Quella sapienza chirurgica di incidere il verso

Poesia - Quella sapienza chirurgica di incidere il verso

Massimo Bondioli, Sotto il segno del tiglio, Gattogrigioeditore 2010

Si può considerare forse il libro di una nascita quello di Massimo Bondioli dal titolo Sotto il segno del tiglio, edito in piccolo ed elegante formato da Gattogrigioeditore e arricchito da alcune delicate illustrazioni di Mauro Ferrari.

La poesia che dà il titolo alla raccolta, difatti, parla di una nascita (si presume quella del poeta) in «una sera inebriata di maggio» e appare del resto pertinente tale coincidenza di titolazione, perché proprio questo componimento presenta alcune delle caratteristiche più tipiche della poesia di Bondioli: una versificazione concisa, a volte fatta da “versicoli”, l’uso sapientemente calibrato della rima (nella poesia in questione, «vapori/sudori» e «colori/dolori»), alcune iterazioni semplici ma efficaci (il sintagma «una sera inebriata di maggio» ripetuto identico due volte, al secondo e al penultimo verso).

Le prime poesie del libro ci presentano l’ambiente familiare del poeta – la madre, il nonno, il padre, la nonna, il fratello, gli zii, lui stesso – con notevole efficacia: «Imponente / come un monumento / dentro la piccola foto in bianco e nero / che vira al giallo. […] Solo / di fronte al vecchio muro / lo sguardo serio / e nelle mani una voglia di fumo» (Mio nonno). Persone care quindi, ma anche i luoghi in cui ha vissuto il poeta, descritti per scorci suggestivi in cui Bondioli, attraverso la sua versificazione franta, cerca di tenere a bada la nostalgia di un tempo ormai trascorso e di luoghi lontani: «Ossi di pesca. / Resti seppelliti / di gattini maciullati. / Escrementi colorati. / Chiodi arrugginiti. / Trucioli. / Palline. / Viti» (Cortile) – «Per anni fu soltanto / il prato dei giochi / davanti a casa. / Fino a che non spuntò di sotterra / un soldino in rame / della zecca dei Gonzaga» (p. 21; squisita qui l’assonanza -asa/-aga). Colpisce certamente questa lucidità quasi chirurgica nel dar vita con pochissimi tratti a luoghi ed eventi: «[…] Il lavorio delle pale / aveva conferito / a quei piccoli tumuli, / sormontati a distanze uguali / da minuti cippi a punta / color ruggine / una vaga figura di barchetta» (p. 22).

La rievocazione dell’infanzia e dei suoi luoghi consueti permea la raccolta e si esprime con toni e ritmi che ricordano da vicino quelli di Penna e Caproni, come in queste brevissime poesie: «Era diventato quasi un’arte, / giocare al solitario / sull’angusta seduta della sedia / evitando la caduta delle carte» (p. 28) – «La resina del pruno / un sasso bicolore / smozzicati soldatini. / Merci di valore / al mercato dei bambini» (p. 20) – «Quelle fughe furtive / poco più che bambini / nel grembo umido dell’abetaia / a dipanare sentieri / e un groviglio nuovo di pensieri» (p. 41).

Non solo la precisione colpisce nella poesia di Bondioli, ma anche il suo modo delicato di esporre i sentimenti, quelli più intimi e familiari, come riesce a fare in alcuni componimenti particolarmente riusciti in tal senso (e tra i miei preferiti) dedicati al padre e al fratello. Uno in particolare, dedicato a quest’ultimo, ho il piacere di riportare qui per intero, perché solo così è possibile apprezzarne, a mio avviso, la forza emotiva e l’equilibrio: «La stufa non ancora accesa / i fiori sui vetri / e l’attesa che presto / svanisce in un nodo. // Perché a me quel dono / il meccano gigante / e a te, il più grande / la scatola numero tre? // Di certo ignorava / la santa che non vede / che sapevi / costruire un igrometro / con un crine di cavallo / carpire al microscopio / la trama segreta di un’ala / pescare una rana / al sole nel fosso / con l’esca rossa della lana» (p 39). Una poesia impreziosita da alcuni elementi morfologici e fonetici che sostengono l’andamento ritmico pieno di brevi sospensioni (si tratta di una rievocazione infatti), capaci di evocare sensazioni ricche e indefinite, proprio come la buona poesia dovrebbe fare. Mi riferisco in particolare alla rima interna iniziale (accesa-attesa), all’anagramma nodo-dono che aggancia la prima strofa alla seconda, alle due rime imperfette gigante-grande e rana-lana (rispettivamente, versi 6-7 e 16-18), al contrasto tra i verbi ignorare-sapere (versi 9 e 11) riferito ad un’entità “metafisica” cieca il primo («la santa che non vede») e ad un’entità umana il secondo (ovvero il poeta stesso), che sa e conosce a fondo la soggettività del fratello perché guidato da un affetto autentico, lente indispensabile, pare dirci Bondioli, per chi voglia conoscere veramente un altro essere umano.

Sempre seguendo questo binario, del gioco di parole e dell’assonanza, sono realizzati diversi altri componimenti, che tuttavia ottengono la loro massima efficacia quando nascono e si svolgono nel giro di pochi e brevi versi, tanto da far credere che sia proprio questa la misura espressiva ideale di Bondioli: «Un libro in tasca / un angolo di panca / l’aroma amaro di un caffè. // L’attesa si pasce di sé stessa / non ha fretta / sa come tenere a freno il tempo / nell’attesa senza tempo / di un treno» (p. 51). Nei pochi componimenti più lunghi, invece, Bondioli sembra perdere un po’ di efficacia, diluendo eccessivamente i tratteggi lirici e la forza delle immagini con uno scivolamento su contenuti un po’ più retorici e tradizionali.

Un accenno, infine, merita anche l’uso che il poeta fa dell’ironia, espediente che salva spesso con un colpo di coda alcuni componimenti un po’ meno ispirati o dal tono eccessivamente prosastico: «Le statistiche parlano chiaro: / un evento sempre più raro / la nebbia di pianura. // Sarà per questo / che si scorgono molti / convinti di vedere più lontano» (p. 72) – «Da quando mio zio muratore / mi ha avvertito / di tener sotto controllo / l’impiantito, / temo ogni volta / che l’ultima lettura / possa causar il crollo / di tutta la struttura» (p. 79).

Sotto il segno del tiglio è a mio avviso un libro delizioso, che anche quando non convince appieno in alcuni passaggi, per fortuna rari (per una perdita improvvisa di ritmo o per un modo più anonimo del solito di trattare l’oggetto poetico), si distingue sempre per la sua originalità, tanto più se si considera che si tratta di un esordio, di una nascita ufficiale – per quanto già anagraficamente matura – nel mondo della poesia.

 

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