L’inferno è la sofferenza di non poter più amare

L'inferno, film di Claude Chabrol

Il titolo di questo scritto è una frase di Fëdor Dostoevskij e lo spunto  viene dalla recentissima cronaca embricata nel mio animo ai racconti di una persona che seguo professionalmente. Ipersemplificando: questa donna non solo vive nella paura di minacce e percosse, non solo viene traumaticamente paralizzata, annichilita e ridotta all’inazione dal suo partner, ma, a mio modesto avviso, cosa da non sottovalutare, è stata depauperata di un diritto fondamentale: la possibilità di essere amata. La salute non è assenza di malattia.

Dalla realtà…

A quanto pare c’è una vera e propria “epidemia”: una donna su tre (sic) ha subito, a livello mondiale, abusi almeno una volta nella vita (dati OMS) e il 30 per cento di questi atti viene inflitto da un partner intimo. Molte di queste vittime riportano lesioni gravissime, qualcuna viene uccisa, le altre subiscono violenze di tipo persecutorio da cui escono segnate nel corpo e nell’animo. Per non parlare delle nefaste e  sottovalutate ripercussioni psicologiche di carattere traumatico. Leggo su un quotidiano che “lo stesso presidente del senato avrebbe definito   i perpetratori schifosi assassini”. Anche se nei confronti di quest’ultimi sovente non si prendono provvedimenti preventivi e punitivi adeguati, quando addirittura non si arriva a inquisire le vittime persino per lesioni inferte agli aggressori per legittima difesa.

Dal 2013 la dirigente dell’Upg ha creato il  protocollo E.V.A. («Esame delle violenze agite») che rappresenta il più moderno progetto in Italia per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne. La legge permette infatti di allontanare d’urgenza gli uomini dall’abitazione familiare in caso di situazioni critiche; per i reati di maltrattamento e stalking, c’è l’arresto obbligatorio. Il protocollo E.V.A. serve proprio a raccogliere e catalogare tutti gli epifenomeni rivelatori, anche minimi, dei legami familiari o sentimentali che stanno degenerando: reati anche minori, come ingiurie, minacce, percosse, molestie (per i quali si procede solo con la denuncia della vittima). Si chiama invece “processing card” la procedura elaborata dalle forze di polizia nei casi di violenza domestica.

Emmanuelle Marie Hélène Béart (Gassin, 14 agosto 1963)

Emmanuelle Marie Hélène Béart

In genere le cronache e le convinzioni popolari tendono ad applicare dalle violenze agli omicidi di donne lo schema del movente passionale, agito magari durante un “raptus” (termine ormai non più accettato dalla comunità scientifica) o sotto la spinta di una “temporanea follia” (definizione altrettanto molto discutibile). Questo modo di ragionare perpetua di solito due gravi malintesi: che siano delitti normalmente inevitabili, in quanto difficili da prevedere, oppure che si tratti di tragedie familiari e perciò appartenenti alla sfera privata, slegati da ogni contesto sociale più ampio e non privo di responsabilità.

Il fenomeno non ha né tempo né confini e non risparmia nessuna nazione, sia essa industrializzata o in via di sviluppo, in pratica una fragilità del sistema che si nutre di valori condivisi. Non conosce nemmeno differenze socio-culturali, perché vittime e aggressori appartengono a tutte le classi sociali e perché, al di là di quello che ci viene mostrato dai media, i rischi maggiori vengono da familiari, mariti, fidanzati o padri che siano, seguiti da amici, vicini di casa e colleghi di lavoro.

… al cinema

Ma cosa c’è dunque dietro gli uomini “cattivi”? Tante robe, e bisogna che vengano alla luce. Non sono nel contesto appropriato per fare una disamina esaustiva o sistematica, c’è una vastissima letteratura in merito, e questa è una rubrica dove si parla per lo più di cinema. Tuttavia oggi rispolvero un film che parla proprio di violenza sulle donne: L’inferno, diretto da Claude Chabrol, che mi sento sinceramente di suggerire (a chi non lo abbia visto). Perché? Forse perché prova a descrivere una delle possibili risposte alla domanda precedente, ovvero: in alcuni casi, dietro (e dentro) gli uomini “cattivi” c’è una sindrome psichiatrica che si manifesta in modo subdolo e che può avere conseguenze anche terribili.

La narrazione descrive il percorso di un giovane uomo, Paul, proprietario di un albergo in riva ad un lago sui Pirenei, acquistato a costo di grossi sacrifici economici. Raggiunto lo scopo della sua vita, Paul si mette alla ricerca di una donna e conquista la “bella del paese”: l’esuberante e procace Nelly, che ben presto lo rende padre di un bel bambino.

L’albergo è accogliente e ben frequentato e costringe Paul a sottoporsi ad un lavoro di gestione continuo e stressante, a cui si aggiungono le frequenti bevute in compagnia degli ospiti, che lo rendono nervoso e insonne, tanto che si ritrova costretto a far (ab)uso di ipnoinducenti. Nelly, sua moglie, cerca di rendersi utile, aiutandolo nel lavoro e intrattenendo affabilmente gli ospiti. Ma tutto ciò non è visto di buon occhio dal marito. La donna cerca più volte di sdrammatizzare la situazione, ride della gelosia del marito, crede si tratti di un eccesso di amore, pensa si tratti di normalità. Purtroppo si intuisce che date le circostanze e gli sviluppi quella forse non era “la cosa giusta da fare”.

In psichiatria, il disturbo delirante è una forma di delirio cronico basato su un sistema di credenze illusorie che il paziente prende per vere e che ne alterano la percezione della realtà. Queste credenze sono in genere di tipo verosimile, come la convinzione di essere traditi dal proprio partner. Escludendo l’incapacità di valutare oggettivamente il sistema di credenze illusorie che danno origine al delirio, il paziente mantiene le proprie facoltà razionali e in genere le sue capacità di relazione sociale non sono inizialmente compromesse. Alcune forme di disturbo delirante venivano tradizionalmente indicate come casi di paranoia, termine che oggi è in disuso nella comunità scientifica internazionale.

Come nel film la nascita del disturbo può non avere sintomi rilevanti dal punto di vista delle capacità dell’individuo di vivere una vita sociale relativamente normale, ma la sua degenerazione può insidiosamente modificare questa situazione. Inciso: purtroppo, senza alcun intervento adeguato, senza una identificazione precoce da parte di un professionista a volte questi uomini possono isolarsi progressivamente, diventare violenti e “cattivi”.

Tornando al film: lontano dal lirismo di un Bergman o dalle nevrosi intellettuali di un Allen, Chabrol segue la storia con l’occhio di uno scienziato, attenendosi al fatto reale e al dato psicologico. Ed è forse il motivo per cui a mio avviso è un autentico capolavoro.

One comment to “L’inferno è la sofferenza di non poter più amare”
  1. Era solo il 1981 quando in Italia è stato definitivamente abrogato il delitto d’onore. Da allora ad oggi passi ulteriori la legislazione ne ha fatti, riconoscendo il reato di stalking, ad esempio. Eppure non mancano i passi indietro. Nel 1999 la protesta in jeans a Montecitorio da parte di Alessandra Mussolini diede eco alla sentenza della Cassazione che annullò una condanna per stupro perché i togati sostennero che è impossibile violentare una donna con i jeans, un po’ quello che lei dottor Lanzaro sottolinea scrivendo “quando addirittura non si arriva a inquisire le vittime persino per lesioni inferte agli aggressori per legittima difesa”. All’inizio di quest’anno l’europarlamentare è tornata a protestare, questa volta a Strasburgo, in minigonna e maglietta con tanto di scritta “chi molesta non resta” per criticare il sindaco di Colonia che, all’indomani delle violenze di Capodanno, ha suggerito alle donne di non indossare abiti troppo succinti. In queste suddette poche righe c’è la violenza privata, la violenza singola, la violenza di gruppo, la legge che fa passi avanti ma che a volte presenta falle nell’essere applicata, e mentalità dure a morire che additano il vestire seducente. Solo la vittima nello spazio e nel tempo non cambia: la donna. I dati del Viminale registrano un calo di oltre il 20 per cento in Italia di vittime di femminicidio dall’inizio di quest’anno rispetto all’analogo periodo del 2015. Ma l’aver superato la soglia di 75 donne uccise in Italia dall’inizio del 2016 resta ed è un’enormità. L’onda dei drappi rossi di quest’anno partita dalla Presidente della Camera Laura Boldrini vuole essere un segno di vicinanza delle istituzioni a questo dramma sociale (quando non prende altri valori in questo clima di odio e terrore, come quanto accaduto a Colonia, per non parlare poi degli stupri di guerra). Lei, rifacendosi al film “L’inferno” di Claude Chabrol, dice che “in alcuni casi, dietro (e dentro) gli uomini ‘cattivi’ c’è una sindrome psichiatrica che si manifesta in modo subdolo e che può avere conseguenze anche terribili”. Questa frase non può che riportarmi al suo articolo del 27 luglio, “Il profeta (Un prophète)”, dove si tocca il tema dei terroristi quali affetti da disturbi mentali, e quindi un invito ad agire sul piano della “prevenzione” psichiatrica. Parallelamente nel film “L’inferno” Nelly sembra aver compiuto un errore a pensare che il marito, il compagno che aveva scelto per la vita, fosse solo, come si usa dire, “pazzo di lei”. Ma come si fa a riconoscere la soglia oltre la quale si passa da un “folle amore” ad un problema di salute mentale? La donna che subisce violenza è vittima quindi tre volte, per il fatto di cui è vittima, per il fatto di essersi resa “complice” per non aver riconosciuto ed affrontato i problemi psichiatrici del compagno e per il fatto che è – la cito testualmente – “depauperata di un diritto fondamentale: la possibilità di essere amata”. E su quest’ultimo punto la frase di Fëdor Dostoevskij che utilizza nel titolo, “L’inferno è la sofferenza di non poter più amare”, è amara e condensa il peso di una condanna dal sapore di “per tutto il resto della vita”. E qui mi chiedo: quanto il sostegno psicologico riesce a far fare lo scatto in avanti alla donna vittima? Quando riavrà fiducia di una persona e la amerà liberamente? Ci sono statistiche su quante donne riescono veramente a “riamare”? E cosa assicura che nella futura relazione non possa ripetersi lo stesso schema se lei, la vittima, come nel caso di Nelly, non riesce nuovamente a capire che lui non è “pazzo di lei” ma ha un disturbo mentale? La prevenzione per arginare le violenze sulle donne include una sana educazione sessuale per lei e per lui sin dalla giovane età? Parafrasandola, c’è “tanta roba”, è vero, ma tant’è.

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