wayne State University Press.
6) Cfr. R. Jacoby, A New Intellectual History?, in «The American Historical Review», vol. 97, 1992, pp. 405—424, p. 407.
7) Cfr. C. Antoni, Il problema estetico: introduzione alla filosofia per gl’istituti magistrali, Casella, Napoli 1924.
8) Cfr. C. Antoni, Dallo storicismo alla sociologia, Sansoni, Firenze 1940.
9) Cfr. C. Antoni, Considerazioni su Hegel e Marx, Riccardo Ricciardi editore, Napoli 1946.
10) Cfr. C. Antoni, “Translator’s Introduction: On History and Historicisms”, in Antoni, From History to Sociology. The transition in German Historical Thought, trans. by H. White, Wayne State University Press., Detroit 1959, pp. IX, XI.
11) C. Antoni, Dallo storicismo alla sociologia …, cit., p. 12.
12) Cfr. H.Paul, Hayden White …, cit., pp.27-28.
13) Cfr. H. Kellner, A Bedrock of Order: Hayden White’s Linguistic Humanism, in Language and Historical Representation: Getting the Story Crooked, University of Wisconsin Press, Madison and London 1989, pp. 193-227, p. 219.
14) C. Antoni, “Translator’s Introduction: On History and Historicisms,” in Antoni, From History to Sociology. The transition in German Historical Thought, trans. by H. White, Wayne State University Press., Detroit 1959, pp. XX.
15) C. Antoni, “Translator’s Introduction: On History and Historicisms,” in Antoni, From History to Sociology. The transition in German Historical Thought, trans. by H. White, Wayne State University Press., Detroit 1959, pp. xv–xxviii, pp. xix–xxv.
16) Ivi, p. XX.
17) Cfr. B. Mazlish, Review of From History to Sociology by Carlo Antoni, in «History and Theory», 1 (1961), pp. 219–27. Su tutto questo vedi: H. Paul, Hayden White…, cit., p. 28.
18) Herman Paul ha descritto questa fase del percorso del giovane White nei termini di «a Weberian medievalist». Cfr. H. Paul, Hayden White…, cit.

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Immagine di copertina:
Un ritratto di Hayden White nel 1974 – William van Saun/Special Collections & Archives, Wesleyan University