Il libro Michel Foucault: 40 anni e poi?, curato da Pietro Barbetta, Giovanni Maria Mascaretti e Lorenzo Petrachi, mostra che il pensiero di Michel Foucault può essere utilizzato in modo originale per aprire possibilità insperate nei più vari campi della pratica e della teoria, con un approccio consapevole delle infinite e mutevoli dimensioni del potere ma anche attento al fatto che «c’è sempre qualcosa che possiamo fare»1 – una forma di «attivismo pessimista»2 che mira a rendere visibili e intollerabili le forme di fascismo non riconosciute che si insinuano anche dentro la pratica militante3 – contribuendo a definire nuove modalità e opportunità di lotta. Le possibilità emergono continuamente attraverso le contro-condotte concrete opposte ai dispositivi di potere-sapere4 che pervadono la quotidianità; il loro effetto è rintracciabile negli esercizi di «eto-poiesi spirituale»5 come nelle pratiche queer,6 nelle riflessioni critiche intorno ai saperi e alle discipline psicoterapeutiche7 come nelle soggettivazioni che mettono in questione il tema della razza.8 Il metodo di Foucault consente di «separare, dalla contingenza che ci ha fatto essere ciò che siamo, la possibilità di non essere più, di non fare più o di non pensare più quello che siamo, facciamo o pensiamo».9 Rintracciando le resistenze del passato, la genealogia di Foucault mette in discussione l’aspetto di necessità con cui il presente impatta sulla coscienza: la sua postura può essere declinata in una «cassetta degli attrezzi»10 ma soprattutto costituire «un’attitudine, uno slancio, un approccio»11 metodologico aperto e non dogmatico, che invita a porre domande e a rimettere in discussione le certezze; questo permette di moltiplicare i suoi usi «oltre e forse contro la lettera foucaultiana».12 Foucault, infatti, rifiutava l’idea di una teoria che prescrivesse cosa fare, preferendo porre problemi concreti che incidessero sul regime delle pratiche sociali: il suo è un orientamento intrinsecamente non-normativo ma la sua interrogazione, come scrive Daniele Lorenzini nel contributo intitolato Foucault e la genealogia possibilizzante, ha capacità di «rendere possibile la futura formazione di un noi» politico, un noi che possa anche dar vita a una comunità d’azione.13 Come mostrano i sedici capitoli presenti in questo libro, la pubblicazione di opere postume (corsi al Collège de France, testi inediti) ha ampliato enormemente il corpus foucaultiano, alimentando nuove linee di ricerca e mostrando le possibilità e i campi di applicazione di un dispositivo che continua a funzionare come motore della critica: la sociologia storica della globalizzazione,14 la traiettoria del Marocco contemporaneo,15 la gerarchizzazione nelle relazioni affettive, l’autismo, solo per citare alcuni esempi. Il pensiero di Foucault, che rilegge la soggettività e il potere in chiave non essenzialista, è «vivo e proliferante ai margini e soprattutto fuori dalle università, nei movimenti, negli spazi sociali, nel linguaggio stesso delle contestazioni»16 e ha influenzato significativamente l’attivismo proto-transfemminista queer in Italia, fornendo strumenti sull’analisi della soggettività, percorsi di resistenza contro i dispositivi della sessualità e la possibilità di osservare criticamente le tecnologie del genere: la ricerca delle tracce lasciate dal suo pensiero nelle rivendicazioni che hanno scosso gli ultimi decenni non smette di alludere alle infinite possibilità future.17

Nell’introduzione del volume, riccamente documentata, Petrachi e Mascaretti offrono un esempio prezioso di come il metodo genealogico possa essere applicato alla ricezione italiana di Foucault: nella tensione tra i movimenti extraparlamentari e le posizioni ufficiali del Partito Comunista Italiano si gioca lo spazio entro cui la proposta di Foucault viene usata (o rifiutata) come strumento di critica e di azione durante il lungo Sessantotto. La ricezione di alcune delle opere principali di Foucault è stata precoce (già nel 1963 uscì l’edizione italiana di Folie et déraison e tra il 1967 e il 1970 Les Mots et les Choses ricevette attenzione in ambito accademico e letterario): nuovi modelli intellettuali alternativi allo storicismo gramsciano e crociano interessavano una parte della cultura filosofica e letteraria (vengono citati, tra gli altri, Gianni Celati, Enzo Melandri e Franco Fortini); il movimento di critica alla psichiatria trovò utili puntelli nell’elaborazione archeologica del 1961. Tra il 1976 e il 1977 erano disponibili traduzioni di opere cruciali come L’archeologia del sapere, L’ordine del discorso, Pierre Rivière e Sorvegliare e punire; quest’ultimo testo, pubblicato nel 1976, si congiunse rapidamente con le lotte per la riforma delle prigioni tramite le pagine della rivista «La questione criminale». La pubblicazione di Microfisica del potere nel 1977 fu un evento particolarmente rilevante: curato da Alessandro Fontana e Pasquale Pasquino, due giovani filosofi che seguivano i corsi di Foucault al Collège de France, fu l’unico libro che Foucault acconsentì a pubblicare direttamente in una lingua straniera; composto da alcuni dei testi più politicamente radicali scritti da Foucault negli anni Settanta, il volume ebbe un notevole riscontro e divenne uno dei riferimenti centrali degli ambienti extraparlamentari; le diverse correnti dell’estrema sinistra italiana trovarono nei lavori foucaultiani un’importante alternativa teorica e politica, interpretando il suo pensiero in base alle proprie esigenze e tradizioni (marxista-leninista, anarchica, libertaria, spontaneista). Tuttavia l’analitica foucaultiana che «tagliava la testa al re per diffondere attraverso tutto il corpo sociale rapporti di potere e possibilità di resistenza»18 così come «la dissoluzione simmetrica del “Potere con la P maiuscola” […] e di un soggetto di lotta completamente unificato dietro al partito, era sufficiente per attribuire a Foucault una grande inconseguenza politica, se non addirittura un anarchismo colpevole»19 da parte del mondo intellettuale italiano legato al PCI o che, dopo una fase di passaggio attraverso i movimenti, scelse di rientrarvi «preferendo Carl Schmitt a Michel Foucault».20 Il riferimento ai lavori foucaultiani, in particolare a Microfisica del potere, finì per collocarsi dalla parte di un’area violentemente opposta al PCI (che nel frattempo era impegnato nella costruzione del compromesso storico): qui incrociò gli sviluppi dell’operaismo italiano, che vedeva potere e produzione confrontarsi e confondersi, e che andava sviluppando il marxismo in termini di produzione di soggettività. Riconoscimento del potere diffuso (e quindi delle possibilità di resistenza) e dissoluzione della gerarchizzazione delle lotte (e quindi del ruolo del Partito Comunista Italiano) bastavano per accomunare Foucault all’irrazionalismo che veniva imputato alle compagini più radicali della sinistra extraparlamentare come Autonomia Operaia e Brigate Rosse. Come riassume Assennato, citato dagli autori, «dietro Foucault è la storia irrisolta tra movimenti e partiti della sinistra italiana che si agita».21
Per quanto, come riconoscono gli autori, la convergenza tra Foucault e il movimento italiano di critica alla psichiatria sia stata solo «parziale»,22 la possibilità di tornare oggi a interrogare i saperi psy con una postura foucaltiana costituisce una delle vie maestre per la riattivazione della prassi e della teoria anti-istituzionale; tre dei saggi contenuti nel libro indicano altrettante possibili direzioni. In primo luogo Orazio Irrera, nel saggio Il governo dell’involontario e la volontà di non essere governati, indaga lo statuto concettuale e la portata politica della nozione di volontà nel pensiero di Foucault: al centro della problematica del soggetto moderno, legata all’emergere di un dispositivo medico-giudiziario integrato e alla patologizzazione del soggetto criminale, la nozione di volontà ha fornito il campo di applicazione delle grandi tecnologie del XX secolo: la psichiatria, la psicanalisi e la genetica. Il rifiuto della sottomissione all’involontario imposto, la sperimentazione di nuove relazioni con sé stessi e con gli altri, la riconsiderazione dell’imputabilità e della responsabilità come questioni politiche condivise sono alcune delle proposte su cui l’autore si concentra per scardinare il “dispositivo libidinale” che – da Sant’Agostino a Freud – tiene insieme il governo e il soggetto moderno nelle tecniche di direzione e correzione delle condotte. Pietro Barbetta, nel saggio Foucault quarant’anni dopo – una storia intima, si concentra sulle implicazioni che la genealogia foucaultiana del soggetto apre nel campo delle psicoterapie. Le sue riflessioni sulla “cura di sé” offrono un’alternativa agli approcci psicologici e psicoanalitici dominanti, che consentono un ripensamento dell’io come soggetto collettivo. Tale soggettività che trascende il singolo è «l’inconscio sociale, l’inconscio del Mondo, lo stesso inconscio sempre al lavoro» che altri autori (Barbetta cita tra gli altri Deleuze, Guattari, Blanchot) hanno contribuito a disvelare. La terapia diviene così «uno spazio dove una piccola parte della psicoterapia e della psicoanalisi, sfugge dal supposto “approccio scientifico” e può diventare opera d’arte del contemporaneo»; la «ricostruzione positiva della vita e della sessualità» si ricollega all’uso dei piaceri e quindi diviene la base per un approccio attivo e costruttivo nel modellare la propria esistenza. Per quanto Barbetta abbia sperimentato la complessità di questa epistemologia nella sua esperienza personale, svolgendo la pratica sistemica, non nega che l’approccio qui delineato possa necessitare di «un altro tipo di pratica da inventare nel futuro», un metodo che si allontana dalle categorizzazioni rigide e dalle finalità repressive, per abbracciare la possibilità di una soggettività plurale, relazionale e creativamente impegnata nella costruzione di nuove forme di vita e di cura. Oggi, mentre vari approcci psicoterapeutici si pongono in competizione critica con l’egemonia psichiatrica (soprattutto per i suoi effetti iatrogeni e per la sua tendenza all’etichettamento), questo contributo è necessario per ricordare l’insufficienza di qualsiasi approccio psy che non abbracci una visione complessa e politica della soggettività.
Enrico Valtellina, nel suo contributo per questo volume, fa una sintesi delle più importanti innovazioni portate negli ultimi anni dai Critical Autism Studies – che si innescano nella tradizione dei Disability Studies – e rintraccia l’importanza perdurante del pensiero di Foucault nella elaborazione proveniente da questi ambiti. La trattazione dell’autismo svolta da Valtellina (che è il principale responsabile della penetrazione di questi orientamenti in Italia) è un esempio fulgido di analisi foucaultiana. Il suo approccio, mediato dal lavoro di Ian Hacking (epistemologo canadese i cui studi sulla psichiatria sono fondamentali ma poco utilizzati in Italia), permette di esplorare come l’autismo sia stato storicamente costruito: questa operazione consente di cogliere insieme sia gli aspetti attraverso cui si sono definiti i contenuti medici della diagnosi sia la sua evoluzione come categoria burocratica modellata dalle moderne istituzioni del potere psichiatrico (con i livelli come sue gerarchie interne). Hacking ripercorre la storia medica del termine, dalla sua invenzione da parte di Bleuler come sintomo schizofrenico alla sua identificazione come condizione specifica da parte di Kanner e Asperger nel 1943: lungo questo passaggio la categoria di autismo ha contribuito a “plasmare le persone” che ne divenivano oggetto; la radice biomedica di questo processo resta oggi visibile nel prefisso “neuro-” nell’attivismo autistico (che – attraverso i concetti di neurodiversità e neurodivergenza ha proposto una forma di soggettivazione radicalmente alternativa a quella imposta dal modello medico).
Le analisi di Foucault sul potere, la normalizzazione e la soggettivazione sono cruciali per l’analisi critica di ogni condizione di oggettività dai saperi psy: il processo di normalizzazione, che impone la definizione di norme misurabili e quantitative, comincia con la “clinicizzazione”, distinguendo il normale dal patologico; l’idea dell’uomo medio, introdotta da Adolphe Quetelet nel 1840, segna l’epoca in cui le caratteristiche umane iniziarono a essere considerate con una ripartizione gaussiana e in questo contesto si svilupparono i processi di medicalizzazione, biologizzazione e normalizzazione. I corsi di Foucault al Collège de France (1973-1975) mostrano come l’emergere dell’autismo abbia contribuito al passaggio dall’alienistica alla psichiatria, collegando l’interesse di Foucault per i tipi devianti (come Pierre Rivière) alla riflessione più ampia sull’anormalità. Foucault analizza figure come l'”idiota” o il “bambino ritardato” nei suoi corsi, mostrando come la psichiatrizzazione dell’infanzia sia avvenuta attraverso la figura del bambino non folle, aprendo alla generalizzazione del potere psichiatrico. L’applicazione del metodo storico-genealogico di Foucault porta a interrogarsi su “cosa ne fosse dell’autismo prima dell’autismo”, ovvero come fossero percepite e gestite le forme di non conformità che sarebbero poi state etichettate con il significante autismo dopo il 1943; i Critical Autism Studies hanno individuato tracce di queste forme in diverse epoche, con nomi e modalità di relazione culturale differenti: Valtellina suggerisce quindi l’esistenza di collegamenti tra gli “ereditari degenerati” della psichiatria ottocentesca e gli autistici contemporanei, in una riflessione più generale sul rapporto tra le categorizzazione medico-psichiatriche e le condizioni di possibilità con i cui i soggetti etichettati sono legittimati a produrre discorso.
Il recupero e l’approfondimento di un approccio che si concentri sulla costruzione sociale e storica delle condizioni psichiatriche, piuttosto che su una loro presunta essenza biologica immutabile, risulta fondamentale per riattivare forme incisive di attivismo in questo campo. In definitiva questo libro restituisce un Foucault vivo, compagno delle lotte in corso e possibile alleato nell’attivismo da progettare e da realizzare. La sua ricerca continua ad essere uno stimolo per individuare gli “altri mezzi”23 che però questa volta servano a disattivare durevolmente la continuità intrinseca tra la politica e la guerra.
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1) Questa e la successiva citazione provengono dal saggio di Daniele Lorenzini intitolato Foucault e la genealogia possibilizzante che si trova nel volume; Lorenzini cita da M. Foucault, À propos de la généalogie de l’éthique: un aperçu du travail en cours, in Dits et écrits, vol. IV, cit., p. 386.
2) Lorenzini attribuisce a Foucault l’idea di un “iper-attivismo pessimista”, spiegando che Foucault stesso affermava: «non cerco di dire che tutto è nocivo, ma che tutto è pericoloso – e pericoloso non significa esattamente la stessa cosa di nocivo. Se tutto è pericoloso, allora c’è sempre qualcosa che possiamo fare». Questa citazione di Foucault proviene da “M. Foucault, À propos de la généalogie de l’éthique: un aperçu du travail en cours, in Dits et écrits, vol. IV, cit., p. 386.
3) Nel contributo di Giovanni Maria Mascaretti, intitolato Michel Foucault, pensatore della resistenza: un confronto con la teoria sociale di Theodor Adorno. Anche Renato Busarello, nel suo contributo Da Foucault al queer. Percorsi di soggettivazione politica, approfondisce queste dinamiche all’interno delle pratiche militanti, in particolare nel contesto dei movimenti queer italiani. Egli sottolinea come il pensiero di Foucault sia stato cruciale per «mettere in discussione proprio quel potere e quella violenza che circolavano (e circolano) nelle relazioni, anche tra di noi, nei collettivi, nella purezza dell’antagonismo, nella ricerca di una verità s/oggettiva di classe da contrapporre alla falsa coscienza indotta dal capitale».
4) Anche Orazio Irrera, nel suo contributo Il governo dell’involontario e la volontà di non essere governati, fa riferimento alle contro-condotte menzionate da Foucault nel corso Sicurezza, territorio, popolazione come contesto per la sua definizione di atteggiamento critico come “volontà di non essere governati così”; Foucault chiarisce che la sua intenzione era di esprimere una volontà condizionata: «non credo in effetti che la volontà di non essere governati affatto sia qualcosa di simile a un’aspirazione originaria. Ritengo piuttosto che la volontà di non essere governati sia sempre volontà di non essere governati così, in un certo modo, da questo o da quello, a un dato prezzo. Quanto alla formulazione di non essere governati affatto, mi sembra per taluni aspetti il parossismo filosofico e teorico di qualcosa che sarebbe la volontà di non essere governati relativamente. E quando alla fine dicevo “volontà decisoria di non essere governati”, allora era un mio errore, avrei dovuto specificare che si trattava di non essere governati così, in una maniera specifica. Non mi riferivo a una sorta di anarchismo fondamentale, a una libertà originaria assolutamente refrattaria a ogni governamentalizzazione».
5) Come scrive Giovanni Maria Mascaretti, si tratta delle «tecniche autoriflessive e volontarie destinate ad aiutare gli individui nella ricerca di una piena padronanza di sé attraverso una trasformazione del modo in cui si relazionano a sé stessi, agli altri e al mondo che li circonda». Il contributo di Arianna Sforzini chiarisce la dimensione politica della cosiddetta “fase etica” del filosofo.
6) Secondo Judith Butler l’obiettivo di Foucault «non è scoprire cosa siamo ma rifiutare ciò che siamo», possiamo quindi promuovere nuove forme di soggettività attraverso il rifiuto delle identità imposte; il rifiuto dell’identità imposta, la critica della confessione come auto-costituzione e le riflessioni sulla confessione come «enunciato performativo intrinsecamente ambivalente» possono essere messe in un proficuo e profondo dialogo con lo scritto di Giulia Russo sull’autodiagnosi contenuto in Politiche dell’autismo, a cura di Lorenzo Petrachi, Alberto Bartoccini e Giulia Russo.
7) Queste dimensioni sono analizzate nei saggi di Pietro Barbetta e di Jurandir Freire Costa.
8) Si veda il saggio di Ruby Faure intitolato Pensare la sessualità con la razza, seguendo Foucault: vite postume de La volonté de savoir.
9) Questa frase si trova nel contributo di Daniele Lorenzini, intitolato Foucault e la genealogia possibilizzante; Lorenzini cita M. Foucault, Qu’est-ce que les Lumières?, p. 574.
10) L’espressione è usata da Enrico Valtellina, che cita l’influenza del pensiero di Foucault sui Disability Studies, e da Renato Busarello, che nota l’importanza dell’analisi del dispositivo di sessualità per l’attivismo transfemminista.
11) L’espressione è usata da Paola Gandolfi, nel contesto dell’influenza di Foucault sulle ricerche storico-politiche e socio-antropologiche in società arabo-islamiche e africane sub-sahariane. Eleonora de Conciliis, nel suo contributo Una scintillante rêverie, esprime chiaramente il rischio di ridurre il pensiero di Foucault a una mera “cassetta degli attrezzi” riducendone la profondità filosofica.
12) L’espressione è usata da Giovanni Mascaretti e Lorenzo Petrachi nell’introduzione intitolata Vivere il foucaultismo altrimenti.
13) Lorenzini cita da M. Foucault, Polémique, politique et problématisations, in Dits et écrits, vol. IV, cit., p. 594.
14) Si veda il contributo di Jean-François Bayart, Foucault e la sociologia storica della globalizzazione.
15) Si veda il contributo di Béatrice Hibou e Mohamed Tozy, Riflettere con Foucault al di là della sua area culturale: il Marocco contemporaneo nella sua traiettoria storica.
16) Come scrivono Giovanni Mascaretti e Lorenzo Petrachi.
17) Sull’influsso di Foucault nell’attivismo e nella militanza queer si vedano i contributi di Renato Busarello e Federico Zappino.
18) L’espressione è nell’introduzione Vivere il foucaultismo altrimenti.
19) Gli autori dell’introduzione citano J.-F. Bert (cur.), La Volonté de savoir de Michel Foucault. Regards critiques 1976-1979, IMEC/PUC, Caen 2013, p. 283.
20) Petrachi e Mascaretti nell’introduzione. Valentina Antoniol ha dedicato al conflitto intimo tra Schmitt e Foucault un altro libro fondamentale uscito nel 2024.
21) Gli autori citano M. Assennato, Il dispositivo Foucault: Un seminario a Venezia, dentro al lungo Sessantotto italiano, «engramma» 156 (2018), pp. 119-140.
22) Come scrivono Petrachi e Mascaretti nell’introduzione. Per un approfondimento del rapporto tra Foucault e Basaglia si veda il libro di Pierangelo Di Vittorio del 2001.
23) La recensione di Augusto Illuminati a Foucault critico di Schmitt di Valentina Antoniol, disponibile su DinamoPress, si chiude evocativamente con la domanda su come avvenga la continuità tra la politica e la guerra – questione drammaticamente urgente.
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Immagine di copertina:
Michel Foucault in un ritratto di Thierry Ehrmann.



