3. I paradossi e la morte di Valmont
La nascita di Heteronymos, legata all’esplodere di questa contraddizione, ha prodotto una felice e positiva rottura dell’esperienza libertina: una riscoperta creativa dell’amore come energia sovversiva, come finestra aperta su noi stessi e sul mondo. Sulle pluralità che ci abitano e che lo abitano.
L’amore diventa finestra del mondo, così come l’occhio – lo scriveva Leonardo – “si dice finestra dell’anima”. L’occhio, per Leonardo, serve a “guardare” e a “comprendere”.
Questa visione-comprensione rende accessibili e decifrabili, in tutti i loro significati, la trama e le leggi del mondo, poiché dentro l’anima vive e abita il mondo. In questa prospettiva, la visione esprime la potenza dei nostri legami, dei “vincoli”, avrebbe detto Giordano Bruno, che ci legano agli altri e a tutto ciò che sta fuori di noi. Circa dieci anni prima di essere mandato al rogo – in Campo dei Fiori, a Roma, nel 1600 – il grande nolano aveva composto un’opera di magia naturale, De vinculis, scritta in latino e interamente dedicata al concetto di vincolo. Tra i vincoli, aveva scritto, il vincolo d’amore è quello fondamentale…
Il mondo dentro la mia mente, dunque. Il mondo nella mente della persona amata. Il corto circuito tra queste due menti mette necessariamente in primo piano l’alterità. Rende accessibile e allarga a dismisura lo spettro multicolore del visibile: dischiude lo spazio indefinito e senza limiti della diversità, della molteplicità, della trasformazione continua…
Tutto questo in felice contrasto con ogni visione mortifera che pretenda di vincolare il legame amoroso al conformismo coniugale e familista: alla sua vocazione normativa, al suo assetto immobile, ai suoi riti monotoni – sempre eguali, prevedibili – e ai suoi collaudati ordinamenti.
Heteronymos era dunque il nome assegnato a un mio nuovo equilibrio personale, costruito attorno all’influsso pervasivo e determinante della sovversione amorosa: concepita, lo si è già detto, come felice e positiva rottura di quell’esperienza libertina che aveva ostacolato ogni reale possibilità di abbandonare posture autistiche, misantropiche, autoreferenziali.
Rottura felice, perché rende possibile la scoperta di nuovi investimenti amorosi, intellettuali e politici.
Rottura positiva, perché si rivela capace di preservare almeno due aspetti propulsivi e creativi dell’esperienza precedente: da un lato la passione del molteplice – che prima, pur facilitando l’accesso all’altro, impediva a Valmont di mettersi realmente in gioco –, dall’altro lato l’attenzione ai dettagli e alle sfumature, che prima, pur alimentando la lucidità e le capacità empatiche, era solo strumentale alle strategie della conquista e dell’assoggettamento: era quindi limitata; incapace di spingere il libertino a scoprire, ad amare e a valorizzare, nelle pieghe dell’altro, le potenze dell’anelito libertario: il suo radicamento storico, la sua specificità politica, la sua ricchezza pulsionale.
La rottura dell’esperienza libertina l’avevo vissuta, in rete, sotto il segno di Valmont. Portatrice, certamente, di alcune continuità ma capace, al tempo stesso, di evitare due atteggiamenti patologici (tra loro strettamente interconnessi) molto diffusi nel popolo delle chat: anzitutto una particolare forma di dipendenza – i clinici la menzionano con l’acronimo IAD (Internet Addiction Disorder) – che viene considerata un vero e proprio disturbo psichico; in secondo luogo quella che può essere definita, fuori da ogni riduzionismo psichiatrico, una sorta di negazione psicotica del tempo.
Al fine di compiacere le donne incontrate – prima in rete poi, quando era possibile, fuori dalla rete – per lungo tempo mi ero abituato a mascherare la mia età anagrafica. A fronte della domanda rituale – “quanti anni hai? – modulavo la mia risposta sull’età dichiarata o presunta dell’interlocutrice. Dando per scontato un fatto assai noto a tutti i navigatori: tra gli ambiti consueti attorno ai quali proliferano con maggior frequenza, nelle chat, inganni e finzioni, troviamo anzitutto – oltre alle risibili e ben note menzogne relative all’aspetto fisico – l’età e il genere. Confusione generazionale e confusione di genere, dunque: da un lato due configurazioni canoniche, nella letteratura clinica, della struttura psichica perversa; dall’altro lato due tattiche frequentemente adottate, on line, per rendere più facili i giochi del raggiro e della seduzione. La tattica prediletta era quella connessa al mascheramento dell’età anagrafica. Mai quella legata ad inganni relativi al genere.
In ogni caso, le abitudini contratte nelle chat – durante nottate insonni spese in promettenti e crudeli conversazioni erotiche, in interazioni oniriche e deliranti – si erano gradualmente e progressivamente trasferite anche in alcune relazioni interpersonali che avevo sviluppato off line.
Bisogna dirlo. Questa notturna ed equivoca life on the screen, pericolosamente sospesa tra l’euforia e l’angoscia, ti fa sentire onnipotente: fantasie, pensieri e deliri assumono, come per incanto, i caratteri della realtà e della concretezza. Metti fuori da te, attribuendogli spessore e consistenza, ciò che sta dentro di te. Sei sempre attratto dall’illusione di riuscire a slittare a tuo piacimento tra il dentro e il fuori, di riuscire ad abbattere i confini che li separano, di riuscire ad attribuire al tuo io – trasformato in entità grandiosa e onnipotente – il potere di seguire un percorso sempre reversibile e mai definitivo; il potere di evitare ogni possibile deriva patologica e di prevenire ogni paralizzante dipendenza.
In chat ti sembra di vivere la singolare e perturbante illusione di un’eterna giovinezza, nel momento stesso in cui estrometti il tuo tempo storico dalla trama delle relazioni libertine.
Di più: un po’ alla volta percepisci te stesso come soggetto che in una certa misura vive fuori dal tempo. E in tale percezione, questo è certo, non sei mai solo. Nascondendo ogni tua coordinata anagrafica, finisci per acquisire – all’interno di percorsi seduttivi ed erotici con donne solitamente più giovani – automatismi funzionali a questo nascondimento. Introietti un falso io: un io onnipotente, estraneo agli affetti, senza età, privo di memoria storica, di spessore intellettuale, di specificità politica, fino al punto da non riuscire più a riconoscerti nella tua ineludibile contingenza. Con grave e conseguente sacrificio di ogni possibile autenticità della relazione: di ogni suo possibile sviluppo che dipenda da una ricerca condivisa della verità.
Ma questa deriva conosce limiti, sussulti, battute d’arresto, brusche interruzioni. Infatti, nel momento stesso in cui un coinvolgimento emotivo prende il sopravvento, formazioni deliranti e finzioni, strettamente intrecciate e interdipendenti, entrano pesantemente in crisi. Diventano un fardello insopportabile.
Non appena le ragioni del cuore sovrastano le gelide e crudeli impalcature della ragione libertina, decretando la scomparsa di Valmont, l’antica passione del molteplice si ristruttura – questo mi è realmente accaduto – e modifica il suo campo d’azione, diventando cifra creativa dell’investimento amoroso. Si coniuga con la passione della trasparenza, con il piacere della donazione di sé, con le seduzioni di una scelta che si potrebbe definire epistemofilica: la scelta di un gioco di verità, di un radicale, estremo e variegato gioco amoroso tra due verità sfaccettate e multicolori – le verità incarnate da due amanti – che si integrano e si completano; verità personali, storiche, plurali, irriducibili, estranee a ogni schema prefabbricato, a ogni tentativo di ridurle: di circoscriverle entro i confini di un unico territorio, omogeneo e rassicurante. Qui, davvero, laddove l’amore scompagina vecchi scenari, provocando la rottura di abitudini coatte e collaudate, Dioniso si congiunge con Apollo. La passione della trasparenza, poggiando sull’antica e originaria passione del molteplice, si dispiega e si realizza dando vita a una poesia della trasparenza. Una poesia non scritta, ma radicalmente vissuta.