«Ciò che non è inconsistente è instabile, ambiguo, sfuggente: la materia è dominio di Proteo; “egli è carattere d’imperfezione nella gloria terrena il variar cento foggie, il mascherarsi di cento forme, Vertunno di fantasie, Proteo di capricci, ο ingannevoli, ο ingannati” (SD II 130). Ma anche il tempo, signore dell’esistenza umana, assume nella lirica barocca le sembianze di Proteo: “Car le temps nous abuse en forme d’un Prothée” (La Roque, R I 41); è “un Prothée estrange” (Favre, R I 39). All’instabilità sincronica si somma quella diacronica. Nel tempo e nello spazio linee di forza opposte lacerano la realtà, la piegano ad apparenze inaspettate, la forzano a significazioni inedite. La decezione è legge del mondo; la vita è “un’eterna antitesi; si presenta sotto un aspetto, ma basta guardare meglio e quell’aspetto svanisce e ne compare l’opposto”. La coexistentia oppositorum rode le cose nel loro intimo; sono antagonismi irrisolti, impulsi divergenti che non si annullano a vicenda.»

(Claudio Sensi, Gli emblemi dell’inconsistenza, p. 205)

 

Che cos’è e cosa ci affascina della fantasia?
È una domanda che, sicuramente, ha a che fare con la psicologia. Eppure, come sua prerogativa contro ogni razionalizzazione – sia essa oppositiva o esplorativa – la fantasia pare sfuggire a ogni sua limitazione, svincolandosi dalle definizioni e dai tentativi di tratteggiare una linea di demarcazione tra ciò che fantasia è e ciò che fantasia non è. Fantasia è, di fatto, interpretazione? Fantasia è visione? Fantasia è Follia? Come dice Claudio Sensi (Cfr. supra) «nel tempo e nello spazio linee di forza opposte lacerano la realtà, la piegano ad apparenze inaspettate, la forzano a significazioni inedite». La fantasia è forse il/un metodo di fronteggiare la suddetta – e ineluttabile – coexistentia oppositorum?

“Fantasia” e “immaginazione”: l’etimologia e la differenza.
Nel linguaggio comune, siamo spesso abituati a utilizzare queste due parole come fossero sinonimi. Nondimeno, non lo sono necessariamente. Seguendo Jean-Pierre Cléro (2014), phantasia rappresenta la potenza creativa dell’immagine, mentre imaginatio si configura come la riproduzione di immagini – imago, per l’appunto, che letteralmente indica materiale da rappresentazione (Cassin, 2014). La questione tra “fantasia” e “immaginazione” si può pertanto in una certa misura ricondurre alla tensione tra produzione e riproduzione (Ibid.), tra creatività e mimetismo, tra intelligenza e cultura. Non banale è dunque anche tutto il portato che questa tensione trascina con sé: un’istanza rappresentativa che non si riduce all’immagine, quindi, ma che ripercorre la sua genesi e, pertanto, ha che fare con la VERA origine di essa. La susseguente indagine archeologica, che affonda le proprie radici nella comprensione delle origini, è spesso destinata a concludersi senza avere una risposta. Anche in questo caso, è nata prima la fantasia o l’immagine? Quale delle due è figlia dell’altra? Noi immaginiamo perché abbiamo fantasia, o fantastichiamo perché vediamo immagini?
In un certo senso, andare a comprendere la differenza tra immaginazione e fantasia significa esplorare quella terra incognita in cui si colloca la forza creatrice dell’invenzione umana: il processo fantastico è – a tutti gli effetti – un processo iconoclastico di smantellamento di ciò che già c’è, per lasciare spazio a ciò che “potrebbe essere” ma (per antonomasia) “non è”. Forse è proprio qui che si inserisce quel paradigma di fronteggiamento dell’Alterità, del mondo esterno percepito come ricco di contraddizioni e di coesistenza di opposti: è il dualismo con cui si tende a ridurre la realtà del mondo circostante, quella tenace e inespugnabile resistenza alla complessità che, tuttavia, perdura e caratterizza euristicamente il rapporto con l’Esteriorità. La fantasia supera questo doppio percorso quasi obbligato, creando una terza, quarta, quinta, ennesima via in questa condizione di (perlomeno apparente) tertium non datur. La fantasia ha anche un’altra prerogativa: è trasversale e universale. Non esiste essere umano che non abbia fantasia. Che sia estesa e fervida, oppure solida e razionale; che sia tesa verso l’interiorità o verso l’esteriorità; che sia di pura invenzione “magica” o con finalità creative, ognuno di noi ha una fantasia che si radica ed estende i propri rami nei giardini del nostro mondo Interiore.
Ecco, quindi, come nella fantasia si possa in qualche modo collocare quella dimensione di rifugio dal riduzionismo, che progressivamente e pervasivamente appare come la via preferenziale di fronteggiamento della complessità del Mondo – e che sempre più fa capolino e con cui sempre più è necessario imparare a fare i conti. Poeti e scrittori, versi e prosa; altro non sono che rappresentazioni e testimonianze della floridezza della fantasia e dell’immaginazione nella storia dell’umanità – se non, forse, la massima espressione di ciò che è propriamente umano e non riducibile a fenomeni puramente biologistici e meccanici.

Fantasia tra proiezione e prospettiva.
Dopo questa riflessione iniziale, vorrei cercare di aggiungere gli altri due vertici di questo quadrato teorico che desidero disegnare. La questione della fantasia, difatti, ha credo a che fare con almeno due ulteriori temi decisamente cari, soprattutto a un certo approccio epistemologico della psicologia, ma anche dell’umano generico che quotidianamente esercita la prerogativa della fantasia/immaginazione: il tema della proiezione e il tema della prospettiva. Quello che cambia in questi due termini, come forse potrebbe parallelamente cambiare nel rapporto “fantasia” e “immaginazione”, è il punto di vista da cui si dipana l’immagine.
Ragionando da un punto di vista puramente etimologico, proiezione deriva dal latino pro iactare, “gettare avanti” (Devoto, 1968). In questo modo, è istintivo supporre come si possa interpretare quanto l’Io nel qui possa creare un’astrazione che si realizza in un là ipotetico, irreale, incorporeo. L’immagine allora parte dal Sé per rivestire un s/oggetto che può essere, come non essere, il Sé. La fonte di senso – ciò che dà origine all’immagine – non è l’Esteriorità, bensì un fulcro di Interiorità che esercita la significazione in maniera centripeta. Ecco perché trovo interessanti similitudini con il tema della fantasia: non a caso, fantasia (phantasia) deriva da phantázō, “faccio apparire”, e da phaínō, “presento alla vista”.
La prospettiva, viceversa, in questo specifico contesto la considero sostanzialmente un radicale cambio del punto di osservazione: come se la fonte di significato fosse in un là esterno e distante, mentre noi, nella posizione in cui ci troviamo, creiamo un astratto che si trova solo dentro di noi e dipende dalla nostra astrazione e osservazione. In questo senso, noi non siamo più “fonte” dell’immagine, ma la riceviamo dall’ambiente – e, diversamente dalla proiezione/fantasia, la direttrice della significazione nella prospettiva/immaginazione è indubbiamente centrifuga. Non v’è dubbio, tuttavia, che l’accezione che decidiamo di dare a questa immagine non è univoca e non è detto che sia sensata. Per questa precisa ragione, il tema della prospettiva ha a che fare non poco con quello della immaginazione. Non per nulla, prospicĕre in latino sta a significare “guardare innanzi”, e prospectivus “che permette di vedere fuori” (Devoto, 1968). E cosa mai guarderemo fuori, se non ciò che è “materiale da rappresentazione” – l’imago, per l’appunto.
In maniera forse provocatoria mi verrebbe anche da dire che, considerandolo a livello clinico, è proprio quando queste due dimensioni di proiezione e prospettiva si invertono e confondono che sorge il delirio. Ovverosia, quando punto di osservazione, soggetto osservato, origine dell’immagine e osservatore tendono a intersecarsi e sovrapporsi, alterando le spazialità tra loro e perdendo il contatto con la realtà. Difatti, il de/lirare, l’“uscire dal solco”, in un certo senso ricopre sia il ruolo di punto di osservazione (spazio), ma anche di uscita dal tragitto preimpostato – in completa inottemperanza della sua propria cronologia e della sua propria collocazione (tempo). E forse proprio questo uscire dal naturale scorrere del tempo e dello spazio è ciò che spaventa più della Follia: la perdita di leggi “fisiche” certe nella realtà mentale, che in coloro che invece le condividono come capisaldi della oggettività realista appaiono incontrovertibili e assoluti. In questo senso, la fantasia è una straordinariamente consapevole immersione in quella innegabile Follia presente in ciascuno, che peraltro è – non a caso – strenuamente avversata dai sostenitori della normalità e della logica binaria e scettica.
Questa, ovviamente, è solo una mia interpretazione, una “visione” appunto, che come tale non è univoca, bensì molteplice fra le molteplici. Per citare le parole di Diego Poli (2011)1, che a sua volta cita Turgot, «l’etimologia è una ipotesi che acquisisce carattere di credibilità (de vérité et de certitude) attraverso la comparazione (comparaison) fra fatti noti». In un certo senso, è l’etimologia che ispira questa mia interpretazione, ed essa non è altro che fantasiosa speculazione fintantoché altri non concorderanno o discorderanno: la relazione fra significante e significato, fra derivato e primitivo, si struttura e solidifica in relazione a quanto il processo di speculazione viene in qualche modo sostanziato e corroborato genealogicamente. In ciò, «viene in tal modo a essere tecnicamente isolata la indeterminatezza della veridicità, ricostruendo nella diacronia il prodotto come una inventio cui si è pervenuti, mostrando la capacità, quindi, di “disvelare” l’occulto per acquisire un impianto agnitivo (Vallini 1994: 100-101)» (Ibid.).

Il vero e il falso: il tema delle fake news.
Dopo questa veloce disamina, più speculativa che altro, è però importante tenere a mente che questi fenomeni hanno a che fare con la nostra quotidianità nonostante crediamo che la “vita vera” sia dominata dalla razionalità e dalla logica. Ad esempio, potremmo considerare che oramai lo sviluppo di eventi politici di portata (e non solo) è sostanzialmente e inesorabilmente influenzato da persone che sfruttano questo quadrinomio per stimolare diverse reazioni negli individui. Tramite proiezioni irreali, stimolano risposte immaginative assolutamente non aderenti alla realtà, modificando la prospettiva delle persone, le quali sviluppano a loro volta fantasie sulla persona o sugli eventi che non rispecchiano affatto lo stato delle cose. Le ormai famose fake news. Ciascuno può pensare all’esempio che preferisce: dai recenti avvenimenti in USA fino alle religioni estremiste, dal negazionismo storico a quello scientifico – si ha solo l’imbarazzo della scelta.
Chiaramente, queste tematiche hanno a che fare con la questione del vero e del falso. Tuttavia, non sempre è semplice comprenderne i confini: come la cibernetica, l’antropologia e la psicologia sociale insegnano, ciò che crediamo e ciò che consideriamo autentico, nonché il nostro pensiero stesso, è fortemente radicato in quello che siamo in grado di osservare e interpretare. E proprio all’interno di questi due termini così (ab)usati si racchiude spesso l’intera complessità delle dinamiche ipotizzate sopra. Fantasia e immaginazione pervadono fenomenologicamente la realtà circostante, contribuendo con le loro sfumature a significare il Mondo Esterno, in una dinamica di interferenza tra Interno ed Esterno – senza andare a scomodare troppo il “processo primario” di Freud e i suoi elementi (Cfr. Dizionario Enciclopedico Interregionale di Psicoanalisi dell’IPA).
Qui il tema è forse proprio quello dell’inganno e dell’autoinganno, che in una qualche misura passa attraverso a processi innegabili attraverso cui funzioniamo e che (o forse proprio per questa negazione paradossale) ci impediscono di riconoscere queste dimensioni. Come sottolineato anche da Giulio Giorello nella Prefazione a La fine dell’onniscienza di Mauro Ceruti (2014)2, questa “indomita tendenza” esiste, c’è, e negarla entra a pieno titolo in quell’orientamento a «semplificare il mondo della vita per poter disporne a piacimento, che sembra trovarsi alla base della hybris cui Homo sapiens sottopone sia l’ambiente che i propri simili». Non solo, questa è una «tendenza a doppio taglio: gli insuccessi che fin troppo spesso emergono alla luce di tale “logica di dominio” non fanno altro che rafforzare una sfiducia nell’impresa tecnico-scientifica e una stanchezza della politica di fronte a una sconcertante complessità del reale rispetto cui Homo faber si sente disarmato e impotente» (Ibid.). Nonostante l’evidenza della pericolosità o quantomeno della delicatezza con cui la nuova tecnologia dovrebbe entrare nei rapporti socio-politici contemporanei, la problematicità è volutamente ignorata a fini strumentali. Chissà cosa porterà tale negligenza, con il continuo svilupparsi di nuove risorse tecnologiche – non ultime la deepfake e la AI, con tutte le loro prerogative.
Come sempre, in ogni momento storico coevo e non, «ai posteri l’ardua sentenza».

Bibliografia

Cassin, B. (a cura di) (2014). Dictionary of the Untranslatables. Princeton University Press, New Jersey.
Ceruti, M. (2014). La fine dell’onniscienza. Ed. STUDIUM, Roma.
Devoto, G. (1968). Dizionario etimologico. Avviamento alla etimologia italiana. Le Monnier, Firenze.
Dizionario Enciclopedico Interregionale di Psicoanalisi dell’IPA.
Sensi, C. (1982). Gli emblemi dell’inconsistenza e l’«arcimondo» della fantasia. In AAVV. Lettere Italiane, APRILE-GIUGNO. 34(2), Leo Olshki.
Poli, D. (2011). Dall’ovvietà alla congetturalità: le strategie etimologiche come percorsi cognitivi del latino. In Manco, A., Silvestri, D. L’etimologia. Atti del XXXV Convegno della Società Italiana di Glottologia (Napoli, 21-23 ottobre 2010). Il Calamo (Biblioteca della S.I.G. 33), Roma.

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Note:

1) L’etimologia. Atti del XXXV Convegno della Società Italiana di Glottologia (Napoli, 21-23 ottobre 2010). Testi raccolti a cura di Alberto Manco e Domenico Silvestri, Roma, Il Calamo (Biblioteca della S.I.G. 33), 2011.
2) Giorello G., Pluriverso ed Europa. Alcune osservazioni sul cammino intellettuale di Mauro Ceruti. In Ceruti M., La fine dell’onniscienza.

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Immagine di copertina:
Alex Garland, Ex Machina, 2014