22 Agosto 1927. Poco dopo la mezzanotte, a Boston, il gangster portoricano Celestino Madeiros viene condannato alla sedia elettrica. Il detenuto, il 18 novembre 1925, aveva confessato sua sponte di aver partecipato a una nota rapina a South Braintree, dove rimasero uccisi una guardia giurata e un cassiere, indicando nella banda italo-americana dei fratelli Morelli i responsabili dei barbari crimini. Madeiros consegnò un affidavit a un avvocato difensore di nome Thompson, inutilmente: il 12 maggio 1926 la Corte Suprema del Massachusetts respinge il ricorso e la Madeiros Motion viene disattesa il 23 ottobre dello stesso anno dal giudice W. Thayer e dalla Corte il 5 aprile 1927. L’uomo aveva deciso di rilasciare questa confessione perché voleva risparmiare una fine ingiusta a due immigrati italiani, onesti e umili, incolpati ingiustamente della rapina di South Braintree e di un’altra, avvenuta l’anno prima a Bridgewater:1 fu un gesto di pietà per dei poveri lavoratori totalmente estranei ai fatti. Nonostante l’assenza di prove reali, i suddetti arrestati non ebbero scampo, e seguirono Madeiros nell’atroce destino. I loro nomi erano e sono Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, e il 9 aprile vengono condannati a morte dopo un processo farsa che li vide coinvolti per sette lunghi anni tra mozioni respinte e inutili ricorsi. Pochi minuti dopo Madeiros, seguirono il suo destino sulla sedia elettrica.

Trattenuti nel 1920 per porto d’armi, furono subito indicati come feroci assassini e condotti a morte sicura da un procuratore e un giudice apertamente razzisti e manipolatori: F. Kazmann e W. Thayer – e non dimentichiamoci il governatore A. T. Fuller – si convinsero fin da subito che i due italiani dovevano essere giustiziati per dare un esempio e mandare un segnale al paese.

Quali furono le ragioni che portarono a un tale sopruso, a una isteria ben presto collettiva, a un’onta così grave? La morte di Sacco e Vanzetti non può essere compresa se non nel contesto storico politico che l’ha prodotta, ovvero la grande crisi tra capitale e lavoro in corso in America agli inizi del ‘900. Terra immaginifica, terra dove realizzare i propri sogni e in cui fuggire da una vita di stenti, il nuovo continente è stato per moltissimi emigranti il tentativo – pressoché fallito – di vincere una condizione sociale avversa, e domarla. Purtroppo la realtà si dimostrò quasi a tutti nella sua crudezza: turni massacranti, sfruttamento psichico e fisico, salari da fame si rivelarono la triste verità che accolse tanti italiani, cinesi, irlandesi, fuggiti dalla povertà di casa per abbracciarne una ancora più aspra e cinica. L’America di quel tempo cresceva a dismisura, producendo enormi ricchezze che tuttavia finivano nelle mani dei soliti Rockefeller e pochi altri industriali, i quali si trovavano letteralmente immersi nell’oro. Cronache dell’epoca descrivono le cene di gala offerte da questi magnati (sono resoconti reali):

«durante una cerimonia le sigarette venivano avvolte in biglietti da cento dollari; […] pregiate perle nere venivano servite agli ospiti nelle ostriche […] Infine, stanchi di così poca fantasia, i plutocrati progettarono situazioni più bizzarre – come scimmie sedute fra gli ospiti, uomini travestiti d’oro a nuotare in piscina […] Si spesero 65.000 dollari per arredare una tavola e 75.000 per un paio di occhiali da teatro».2

Questa situazione di sfarzo ostentato, unita a una violenza incredibile e allo sfruttamento più bieco, si accompagnò ben presto a una reazione altrettanto forte. Il suolo americano vide crescere esponenzialmente movimenti e forze anarchiche e una determinazione netta dei sindacati. Si pensi solo a Eugene Debs, socialista e fondatore degli Industrial Workers of the World (IWW), candidato alla presidenza degli Stati Uniti, incarcerato per dieci anni per essersi opposto alla coscrizione obbligatoria, ma si ricordino anche i martiri di Chicago, 3 arrestati per aver osato protestare il 4 maggio 1886, contro le solite condizioni lavorative e i salari da fame. A tali sindacalisti fu attribuito il lancio di un piccolo ordigno contro degli agenti, atto che scatenò una reazione atroce da parte delle forze dell’ordine. Alla fine morirono sette gendarmi colpiti da fuoco amico, e si registrarono numerosi feriti.

Si pensi ai tanti italiani che militavano fra le file sindacali e tra gli anarchici: ebbene, in un clima come questo, dove la mediazione era impossibile per la scelta inequivocabile del capitale e dei suoi padroni, quello spettro che si aggirava per l’Europa contagiò anche la terra d’oltreoceano. Il “pericolo rosso” divenne il tema centrale su cui discutere in molte testate giornalistiche, tanto che presto divenne il leit motiv di campagne elettorali e programmi politici. Alcuni si auguravano di vedere «appeso a ogni lampione la carcassa di un comunista»,4 altri, come il presidente T. Roosevelt, assicuravano che «l’anarchico è il nemico dell’umanità, di tutta l’umanità, e il suo è un livello più profondo di criminalità di qualsiasi altro».5 Che questa campagna d’odio non si fermasse alle dichiarazioni lo si capisce da numerosi pestaggi, arresti e raid punitivi commessi sia dalla polizia che da contractors privati. Il culmine di questa macelleria sociale si può stigmatizzare nel massacro di Ludlow, in Colorado (1914), dove la guardia nazionale gettò del cherosene sulle tende di pacifici lavoratori accampati a protestare, facendo una strage di uomini e donne – persino incinte – e bambini. Con lo scoppio nel 1917 della rivoluzione d’ottobre la situazione a livello politico ed emotivo precipita, e la repressione si farà sempre più dura, portando una vittoria del Capitale, impegnato poi nella Grande Guerra, il quale, per complesse ragioni, si vide costretto a ripensare la sua struttura soltanto con la crisi del 1929 di Wall Street.

È unicamente comprendendo la storia, dunque, che il caso Sacco e Vanzetti può essere letto e colto nella sua essenza, che è ben diversa da quella profusa anche da molti giornali italiani dell’epoca e non solo. I due compatrioti, anarchici, si prestavano benissimo a incarnare lo stereotipo del sanguinoso omicida rosso, desideroso di distruggere l’America e l’ordine prestabilito. La loro innocenza – in verità nota anche all’accusa, visto che per procedere rifiutò testimoni e prove schiaccianti in grado di scagionarli – divenne un elemento corroborante per fare capire “ai rossi” cosa li attendeva: non c’era bisogno di essere colpevoli, bastava una decisione dello stato e la vita di qualsiasi cittadino finiva nelle mani del boia.

La vicenda è ben nota, e non vogliamo entrare nei dettagli. Sacco e Vanzetti stavano preparando un comizio per denunciare la morte di Andrea Salsedo, caduto “casualmente” da un grattacielo della polizia nel maggio del 1920. Trovati in possesso di volantini e di due pistole, furono subito arrestati.6 Dopo la vile esecuzione, sette anni dopo, passò parecchio tempo per ricevere delle scuse ufficiali: nel 1977 il governatore Michael Dukakis ne dichiarerà ufficialmente l’innocenza, con cinquant’anni di ritardo.

Grazie ai volontari del Comitato Sacco Vanzetti la difesa del loro nome fu sostenuta fino alla fine, e oltre: sindacalisti, giornalisti, volontari si spesero senza risparmiarsi per tutta la vita affinché nessuno dovesse più patire quello che patirono Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti e venisse ripristinata la verità, una verità tuttavia che ha fatto fatica ad affermarsi anche per esser stata “manipolata” e occultata pure da chi ha tentato di trasformarla in un sopruso legato a meri motivi etnici.7

Di cosa si parla? Se consideriamo il caso Sacco e Vanzetti nell’Italia degli ultimi cinquant’anni, sono chiaramente individuabili due atteggiamenti: da una parte parlare solo dei “poveri italiani”, cercando cioè di “dimenticare” la loro storia politica. Non è un caso che persino la destra nazionale abbia tentato di arruolarli – senza mai riuscirci ovviamente – in virili simboli dell’italianità; dall’altra, la rimozione della militanza anarchica, giudicata secondaria o imbarazzante, insieme al contributo politico ma anche letterario offerto, a causa di una cultura nostrana spesa tra democrazia cristiana e comunismo di partito.

Insomma, c’è voluto molto tempo per sottrarre i due combattenti morti per l’Idea dall’immagine edulcorata e un poco provinciale affibbiatagli. Non si vuole negare ovviamente che siano stati italiani e lavoratori, ma basterebbe leggere le numerose epistole per capire quanto vivessero appieno le istanze anarchiche, e che furono due militanti della scuola di Luigi Galleani, dediti con tutte le loro forze al socialismo libertario.

Oggi è possibile conoscere meglio la figura di questi due grandi uomini, ed è persino più importante di allora, vista la tendenza al pensiero unico dominante nella politica interna e internazionale, ma soprattutto perché davanti allo svilupparsi di nuovi mestieri e alla parcellizzazione del lavoro, di fronte al ritorno di vere e proprie forme di schiavismo (in realtà mai cessate), la conquista dei diritti sociali è sempre più chiaramente legata a una preparazione culturale e non solo a un volontarismo generico. Sacco e Vanzetti, dopo dodici ore di lavoro si ritiravano nelle loro camere e spesso a luce di candela studiavano la letteratura, la sociologia, la politica, perché consapevoli che qualsiasi rivoluzione non può essere tale se non si basa su una solida preparazione intellettuale. Quel messaggio di emancipazione è drammaticamente ancora attuale, perché le disuguaglianze non solo non sembrano diminuire, ma in questi tempi di pandemia appaiono addirittura più accentuate e profonde: il superamento di ogni sfruttamento non può non nutrirsi anche dell’insegnamento di questi attivisti e pensatori, assassinati da uno Stato imperialista in un freddo carcere di Boston. Le parole di Nicola Sacco sono più attuali che mai, e svelano la vera ragione per cui fu tentato, inutilmente, di far tacere la loro voce:

«Ricordati sempre, Dante, della felicità dei giochi non usarla tutta per te, ma conservane solo una parte (…) aiuta i deboli che gridano per avere un aiuto, aiuta i perseguitati e le vittime, perché questi sono i tuoi migliori amici; son tutti i compagni che combattono e cadono come tuo padre e Bartolo, che ieri combatté e cadde per la conquista della gioia e della libertà per tutti e per i poveri lavoratori» (Nicola Sacco, al figlio Dante, lettera del 1927).

Bibliografia
L. Botta, Giustiziata la verità, Gribaudo, 1978
L. Botta, La marcia del dolore. I funerali di Sacco e Vanzetti. Una storia del Novecento. Ediz. integrale. Con DVD, Nova Delphi, 2017
L. Botta, Le carte di Vanzetti, Aragno, 2019
(A cura di) A. Comincini, Altri dovrebbero aver paura, Nova Delhi, 2012
(A cura di) A. Comincini, Le ragioni di una congiura, Nova Delphi, 2013
L. Tibaldo, Lettere e scritti dal carcere, Claudiana, 2012
A. Senta, Luigi Galleani. L’anarchico più pericoloso d’America. Ediz. Integrale, Nova Delphi, 2018
P. Avrich, Ribelli in paradiso. Sacco, Vanzetti e il movimento anarchico negli Stati Uniti, Nova Delphi, 2019
R. Boyer, H. Morays, Storia del movimento operaio negli Stati Uniti, Odoya, 2012

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Note:

1) South Braintree 15 aprile 1920; Bridgewater 24 dicembre 1919.
2) A. Comincini (a cura di), Altri dovrebbero aver paura (Nova Delphi, 2012), p. 16.
3) August Spies, Adolph Fischer, Louis Lingg, Michael Schwab, Oscar Neebe e Albert Parsons.
4) R. Boyer-H. Morays, Storia del movimento operaio negli Stati Uniti (Odoya, 2012), pp. 121-137.
5) Altri dovrebbero aver paura, cit., p. 18.
6) Per i dettagli: Altri dovrebbero aver paura, cit., Introduzione.
7) Mary Donovan, Aldino Felicani, Gardner Jackson sono alcuni degli attivisti più importanti.

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Immagine di copertina:
Ben Shahn, Bartolomeo Vanzetti and Nicola Sacco, gouache su carta (particolare), 1931-32, MoMA – New York.