Se l’avvento della psicoanalisi, come un terremoto, ha scosso la quiete e l’ordine dei saperi, per così dire, pre-freudiani, certamente il ruolo assegnato da Freud all’infanzia è da porre nel suo ipocentro.

Come ricorda Musatti, nell’avvertenza editoriale alla Metapsicologia, fino al 1905 la pulsione sessuale” non è mai menzionata apertamente come tale da Freud. Dieci anni dopo la pubblicazione dei Tre saggi sulla sessualità, Freud formula una teoria delle pulsioni, dato che la pulsione era rimasta «Un concetto convenzionale (…) ancora piuttosto oscuro per il momento, e di cui non possiamo fare a meno in psicologia».1 Il concetto di pulsione integra definitivamente gli aspetti psichici e gli aspetti somatici dell’uomo. La psicoanalisi si fonda su questa fusione irreversibile: l’isteria è un esempio eclatante di come non si possa pretendere di comprendere una persona senza tenere conto dello statuto, a cavallo tra lo psichico e il somatico, delle pulsioni che ne agitano la mente e il corpo, ne indirizzano i comportamenti e, più in generale, il corso della vita. Il termine Trieb, tradotto con “pulsione”, deriva da treiben, che in tedesco significa spingere. La forza costante, o spinta, della pulsione è presentata da Freud, in questi termini, nel primo capitolo, dal titolo Pulsioni e loro destini, della Metapsicologia:

«(…) in quanto non preme dall’esterno, ma dall’interno del corpo, non c’è fuga che possa servire contro di essa. Indichiamo più propriamente lo stimolo pulsionale col termine “bisogno”; ciò che elimina tale bisogno è il “soddisfacimento”. Il soddisfacimento può essere ottenuto soltanto mediante una opportuna (adeguata) modificazione della fonte interna dello stimolo».2

È curioso notare come Georges Bataille, filosofo francese e lettore di Freud, nel 1957 descrive con parole simili a quelle scelte dal padre della psicoanalisi, quella che egli chiama l’interiorità del desiderio:

«L’erotismo è uno degli aspetti della vita interiore dell’uomo. Non deve ingannarci il fatto che esso cerchi senza posa un oggetto del desiderio posto al di fuori. Ma questo oggetto corrisponde all’interiorità del desiderio. […] L’erotismo è, nella coscienza dell’uomo, ciò che mette il suo essere in questione».3

Nel suo trattato, Freud dichiara che «lo studio delle pulsioni presenta difficoltà quasi insormontabili dal punto di vista della coscienza»,4 per questo motivo si baserà sull’indagine psicoanalitica dei disturbi psichici che nel manifestare, mediante il conflitto tra le esigenze della sessualità e quelle dell’Io, l’impasse dei processi mentali, mettono a nudo alcuni aspetti salienti delle dinamiche pulsionali.

«Al loro primo apparire le pulsioni sessuali si appoggiano alle pulsioni di autoconservazione (da cui si separano soltanto un po’ alla volta) e, anche nel rinvenimento dell’oggetto, seguono le vie che vengono loro indicate dalle pulsioni dell’Io. Una loro porzione rimane associata per tutta la vita alle pulsioni dell’Io e fornisce a queste ultime componenti libidiche, che rimangono facilmente inavvertite quando la funzione è normale, e che solo il manifestarsi della malattia rende palesi. Le pulsioni sessuali si caratterizzano per la loro capacità di assumere funzioni in larga misura vicarianti le une rispetto alle altre, e per la facilità con cui mutano i propri oggetti. In base a queste ultime proprietà sono capaci di prestazioni che si allontanano considerevolmente dalle mete originarie della loro attività (sublimazione).
Siamo costretti a limitare l’indagine dei destini in cui possono incorrere le pulsioni nel loro sviluppo e della vita umana alle pulsioni sessuali che conosciamo meglio. L’osservazione ci insegna che una pulsione può incorrere nei seguenti destini:
La trasformazione nel contrario.
Il volgersi sulla persona stessa del soggetto.
La rimozione.
La sublimazione».5

Prosegue Freud:

«Riassumendo, possiamo rilevare che i destini delle pulsioni sono essenzialmente caratterizzati dal fatto che i moti pulsionali sono soggetti all’influsso delle tre grandi polarità che dominano la vita psichica. Di queste, la polarità “attività-passività” potrebbe esser indicata come polarità biologica, quella “Io-mondo esterno” come polarità reale, e infine quella “piacere-dispiacere” come polarità economica».6

La differenza tra pulsioni e passioni è profonda: per cominciare, il destino della passione è imprevedibile e sempre singolare, in quanto inevitabilmente legato all’alterità, che è l’unica fonte da cui può sfociare la passione. Questa è vissuta nella realtà dell’incontro con l’altro, mentre la pulsione ha bisogno della mediazione del velo fantasmatico per non essere vissuta in maniera troppo traumatica. Il fantasma è una specie di velo, di armatura, di intermediario incorporato nell’esperienza psichica del soggetto, che fa sì che il soggetto non incontri la realtà, in particolare la sessualità, in modo troppo diretto. Quando entra in gioco qualcosa di traumatico (che è sempre in gioco nella vita di qualsiasi legame), se si dispone del velo fantasmatico, l’effetto della sofferenza è ammortizzato, in caso contrario il trauma può essere o diventare un’esperienza-detonatore, che rischia di travolgere il soggetto con le sue conseguenze. Al contrario della pulsione, la passione implica un decentramento dell’Io: essa si gioca, vive fuori casa, perché non può che nascere in terre straniere, fuori dall’angusto spazio di un soggetto. La passione sconvolge il soggetto, perché lo induce a uscire da sé stesso, ad abbandonare l’amor proprio per rischiare di perdersi nel legame, di essere travolto «dal trasfigurante senso di prossimità che l’amore è in grado di creare».7 Mentre le pulsioni possono scivolare nell’automatismo autoerotico della coazione a ripetere, non è possibile abituarsi alle passioni, perché toccano e scoprono la vitalità caduca del corpo e, per questo, non possono mai essere uguali a sé stesse.

Correntemente siamo soliti usare espressione come “io ho una passione” o “sei la mia passione”, ma questi modi di dire, culturalmente connotati, non sono altro che un tentativo di controllare qualcosa che non si può possedere e che per esistere ha bisogno dell’alterità: le passioni non sono autosufficienti o autoreferenziali, sono relazione. Ciò che può nascere all’interno del soggetto in risposta all’elaborazione di una passione, è il desiderio, che è un goffo, seppur vitale, tentativo di dominio delle passioni. Attraverso il desiderare si arginano e definiscono le passioni, in modo tale da circoscrivere quell’eccedenza di vita per poter tentare di viverla, incarnarla e condividerla. A proposito dell’amore, considerato la passione per eccellenza, Rainer Maria Rilke scrive:

«L’amore è una cosa difficile: più di tutte le altre, perché nei conflitti di diverso tipo è la Natura stessa a risvegliare nell’individuo un istinto a trattenersi, a contenersi con tutte le proprie forze, mentre in quella forma di incremento di sé che è l’amore si è spinti a lasciarsi andare completamente».8

Anche se può sembrare paradossale, nel rapporto amoroso il sé s’incrementa perché diventa capace di lasciarsi andare completamente, di dimenticarsi di sé come centro dell’universo, di ignorare l’esistenza di un confine tra sé e l’altro e di lasciarsi pervadere dal ‘proprio’ sentire. Questo modo di vivere è proprio solo dell’essere appassionati, perché la passione oltre a non appartenere a nessuno, non possiede nemmeno un oggetto, ma è diretta verso un oggetto; al contrario, la pulsione ambisce al controllo sull’oggetto, la sua meta per sfogarsi e per godere. Le pulsioni sono sotto il dominio del principio di piacere, per il quale l’apertura al mondo non è nient’altro che un tentativo dell’Io di subordinare l’oggetto alle sue esigenze, mentre l’apertura al mondo del sentire consentita dalla passione è l’incontro disinteressato o, meglio, realmente interessato all’altro, che fa diventare ciò che si è, che dà carne a ciò che per il solipsismo dell’Io è inimmaginabile.
Dall’inizio della sua prima stesura della teoria delle pulsioni fino alla conclusione della sua seconda versione della stessa, contenuta in Al di là del principio di piacere, Freud non esita a esprimere le proprie incertezze e perplessità riguardo all’insidioso tema:

«Ho proposto di distinguere due gruppi di tali pulsioni originarie, quello delle pulsioni dell’Io o di autoconservazione e quello delle pulsioni sessuali. A tale enunciazione non va tuttavia attribuito il significato di un postulato necessario, qual è ad esempio l’ipotesi dell’intenzionalità biologica dell’apparato psichico; si tratta di una pura congettura che deve essere mantenuta soltanto finché si dimostra utile, e la cui sostituzione con una congettura diversa non modificherà gran che gli esiti del nostro lavoro descrittivo e classificatorio».9

L’anno prima della pubblicazione della Metapsicologia, nello scritto Per la storia del movimento psicoanalitico (1914), datato lo stesso anno di Introduzione al narcisismo, Freud afferma che «La teoria della rimozione è dunque il pilastro su cui poggia l’edificio della psicoanalisi»:10 infatti, il ripensare al processo di rimozione è decisivo per l’autore per modificare e completare la sua teoria. Mentre, come riporta Jones, la stesura dell’insieme di saggi raccolti in Metapsicologia è stata rapidissima, Al di là del principio di piacere, la monografia dedicata alla rielaborazione della dottrina delle pulsioni, richiese insolitamente a Freud più di un anno di complesso lavoro, che si aggiunse alla consueta, forse ininterrotta riflessione critica: «Venticinque anni di lavoro intenso hanno fatto sì che i fini immediati della tecnica psicoanalitica siano oggi completamente diversi da quelli iniziali».11 Come ricordato nei paragrafi precedenti, il fine dell’applicazione della nuova tecnica psicoanalitica è mutato nel tempo fino ad arrivare a essere quello di instaurare una particolare relazione, o traslazione, che metta in risalto, per riuscire a interromperla, la coazione a ripetere, a causa della quale il paziente è tormentato. Per fare ciò, il medico

«Deve consentire che il paziente riviva una certa parte della sua vita passata, e provvedere, d’altro lato, affinché egli conservi un certo grado di razionale distacco, che gli permetta di rendersi conto che quella che gli appare come realtà è in effetti soltanto l’immagine riflessa di un passato dimenticato».12

Questo processo avviene tramite l’incoraggiamento da parte del terapeuta a fare libere associazioni, a dire tutto ciò che passa per la mente anche se ritenuto dal paziente inadeguato, strambo, imbarazzante o senza senso. Le libere associazioni permettono di far filtrare attraverso il muro della coscienza il materiale rimosso, che si ripresenta al paziente sotto la forma della coazione a ripetere finché non diventano percorribili altre vie meno dolorose, alienanti e criptiche,13 almeno per i pazienti, quali per esempio l’esplicitazione verbale di ricordi, che sembravano essere stati dimenticati.

«Per capire meglio la “coazione a ripetere” che si manifesta durante il trattamento psicoanalitico dei nevrotici, dobbiamo anzitutto liberarci dall’errata convinzione che nella nostra lotta contro le resistenze abbiamo a che fare con una resistenza da parte dell’“inconscio”. (…) La resistenza che si manifesta durante la cura proviene da quegli stessi strati e sistemi superiori della vita psichica che originariamente hanno attuato la rimozione».14

In Al di là del principio di piacere, Freud si interroga sulla relazione «fra la coazione a ripetere – in cui si esprime la forza del rimosso – e il principio di piacere»,15 quindi su: «che tipo di connessione esiste fra la pulsionalità e la coazione a ripetere?»16
Per rispondere a quest’interrogativo, l’autore si sofferma sul gioco infantile: infatti l’opportunità di osservare per alcune settimane il gioco di un bambino, in particolare quello inventato e ripetuto con un rocchetto di legno,17 contribuisce significativamente all’elaborazione teorica. Freud giunge così a questa conclusione: «A proposito del giuoco infantile ci pare che il bambino ripeta l’esperienza spiacevole anche perché se è attivo riesce a dominare molto meglio una forte impressione di quanto potesse fare quando si limitava a subirla passivamente».18
Queste osservazioni confluiscono, nello stesso testo, nella seconda formulazione della teoria delle pulsioni, che era più che mai necessaria al fine di porre le fondamenta della scienza psicologica, ma, scrive Freud, «in nessun’altra regione della psicologia si brancolava nel buio come in questa».19 La psicoanalisi «non poté evitare di proporre una sua ipotesi sulle pulsioni»20 e di rivederla con il passare degli anni, l’aumentare dell’esperienza e il conseguente mutare delle idee. Freud individua fondamentalmente quattro passi in avanti che, tra il 1915 e il 1920, ha fatto la sua teoria.
Per prima cosa,

«Naturalmente si dovette ampliare il concetto di “sessualità” – e quindi quello di pulsione sessuale – in modo tale da includere molte cose che non rientrano nell’ambito della funzione riproduttiva, e ciò fece gran chiasso in un mondo austero e rispettabile, o semplicemente ipocrita».21

«Il passo successivo fu compiuto quando la psicoanalisi poté considerare più da vicino l’Io psicologico, che in un primo momento aveva conosciuto solo nella forma di un’istanza rimovente e censoria, capace di produrre strutture protettive e formazioni reattive».22< A differenza dei primi due, al terzo passo viene conferito un carattere d’incertezza e provvisorietà: «Non mi nascondo che il terzo passo che sto compiendo nella teoria delle pulsioni non può pretendere la stessa certezza dei primi due: l’estensione del concetto di sessualità e l’ipotesi del narcisismo».23
Infine, si rivela decisiva la comparsa della morte sulla scena, l’idea che, come scrive Freud nel 1920, ha fatto luce nell’oscurità che ancora avvolge la teoria delle pulsioni.

«Abbiamo preso le mosse dalla grande contrapposizione fra le pulsioni di vita e le pulsioni di morte. Lo stesso amore oggettuale ci mostra una seconda polarità di questo tipo, quella fra amore (tenerezza) e odio (aggressività). (…) Quando il sadismo originario non si attenua né si mescola con altre pulsioni, si instaura, nella vita amorosa, la nota ambivalenza amore-odio».24

Inoltre,

«Un altro fatto che salta agli occhi è come le pulsioni di vita abbiano molto più a che fare con la nostra percezione interna poiché con la loro comparsa turbano la pace e producono costantemente delle tensioni la cui eliminazione viene avvertita come piacere; al contrario le pulsioni di morte sembrano compiere il lavoro senza farsene accorgere. Sembrerebbe proprio che il principio di piacere si ponga al servizio delle pulsioni di morte; è vero che esso vigila anche sugli stimoli esterni che entrambe le specie di pulsioni avvertono come un pericolo, ma esercita una sorveglianza del tutto particolare sugli incrementi di stimolazione che provengono dall’interno mirando a rendere più difficile il compito dell’esistenza».25

Invece di chiudere il suo testo come qualcosa di compiuto e definitivo, Freud preferisce lasciarlo aperto alla vitalità degli interrogativi, dei dubbi e della critica, esortando così i lettori:

«A questo punto sorgono innumerevoli altri quesiti cui non siamo in grado attualmente di dare una risposta. Dobbiamo aver pazienza e attendere che si presentino nuovi strumenti e nuove occasioni di ricerca. E dobbiamo esser disposti altresì ad abbandonare una strada che abbiamo seguito per un certo periodo se essa, a quanto pare, non porta a nulla di buono».26

Bibliografia

Bataille George (1957), L’erotismo, trad. it., Milano, ES, 1997.
Freud Sigmund, Per la storia del movimento psicoanalitico (1914), in Musatti C. L. (a cura di), Opere di Sigmund Freud 1912-1914. Totem e tabù e altri scritti, vol. 7, trad. it., Torino, Bollati Boringhieri, 1975d, pp. 381-397.
Freud Sigmund, Metapsicologia (1915), in Musatti C. L. (a cura di), Opere di Sigmund Freud 1915-1917. Totem e tabù e altri scritti, vol. 8, trad. it., Torino, Bollati Boringhieri, 1976a, pp. 3-118.
Freud Sigmund, Al di là del principio di piacere (1920), in Musatti C. L. (a cura di), Opere di Sigmund Freud 1917-1923. L’Io e l’Es e altri scritti, vol. 9, trad. it., Torino, Bollati Boringhieri, 1977a, pp. 189-249.
Musatti Cesare L., Avvertenza editoriale, in Musatti C. L. (a cura di), Opere di Sigmund Freud 1915-1917. Totem e tabù e altri scritti, vol. 8, trad. it., Torino, Bollati Boringhieri, 1976, pp. 3-12.
Rilke Rainer M., La vita comincia ogni giorno. Federici Solari M., a cura di, Roma, L’orma editore, 2017.

———

Note:

1) S. Freud, Metapsicologia, 1976a, p. 14.
2) Ivi, p.15.
3) G. Bataille, L’erotismo, 1997, p. 29.
4) S. Freud, Metapsicologia, p. 21.
5) Ivi, pp. 21-22.
6) Ivi, pp. 33-35.
7) R. M. Rilke, La vita comincia ogni giorno, 2017, pp. 27-28.
8) Ivi, p. 20.
9) S. Freud, Metapsicologia, 1976a, p. 20.
10) S. Freud, Per la storia del movimento psicoanalitico, 1975d, p. 389.
11) S. Freud, Al di là del principio di piacere, 1977a, p. 204.
12) Ivi, p. 205.
13) «I dettagli del processo mediante il quale la rimozione trasforma una possibilità di piacere in una fonte di dispiacere non sono ancora stati ben compresi o comunque non possono ancora essere illustrati con chiarezza; ma è certo che ogni dispiacere nevrotico ha questa natura: è un piacere che non può essere avvertito come tale»; Cfr. S. Freud, Al di là del principio di piacere, 1977a, p. 197.
14) Ivi, p. 205.
15) Ivi, p. 206.
16) Ivi, p. 222.
17) Si veda S. Freud, Al di là del principio di piacere, 1977a, pp. 200-203.
18) Ivi, p. 221.
19) Ivi, p. 236.
20) Ivi, p. 236.
21) Ivi, p. 236.
22) Ivi, pp. 236-237.
23) Ivi, p.244.
24) S. Freud 1977a, p. 239. Per approfondire il rapporto che intercorre fra le due specie di pulsioni, si veda il capitolo quarto de L’Io e l’Es, pubblicato nel 1922, due anni dopo Al di là del principio di piacere.
25) S. Freud 1977a, pp. 248-249.
26) S. Freud 1977a, p. 249.

———

Immagine di copertina:
Gustav Klimt, Ritratto di signora, 1910 ca. (particolare) – Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, Piacenza.