[Questo breve testo era apparso nel primo Ibridamenti al tempo della pubblicazione, a cura di Mario Galzigna, dell’ultimo corso al Collège de France di Michel Foucault, “Il coraggio della verità”. L’articolo è successivamente apparso in “Formazione & Insegnamento” vol. 10, 1 2012, pp. 251-53.
Sono passati dieci anni, lo ripropongo come omaggio a Mario, che nel tempo, con la sua frequentazione e col suo lavoro teorico, mi ha guidato nell’approfondimento delle questioni poste dall’opera di Foucault, e non solo.]

Che cos’è dunque la verità? Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e vincolanti: le verità sono illusioni di cui si è dimenticata la natura illusoria, sono metafore che si sono logorate e hanno perduto ogni forza sensibile, sono monete la cui immagine si è consumata e che vengono prese in considerazione soltanto come metallo, non più come monete (F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale). 1

«Quant au problème de la fiction, il est pour moi un problème très important; je me rends bien compte que je n’ai jamais rien écrit que des fictions. Je ne veux pas dire pour autant que cela soit hors vérité. Il me semble qu’il y a possibilité de faire travailler la fiction dans la vérité, d’induire des effets de vérité avec un discours de fiction, et de faire en sorte que le discours de vérité suscite, fabrique quelque chose qui n’existe pas encore, donc «fictionne». On «fictionne» de l’histoire à partir d’une réalité politique qui la rend vraie, on «fictionne» une politique qui n’existe pas encore à partir d’une vérité historique» (M. Foucault, Les rapports de pouvoir passent à l’intérieur des corps, intervista a Luciette Finas).

Il coraggio della verità, ultimo corso al Collège de France di Michel Foucault, di prossima pubblicazione in Italia a cura di Mario Galzigna [la prima edizione dell’opera a cura di Mario Galzigna è stata pubblicata da Feltrinelli nel 2011, ndr] è un testo limite, sia in termini biografici, si conclude tre mesi prima della morte dell’autore, sia tematici, in quanto confronto con la questione del dire vero, della parresia. In qualche modo porta i caratteri estremi della satira menippea descritta da Michail Bachtin, dialogo sull’ultima soglia, confronto con le questioni fondamentali che prende la forma, già utilizzata nel secondo e nel terzo volume della Storia della sessualità (che verranno pubblicati in quello stesso anno), del dialogo con il pensiero antico. La nostra lettura si limiterà al confronto con il pensiero cinico, che sostanzia la parte forse più suggestiva del corso.
Georg Simmel, nella Filosofia del denaro, distingue il pensiero cinico antico dal cinismo moderno, 2 questo è la semplice svalutazione del mondo, mentre per la scuola socratica minore, Antistene, Cratete e soprattutto Diogene, la svalorizzazione del mondo è affermazione del valore del soggetto individuale. Essendo il discorso dell’ultimo Foucault centrato sulla costituzione del soggetto individuale, il pensiero cinico si presenta come iperbole, formulazione estrema di ciò che era oggetto della ricerca foucaultiana.

Il discorso sui cinici segue l’individuazione in Platone dei quattro caratteri della verità: senza dissimulazione, senza commistioni, retta, immutabile, e per individuare i caratteri dell’alēthēs bios, della vita veridica, nella formulazione cinica muove dall’aneddotica di Diogene Laerzio su Diogene:
«All’inizio della vita di Diogene raccontata da Diogene Laerzio, si trovano una serie d’episodi o di allusioni importanti. In primo luogo c’è l’allusione al fatto che Diogene era figlio di un cambiavalute, di un banchiere, qualcuno che doveva maneggiare le monete e scambiarle le une con le altre. Vi è inoltre il riferimento al fatto che fu a causa di una malversazione – in verità, al maneggio di moneta falsa – che Diogene o suo padre erano stati esiliati da Sinope, di cui erano originari e in cui vivevano. Terzo riferimento, infine, a questo problema della moneta, è Diogene, esiliato da Sinope, che si reca a Delfi, e che chiede al dio, ad Apollo, un consiglio e un responso. E il consiglio di Apollo fu di falsificare la moneta, o di cambiare il suo valore» (CV, lezione del 7 marzo 1984 seconda ora).

Foucault ricorda come la tradizione cinica abbia rimarcato la simmetria tra il responso dell’oracolo di Delfi a Socrate, conosci te stesso, e quello a Diogene, falsificare la moneta, e come quest’ultimo non significhi in negativo svalorizzare, ma al contrario trasformare l’effige impressa per ristabilirne il vero valore. Più che una presa di distanza cinica dal tema della vita veridica, una sua torsione carnevalesca (trasvalutazione di tutti i valori, per riprendere Nietzsche dalla citazione di apertura). Il cinismo manifesta ad un tempo una doppia faccia, per un verso è sintesi del discorso filosofico, per l’altro è il suo rovesciamento in ghigno, trasposizione in scandalo del vero. Una forma specifica del coraggio della verità che già dal corso dell’anno precedente Foucault stava mappando.

«Con il cinismo, abbiamo una terza forma di coraggio della verità, distinta dal valore politico, e distinta anche dall’ironia socratica. Il coraggio cinico della verità consiste in questo che lo si arrivi a fare condannare, rigettare, disprezzare, insultare dagli uomini la manifestazione stessa di quello che loro ammettono, o pretendono ammettere a livello di principi. Si tratta di affrontare la loro collera dando loro l’immagine di quello che, contemporaneamente, ammettono e valorizzano nel pensiero, e rigettano e disprezzano nella vita stessa. È questo lo scandalo cinico» (CV, 14/3 prima ora).

La parresia, il dire vero che ricorre come tema portante in tutta la filosofia greca, trova nei cinici una declinazione specifica, si manifesta e testimonia di sé nella pratica di vita: “il cinismo, è la forma di filosofia che non smette di porre la domanda: quale può essere la forma di vita che sia tale da praticare il dire-il-vero?” (CV 14/3 p.o.).

In questa trasfigurazione dei precetti filosofici condivisi gioca un ruolo decisivo il monito dell’oracolo, parakharattein to nomisma, falsificare la moneta, avendo chiaro che “nomisma è sì la moneta, ma è anche nomos: la legge, il costume”, la vita cinica è scandalo, è vita altra. Foucault individua due temi socratici che hanno segnato lo sviluppo e i limiti della filosofia occidentale, quello dell’altro mondo, che attraverso Platone, l’ellenismo e il cristianesimo ha segnato la storia della metafisica occidentale e quello della vita altra, la vita filosofica, ripresa dai cinici ma progressivamente marginalizzata dal discorso filosofico, e che riaffiora in pochi autori successivi, come Montaigne o Spinoza.

Foucault analizza quindi le forme che i quattro principi della vita vera vengono ad assumere nel pensiero e nella pratica di vita altra dei cinici. Il tema della vita non dissimulata viene spinto al limite, drammatizzato dai cinici, sotto la forma di una vita spudorata, quello della vita senza commistioni, dipendenze, bastante a sé stessa, viene messo in atto attraverso la pratica della povertà, la spogliazione volontaria, la mendicità e il disonore. Relativamente al tema della vita diritta, conforme alla natura, alla ragione e al nomos, prende nei cinici la forma della vita naturale, fuori dalle convenzioni sociali fino alla pratica dell’animalità, in cui si ricompone tutta la valenza semantica della caninità cinica. Il tema della vita sovrana infine raccoglie in sé il senso complessivo del ribaltamento cinico, del passaggio al limite. Il cinico è la sovranità in sé, come nel celebre racconto dell’incontro di Diogene con Alessandro. Il carattere dominante del cinismo antico individuato, come detto, da Simmel nella svalorizzazione del mondo per affermare la soggettività individuale, trova qui la sua più tipica espressione.

«… si potrebbe affermare quanto segue. Attraverso i diversi temi già evocati, abbiamo visto che i cinici avevano rovesciato l’idea della vita dissimulata drammatizzandola nella pratica della nudità e della impudicizia. Avevano rovesciato il tema della vita indipendente drammatizzandola nella forma della povertà. Avevano rovesciato il tema della vita diritta nella forma dell’animalità. Si può dire che rovesciano e invertono questo tema della vita sovrana (vita tranquilla e benefica: tranquilla per sé stessi, che gioisce di se stessa e benefica per gli altri) drammatizzandola nella forma di ciò che si potrebbe chiamare la vita militante, la vita del combattimento e della lotta contro sé su di sé, contro gli altri e per gli altri» (CV, 21/3 p.o.).

Questo carattere specifico della sovranità cinica, la militanza del vero permette di concludere con alcune piccole considerazioni sul valore dell’analisi del discorso cinico sulla verità all’interno della ricerca foucaultiana sulla soggettività. Individua una matrice antagonista, una linea di fuga, un punto di resistenza al potere, forma iperbolica dell’affermazione della priorità del soggetto sul dispositivo e le sue gerarchie. Traspare dalla trattazione di Foucault una sintonia e una simpatia evidente per la vita vera cinica, una modalità esemplare del pensare altrimenti, principio etico che altrove aveva individuato come motore etico della propria ricerca.

Nel momento conclusivo del proprio itinerario teorico, Foucault ci consegna come ultimo monito l’invito a falsificare la moneta, per restituirla a un’effige in cui ci si possa finalmente riconoscere.

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Note:

1) Friedrich Nietzsche, Opere, volume III, tomo II, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci e scritti dal 1870 al 1873, Milano, Adelphi, 1973.

2) La stessa partizione viene ripresa da Peter Sloterdijk come fondamento delle analisi di un testo straordinario come la Critica della ragione cinica, Milano, Garzanti, 1992.

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Immagine di copertina:
Gérard Fromanger, Michel (Portrait de Michel Foucault), 1976 (particolare)