Alessandro Fontana. In memoriam

Alessandro Fontana, in memoriam
Commemorazione di Alessandro Fontana (1939 – 2013)
Università Ca’ Foscari
Aula Baratto
Venezia, 13 novembre 2019

Commemorare significa ricordare, ricordare con (cum), ricordare assieme: e il prefisso indica la coralità del ricordo, condiviso e prodotto dalla partecipazione attiva di tutti i membri di un gruppo – di un collettivo, di una comunità – accomunati dal loro legame con l’oggetto specifico di questo stesso ricordo; nel nostro caso, con il nostro caro amico Alessandro Fontana: con i suoi scritti, con il suo pensiero, con il suo insegnamento, con la sua passione civile, con la sua stessa vita. Aspetti che Sandro – lo sa bene chi lo ha letto, chi lo ha frequentato e gli è stato amico – considerava sinergici e inseparabili. L’atto del ricordarlo assieme unisce dunque tutti noi, qui presenti.

Un momento di memoria condivisa. Un atto collettivo di rimemorazione. Un atto comune, sotteso e implicito nella stessa radice indoeuropea – men – a cui rinvia necessariamente tutta una famiglia di parole (dal latino mèmini al greco mimnèsco) che mettono in scena la memoria, il ricordo, il ricordarsi, il far tornare alla mente.

La miglior maniera di ricordarlo – che lui stesso, ne sono più che certo, avrebbe prediletto – è quella di rimettere in circolazione i suoi testi e la sua scrittura, e quindi le sue idee: il turbine vulcanico e multicolore delle sue idee, che egli esprimeva volentieri in conversazioni private, nell’àmbito di amicizie consolidate e di passioni condivise.

L’amicizia, in effetti, era per lui un laboratorio insostituibile: un terreno privilegiato su cui potevano nascere nuovi progetti, nuove prospettive di pensiero e di ricerca, capaci di costruire un ponte che colleghi non soltanto differenti istanze teoriche ma anche passioni civili, motivazioni politiche, coinvolgimenti personali, implicazioni emotive. Ricordo ora, con particolare commozione, un nostro recente progetto che avevamo elaborato e discusso soprattutto in alcuni caffè adiacenti alla vecchia sede della Biblioteca Nazionale di Parigi, in rue Richelieu. Più e meglio di una qualsiasi aula dipartimentale, erano proprio questi caffè i veri ateliers dei nostri sodalizi: i luoghi privilegiati delle nostre complicità e delle nostre intese. Luoghi che non ti vincolano a nessuna acribia disciplinare. Luoghi che rendono compatibili, attraverso un gioco irregolare di ibridazioni e di mescolanze, la coesistenza di momenti differenziati ed eterogenei.

Un nostro recente progetto, dicevo, era stato discusso pochi giorni prima della sua scomparsa. Non so se avrò la forza, ora che lui non c’è più, di riprenderlo e di ripensarlo. Si è discusso di un libro da dedicare al concetto di rottura, sviluppandolo attorno ai diversi piani, ai diversi livelli, ai diversi plateaux, alle diverse fisionomie entro le quali questa stessa rottura può agevolmente dispiegarsi. Le differenti configurazioni di una rottura – epistemologiche, storico-sociali, affettive, personali, antropologiche, politiche – implicano sempre una dialettica tra continuità e discontinuità.

Guardare a se stessi ponendo attenzione a questa complicata dialettica tra continuità e discontinuità: in questa prospettiva eravamo entrambi portati a ripensare e a valorizzare il lascito di Jean Paul Sartre così come emerge, tra l’altro, nella sua monumentale opera incompiuta, in tre volumi, L’idiot de la famille, dedicata a Gustave Flaubert e giocata con grande sapienza sulla complementarietà tra due movimenti interdipendenti e correlati: il movimento della constitution e quello della personnalisation. Eravamo entrambi convinti della centralità strategica di questi due movimenti e della loro evidente vicinanza ai due movimenti essenziali che caratterizzano la specificità della ricerca genealogica di Michel Foucault: il movimento del soggetto costituito e il movimento del soggetto costituente. Come dire: un movimento passivo e ricettivo della soggettività e un suo movimento, strettamente correlato al precedente, attivo, costruttivo, poietico.

Il soggetto costituito – prodotto, condizionato, determinato – è al tempo stesso un soggetto costituente – produttivo, creativo, condizionante, determinante – capace di promuovere le nostre azioni: capace di funzionare come matrice essenziale, anche se non esclusiva, di tutte le nostre iniziative.

Nelle conversazioni private, Sandro rivendicava la necessità di usare Sartre per mettere a fuoco sia i movimenti e le contraddizioni della soggettività sia le nostre concrete possibilità di esprimersi in termini conflittuali e antagonisti. Se Sartre, amava dire, soprattutto il Sartre di L’idiot de la famille, mi serve per sondare l’enigma della soggettività, individuando, anche attraverso la Critica della ragione dialettica, sia i suoi livelli di autonomia sia il terreno delle sue lotte, possibili e necessarie, Foucault mi serve per cogliere, in tutte le sue possibili articolazioni, la stretta relazione che intercorre tra le strategie molari del potere e i piani molecolari delle resistenze e degli antagonismi. L’approccio genealogico – inaugurato da Foucault sulle orme di Nietzsche e portato a compimento nelle schizoanalisi di Deleuze e Guattari, tra L’anti-Edipo e Mille piani – rendeva possibile una serrata connessione tra il molare e il molecolare. Tale connessione venne esplorata sia da Sandro more philosophico – soprattutto nella sua vertiginosa introduzione alla prima traduzione italiana, per i tipi di Einaudi, dell’ Anti-Edipo – sia da chi vi parla more genealogico, soprattutto nei suoi studi, confluiti nel libro La malattia morale: studi dedicati alla comprensione del dispositivo manicomiale, visto come àmbito privilegiato di una intersezione tra microstorie (psichiatriche e non psichiatriche) e macrostorie che le comprendano.

Mettere assieme Sartre e Foucault: consideravamo entrambi questa operazione come movimento antagonista rispetto alle ortodossie e alle “scolastiche” – soprattutto universitarie – che si erano indebitamente coniugate attorno ai nomi di Foucault e di Sartre. Le scolastiche, le scuole, le ortodossie – in questo ci siamo sempre ritrovati, io e Sandro – tradiscono inevitabilmente gli autori attorno ai quali sono fiorite e hanno proliferato. In questa nostra eterodossia continua e sistematica la letteratura ha sempre giocato un ruolo fondamentale e insostituibile. Al proposito ricordo ora con grande commozione un regalo che Sandro ha voluto farmi di recente a sèguito dei nostri frequenti scambi che riguardavano la letteratura: un cofano, edito da Thélème, che raccoglie, in 35 CD, tutti i capitoli di À la recherche du temps perdu, di Proust, magistralmente recitati da un gruppo di sei attori francesi. La letteratura era vista da Sandro come potente ed efficace veicolo capace di restituirci, in tutte le sue articolazioni possibili, la voce dei soggetti: la voce percepita dentro il multiforme brusìo del quotidiano; la voce tenacemente cercata e ritrovata dentro i polverosi archivi della nostra memoria, dentro le pieghe più o meno nascoste della nostra storia, individuale e collettiva, dentro i segreti spesso ben protetti delle nostre identità familiari. Ritrovare le tracce visibili ed eloquenti di questi segreti: questa era per Sandro la posta in gioco di una rilettura della Recherche capace di far riemergere, di far parlare, di portare alla luce le potenze ctonie e sotterranee della nostra psiche.

Un buon uso della Recherche e della grande letteratura del Novecento produce e porta con sé – di questo eravamo entrambi convinti – una possibilità che per Freud era inconcepibile, non pensabile: l’inconscio che parla e che si rende visibile. Un inconscio visibile ed eloquente, che le catastrofi belliche novecentesche hanno portato alla luce, che toglie alla Verdrängung freudiana – alla rimozione freudiana – il suo prestigio e la sua potenza e che restituisce quindi alla sublimazione tutta la sua efficacia storica: si tratta di una sublimazione che non implica rimozione; una sublimazione non rimovente, già presente, sotterraneamente, nelle pieghe del discorso freudiano (si pensi al geniale e poco valutato scritto su Leonardo: Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci [1910]); una sublimazione che può e che potrà diventare energia creativa, energia progettuale, forza civilizzatrice.

Uno dei leitmotiv della ricerca di Alessandro – ben presente nella già citata Introduzione alla prima edizione einaudiana dell’Anti-Edipo (1975) – è proprio il superamento del riduzionismo edipico freudiano, tutto giocato, come si diceva, sul concetto di rimozione, a favore di una sottolineatura della storicità dell’inconscio: un inconscio che delira la storia, le razze, i continenti; un inconscio che non si lascia catturare dentro una prospettiva familistica, scandita dall’infernale triade papa-maman-enfant, che appiattisce ed azzera la curvatura multidimensionale del nostro apparato psichico. Sentiamo Fontana, il Fontana dell’Introduzione: “Tutto il contenuto storico-mondiale del delirio (delirare i continenti, la storia, le razze) viene allora ripiegato su papà-mamma, sulla famiglia nucleare, sullo ‘sporco segretuccio’. La famiglia è dunque il territorio di ripiegamento; l’Edipo l’insieme delle operazioni che fanno passare il desiderio dal piano della produzione a quello della rappresentazione, dal piano del reale a quello del simbolico e dell’immaginario”. Ed ancòra: “non è tanto la famiglia borghese ad aver generato l’Edipo, ma è piuttosto, al contrario, un dispositivo complesso, penale, medico, giuridico, ad aver tagliato il sociale dal privato, ad aver isolato la famiglia dal corpo sociale, ad aver innestato il corpo dei genitori sul corpo dei bambini nella crociata antimasturbazione (famiglia borghese), ad aver separato il corpo dei bambini da quello dei genitori (campagna anti-incesto nella famiglia proletaria), ad aver medicalizzato e psicologizzato i rapporti genitori-bambini (teorie della perversione, della degenerazione e dell’anormalità), ad aver infine codificato tutto questo nei dispositivi raffinati, ontogenetici e filogenetici, dell’Edipo (interdetto dell’incesto come accesso alla Legge, meccanica della castrazione come accesso al desiderio): la famiglia come fabbrica di corpi docili, i genitori come agenti delegati del controllo e della repressione”. Al posto di tutto questo – chiudo qui con una citazione dell’Antiedipo – la schizoanalisi si propone allora di “esplorare un inconscio trascendentale invece di metafisico; materiale invece di ideologico; schizofrenico invece di edipico; non figurativo invece di immaginario; reale invece di simbolico; macchinico invece di strutturale; molecolare, microfisico invece di molare o gregario; produttivo invece di espressivo”.

Nel sesto e penultimo capitoletto della sua Introduzione – “Molare/molecolare” – Fontana mette a fuoco le due categorie portanti della schizoanalisi: “due categorie irriducibili ed eterogenee: molecolare è il funzionamento effettivo della macchina desiderante, molare è l’insieme di dispositivi per ripiegare questo funzionamento sul piano rappresentativo delle strutture: dispositivi che non operano tanto la rimozione (primaria o secondaria) nell’inconscio, ma che rimuovono l’inconscio stesso, facendolo passare dal reale produttivo al simbolico rappresentativo o all’immaginario fantasmatico. Freud aveva segnalato un’operazione di questo tipo nel carattere negativistico della ragione, che si costituisce nella Verneinung delle pulsioni: in realtà non si tratta qui solo di negazione, ma di un insieme complesso di istanze, altamente positive, cui è stata delegata, almeno a partire dall’apparizione degli Stati, la funzione di ripiegamento del reale stesso e delle macchina desiderante che lo produce”. Sandro coglie, qui, sia la complessità semantica del concetto di negazione – una complessità già presente nel concetto di rimozione e nella sua forte prossimità al concetto correlato di sublimazione – sia il suo funzionamento in quanto istanza altamente positiva e produttiva. La positività e la produttività degli apparati di negazione – che avevano visto nell’assenza di rimozione la premessa logica, psicologica e storica di nuovi e costruttivi investimenti creativi – fanno emergere uno scenario inedito, ove, cito Sandro, “le molarità saltano in aria, ove è possibile ricominciare a pensare: un nuovo modo di fare la letteratura, la scienza, la storia, un nuovo stile di militantismo, un nuovo programma di produzione: non è questa la coestensività della storia e della natura, dell’Homo natura e dell’Homo historia annunciata dall’Antiedipo?”. Certo: “installarsi nel micro laboratorio, sotto le macerie della molarità, non sarà facile”. Sarà possibile farlo solo adottando un punto di vista molecolare, un punto di vista attento alla molecolarità dei processi: un punto di vista proteso verso la costruzione di una “società desiderante”, in cui il desiderio sia in grado di infiltrarsi in tutti i pori della molarità. Il corpo a corpo di Sandro con l’Antiedipo possiede una forte valenza politica: è finalizzato alla necessità di “rimettere il desiderio al suo posto, nel reale e nell’infrastruttura” favorendo quindi la jonction tra produzione e desiderio. L’Antiedipo, scrive Fontana, è proprio questo: il “luogo della jonction” tra produzione e desiderio; “l’innesto della produzione sul desiderio”, che la famiglia e soprattutto l’Edipo non hanno mai smesso di scongiurare. La sovversione schizoanalitica contrasta frontalmente la vocazione del capitalismo a tenere dissociati produzione e desiderio, “per territorializzare l’uno” – aggiunge Fontana – e “per molarizzare l’altra”: e quindi “per impedire comunque che la jonction possa realizzarsi, proprio perché essa rappresenta il pericolo mortale per la sua riproduzione”. Vale la pena, proprio in questa sede, rileggere una pagina significativa dell’Introduzione all’Antiedipo scritta da Sandro: significativa, se non altro, per la forte e dissacrante vis polemica che la attraversa. Sentiamo: “E poi, chi ha paura della psicoanalisi? Troppo pochi sono coloro che rischiano di finire nell’ultima, miserabile territorialità, il divano, per ritrovare il padre simbolico, per farsi fare una castrazione tutta nuova, per riscoprire i piaceri un po’ sordidi del vecchio regime penitenziale, con il flusso di parole mercantilmente tariffato in più. C’è qualcosa di profondamente sgradevole, arcaico, malsano in questa pratica della seduta, tutto un odore di biancheria dubbia che sprigiona la vecchia famiglia borghese ottocentesca, con i genitori che ispezionano le lenzuola alla ricerca di macchie di sperma, con le domestiche che masturbano i bambini, con i bambini che fantasmano gli orrori notturni degli amplessi parentali, con gli zii che seducono, realmente prima, immaginariamente poi, i nipoti; tutto un brusio fastidioso di sporchi segretucci, di meschini patteggiamenti, di crudeli autoritarismi, di inconfessabili tartuferei, di indecorose rivalità, di sbrigative liquidazioni nella famiglia estesa della prima generazione di psicanalisti intorno a Fraud; con lo spettro del vecchio Edipo della tragedia che si aggira intorno, e che ricompare col suo bric-à-brac familiari stico nel teatro di Labiche o di Henry Becque. No, tutto questo arcaismo non fa paura a nessuno, e scrivere un libro contro questa paccottigliada retrobottega equivarrebbe veramente a combattere una battaglia di retroguardia (tanto più inutile in un paese come l’Italia, ove vige una sana e secolare irriverenza per il discorso del prete e le chincaglierie della sagrestia); contro tutto questo l’Antiedipo si limita a dire: ‘c’è odore di vecchio qui dentro; aprite le finestre, fate circolare un po’ di aria’. Il pericolo è altrove: il pericolo è negli effetti sociali della psicoanalisi, nel discorso diffuso, psicologizzato, medicalizzato, che si è venuto formando intorno ad essa”.

Gli effetti sociali della psicanalisi vengono riassunti da Sandro con il seguente adagio: “privatizzare sempre, tagliare il familiare dal sociale […] Non è che questo la castrazione, nient’altro che questa miserabile, quotidiana operazione di ripiegamento del sociale, dello storico, del politico sul familiare e sul privato”. Di qui la conclusione, che riassume il significato politico dell’Antiedipo: “Contro tutto questo, soprattutto contro questo si è levato finalmente l’Antiedipo”. Contro quella che viene definita da Sandro la forma moderna del terrore: l’apparato poliziesco più il discorso psicoanalitico, ad “impedire con tutti i mezzi e ad ogni costo il collegamento tra produzione e desiderio, generatore di effetti incontrollabili e intollerabili per ogni potere”: a situare “il poliziotto dove non arriva lo psicanalista e viceversa, quando non procedono di concerto”.